Curiosità

Land Rover Discovery | Storia di un mito dell’offroad

Tempo di lettura: 4 minuti

La storia della Land Rover Discovery inizia quasi trent’anni fa, nel 1989 quando la Land Rover, che da molti anni non produceva nuovi modelli e si concentrava solo sul restyling di quelli esistenti (Range Rover e Defender), lancia sul mercato una nuova fuoristrada in modo da colmare il divario di capacità offroad e sopratutto di prezzo, presente tra gli unici due modelli fino a quel momento in produzione, con l’intento, quindi, di creare un mezzo fuoristrada adatto alla famiglia capace di contrastare il successo dei 4×4 di produzione orientale come il Mitsubishi Pajero e la Toyota Land Cruiser. Così se il Range Rover puntava ad un segmento superiore, il Defender alle capacità offroad estreme, ma con un veicolo spartano, il Land Rover Discovery si è ritagliato spazio in un settore diverso, proponendo un mezzo pratico per tutta la famiglia ad un prezzo inferiore rispetto alla “regina” Range.

Già dalla prima versione, il Discovery si impone sul mercato per soluzioni tecnologiche all’avanguardia sia in ambito fuoristradistico, forte della tradizione Land Rover in materia di trazione integrale permanente, sia in ambito automobilistico, rendendo la guida del modello molto più gradevole rispetto a quella del Defender e più simile a quella del Range Rover. 

La prima serie (1989-1998): colma il gap tra i due modelli Land Rover

Il pianale riprende molti elementi in comune con la Range Rover, ma il prezzo è più basso per contrastare la concorrenza giapponese che, con i marchi Mitsubishi e Toyota, godevano di un buon successo. La gamma motori comprende unità da 2 a 4 litri tra cui propulsori a quattro cilindri che non si vedranno più in futuro sotto il cofano della 4×4 inglese. Inizialmente disponibile solo a tre porte, viene affiancata l’anno seguente da una variante a cinque porte. Per risparmiare sui costi di produzione molti componenti sono presi in prestito da vecchi modelli Austin Rover come la strumentazione, le maniglie delle porte (Morris Marina) e i fari (quelli posteriori sono gli stessi della Maestro Van).

Nel 1992 arrivano interni con tinte più sobrie (al blu si aggiunge un più tradizionale marrone) e spariscono dalla carrozzeria i vistosi adesivi che prima erano presenti sulla fiancata. Il successivo restyling del 1994 porta fari anteriori più grandi e gruppi ottici supplementari nella zona posteriore. Il 2.5 turbodiesel e il 3.5 V8 vengono rimpiazzati da un nuovo “due litri e mezzo” e da un 3.9 V8.

Il progetto della prima serie è rimasto in produzione fino al 1998 e ha rappresentato la prima novità dopo anni in cui Land Rover andava avanti ad aggiornare sempre i soliti modelli.

La seconda serie (1998-2004): molto più tecnologica

Nove anni più tardi, nel 1998, debutta il Land Rover Discovery Serie II. Non un semplice restyling ma una vettura completamente nuova: lo stile resta quello del vecchio modello, ma il passo viene allungato, le dimensioni aumentano per offrire sette posti tutti in direzione di marcia. La coda è più grande per aumentare lo spazio destinato ai bagagli e la gamma motori comprende unità da 2,5 a 4,6 litri.

Tra le innovazioni introdotte spiccano il sistema ACE – Active Cornering Enhancement che permetteva al fuoristrada di azzerare il rollio in curva servendosi di attuatori elettronici sulle barre antirollio definite “attive”, il 4-Wheels Electronic Traction Control (controllo elettronico di trazione su tutte e quattro le ruote) e l’Hill Descent Control (controllo della velocità in discesa), già adottati su Land Rover Freelander e qui uniti alla possibilità di utilizzare marce ridotte. Spicca la mancanza del blocco manuale per il differenziale centrale presente sul vecchio modello, ma ritenuto superfluo dai progettisti per via dell’introduzione del controllo elettronico di trazione, scelta criticata da molti acquirenti nonché tradizionali clienti Land Rover.

Sulla falsariga dell’introduzione di sospensioni pneumatiche a variazione elettronica di serie sul Range Rover sin dal 1994, anche per il Discovery venne data possibilità di optare per un sistema simile, previsto per le sole sospensioni posteriori e chiamato SLS – Self Leveling Rear Suspension, che prevedeva molle ad aria autolivellanti e rialzabili su comando del guidatore in caso di utilizzo in fuoristrada, per migliorare l’angolo di uscita, o per facilitare l’azione di aggancio di un rimorchio.

