Correva il 1994 e la Renault motorizzava la Williams FW16 in Formula 1, l’auto tristemente passata alla storia come co-protagonista della morte di Ayrton Senna ma anche degna lottatrice del mondiale, dove perse il campionato contro un agguerrito Michael Schumacher al suo primo iride. Nacque così la Renault Espace F1, ciò che molti considerano un prototipo inedito ancora oggi, ovvero la volontà di abbinare un motore da Formula 1 sulla carrozzeria di quello che una volta era una monovolume e che oggi chiamiamo più comunemente SUV.
Renault, a metà anni ’90, stava vivendo un’epoca d’oro. Conquistò il mondiale nelle stagioni 1992 e 1993 con la Williams di Mansell prima e Prost poi, e anche il ’94 stava prendendo la giusta piega, oltre a essere il decimo anno dal lancio della Espace. La Casa della Losanga voleva così promuovere il suo successo sulle sue vetture di serie e come fare se non installando un motore V10 sulla monovolume, l’auto meno convenzionale per questo genere di impresa? Eppure oggi siamo qui a parlarne.
Nacque un team dedicato che adattò la struttura della Espace F1 per ospitare il V10 3.5, installato in mezzo ai sedili posteriori in posizione ribassata. Abbinato ad esso, la scatola del cambio semi automatica e la sospensione posteriore in blocco, smontata direttamente dalla vettura dell’anno prima, la FW15C e re-installata a misura di sarto su questa inconsueta ospite.
La sospensione anteriore venne invece create ad hoc così come tutto il telaio, almeno dalla linea di cintura in giù, pur tenendo fede a misure e ingombri della monovolume per famiglie. La Espace F1 si trasformò così in breve tempo in una vettura laboratorio e fece la sua comparsa una generosa ala posteriore fissata fino a metà del tetto, per tenere “l’esperimento” schiacciata a terra. L’auto, che ricordava ormai solo nella forma la vera Espace, venne sviluppata al Paul Ricard dal pilota Eric Bernard. In quell’anno la Espace F1 venne mostrata al pubblico del Salone di Parigi destando particolare curiosità e interesse, ovvero l’effetto studiato dai geni del marketing francesi.
Sono passate poi alla storia le immagini di Prost impegnato alla guida del prototipo mentre armeggia sul volante dotato di due pulsanti, uno per innestare la marcia e l’altro per scalare. La vettura, nonostante il baricentro alto, sfruttava i principi dell’aerodinamica e rimaneva tutto sommato incollata a terra, nonostante qualche sobbalzo di troppo.
Le prestazioni? 0-100 km/h in 2,8 secondi, velocità massima raggiunta 317 km/h (nonostante i 1.300 chilogrammi di peso, il doppio rispetto alla sua vettura d’origine). Non mancavano poi i freni carbo-ceramici per frenare adeguatamente in circuito.
Oggi l’esemplare unico risiede nel museo della Matra e, a differenza di quanto accade oggi con l’AMG Project One, una vera hypercar in grado di portare su strada la power unit della W08 di Hamilton, siamo sicuri installare un V10 aspirato su una monovolume di questo genere rimarrà un esperimento isolato che si è però ritagliato il suo spazio nella storia dell’automobile.
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