Nel 2002 il Land Rover Discovery Serie II venne sottoposto ad un lieve ma significativo restyling in cui furono livellati i lineamenti dei fari posteriori e completamente ridisegnata la mascherina anteriore con gruppi ottici ispirati a quelli della sorella maggiore Range, inclusi i fendinebbia. Il restyling inoltre sottopose la vettura ad ulteriori piccole modifiche prettamente estetiche e di basso rilievo rispetto alla precedente versione.

Discovery 3 (2004-2009): l’Integrated Body Frame

Il 2004 vede il lancio del Land Rover Discovery 3: rivoluzionarie soluzioni tecniche adottate con l’aggiunta, sui modelli top di gamma, delle sospensioni pneumatiche regolabili in altezza su tutte e quattro le ruote e, anteprima mondiale per Land Rover, del sistema Terrain Responseun selettore rotante che consente di selezionare il terreno da percorrere delegando all’elettronica di bordo il settaggio del miglior rapporto di trasmissione, altezza delle sospensioni e bloccaggio dei differenziali.

Nel 2006 è stata sottoposta al crash test dell’EuroNCAP, raggiungendo il punteggio di 4 stelle nel comparto della sicurezza automobilistica. Il Discovery 3 che cambia le carte in tavola: il look si differenzia nettamente dal passato, sparisce la ruota di scorta sul portellone posteriore e arriva la monoscocca per abitacolo e vano motore, poggiata su un telaio dove trovavano posto trasmissione e sospensioni, una sorta di ibrido tra la scocca portante e il telaio a longheroni.

Si tratta dell’IBF Integrated Body Frame, usato anche dalla Range Rover Sport, una soluzione telaistica che si pone tra il classico sistema a “longheroni e traverse” del telaio più scocca e il sistema a “scocca portante” utilizzato per esempio nei SUV: nel caso di Discovery 3, la scocca incorpora parte degli elementi rigidi del telaio stesso, con una rigidità strutturale enorme, ma con lo svantaggio di un peso consistente per l’intero veicolo.

I motori disponibili, un diesel V6 da 2.7 litri (190CV) e un V8 benzina da 4.4 litri (299CV), sono di derivazione Jaguar, opportunamente rivisti per l’utilizzo in fuoristrada. Una terza fila di sedili posteriori è disponibile come optional ed è abbattibile a filo del vano di carico posteriore quando non utilizzata.

Il restyling del 2008 porta qualche modifica tecnica e i paraurti interamente in tinta.

Discovery 4 (2010-2016): una categoria superiore

La nuova generazione 2010 del Land Rover Discovery è stata presentata ufficialmente al Salone di New York, nel 2009. Si tratta pur sempre di un pesante restyling della versione 3, ma con importanti novità tecnologiche che, da quanto indicato dalla Land Rover, la rendono ancora uno tra i fuoristrada più validi presenti sul mercato.

Il modello passa ad una categoria superiore grazie ad un’attenzione particolare negli interni e nella tecnologia.  Oltre agli interventi estetici (nuova mascherina radiatore e paraurti in tinta con la carrozzeria, luci di posizione e posteriori a LED, diversa disposizione dei comandi interni Terrain Response) di notevole interesse è il nuovissimo motore V6 a doppio turbocompressore da 3 litri diesel che promette di migliorare le prestazioni del TDV6 da 2.7 litri in termini di consumo, prestazioni e riduzione delle emissioni di CO2, nonostante l’aumento di potenza da 190 a 211 cavalli. Per il fuoristrada arriva il sistema di gestione Terrain Response di nuova generazione, aggiornato nella tecnica.

Land Rover Discovery 5 (2017-): il più versatile di sempre

Tutto nuovo sia di design, che di motori che di contenuti, non mantiene nulla dei vecchi Discovery. Ha un peso di parecchie centinaia di chili inferiore, con prestazioni fuoristradistiche e stradali elevate. Noi l’abbiamo provato, ecco come va.

 

Mauro Giacometti

Classe 88. Automotive Engineering. Mi piace la musica, ma… non quella bella, principalmente quella di cattivo gusto e che va di moda per poche settimane. Amo sciare, ma non di fondo: non voglio fare fatica. La mia auto ideale? Leggera, una via di mezzo tra una Clio Rs e una Lotus Elise. Ma turbo! Darei una gamba per possedere una “vecchia gloria” Integrale.

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Mauro Giacometti

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