Immaginate di fare un salto indietro nel tempo e di tornare a marzo 1999, quando era in corso il salone dell’automobile di Ginevra. Le luci della ribalta erano per la Ferrari 360 Modena e la prima generazione della Porsche 911 GT3, due attesissime supercar di marchi blasonati, ma fra le principali novità della rassegna c’erano anche le Lamborghini Diablo GT e Mercedes CL.
Accanto a questi pezzi da novanta veniva presentata una interessante coupé di un marchio alla prima auto: quella vettura era la Pagani Zonda, che a distanza di 20 anni è considerata fra le supercar più apprezzate, innovative e di successo degli Anni ’00, tanto da eclissare per importanza gli altri modelli esposti al salone di Ginevra del 1999. In questo articolo ne ripercorriamo la storia attraverso le sue versioni più riuscite.
Fondata a San Cesario sul Panaro (Modena) da Horacio Pagani, ex pilota specializzatosi nei materiali compositi, Pagani realizza una coupé lunga 4,40 metri a motore centrale ispirata nello stile alle auto da corsa per le gare di durata degli Anni ’90. Ha il cambio manuale a 6 marce, la trazione posteriore e un possente motore aspirato V12 6.0 da 450 CV, che Pagani riceve da Mercedes dopo avervi stretto un accordo. Il peso, grazie all’uso di fibra di carbonio per telaio e carrozzeria (una novità per l’epoca), è contenuto in 1250 chilogrammi. L’auto prende il nome Zonda C12: Zonda è un vento argentino, C l’iniziale del nome della moglie di Pagani (si chiama Cristina) e 12 il numero dei cilindri del motore.
Tre anni dopo fa il suo esordio la versione C12 S, dotata del motore V12 aspirato di 7.0 litri (sempre di origine Mercedes): la potenza sale a 550 CV. Nel 2002 viene presentata anche la Zonda Roadster, dotata di un nuovo motore sempre V12 ma con cilindrata di 7.3 litri, in grado di erogare 555 CV. Seppur priva del tetto la Roadster pesa solo 1.280 kg, un dato ottimo per una supercar così potente e raffinata, che Pagani ha saputo ottenere progettando un rigido telaio che non necessita di irrigidimenti per compensare l’assenza del tetto.
Nel 2005 debutta la versione F, dedicata all’ex pilota Juan Manuel Fangio, grande amico di Pagani. A spingerla è il 7.3, rivisto nell’airbox e nello scarico: sprigiona ben 650 CV. La Zonda F è anche Roadster, che introduce la carrozzeria con trama in fibra di carbonio a vista.
Costruita in soli cinque unità, è stata voluta dall’importatore di Hong Kong della casa modenese e ha il motore 7.3 da 678 CV, oltre al cambio sequenziale a 6 marce, alle ruote forgiate in alluminio ed altri particolari che “profumano” di gare, come i sedili a guscio con cinture a 4 punti e il roll bar.
La Zonda Cinque è la versione stradale della cattivissima R, riservata solo alla pista e dotata del motore 6.0 portato a 750 CV, chiamato a muovere solo 1.070 chili: ne deriva un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 2,7 secondi. Fra le novità c’è un’elettronica più raffinata, che dà modo ai piloti professionisti di scegliere le regolazioni di Abs e controllo di trazione. La Zonda R ha inoltre un’aerodinamica evoluta in grado di generare 1.500 kg di carico aerodinamico a 350 km/h.
E’ del 2013 la Zonda più estrema e brutale mai realizzata, che deriva strettamente dalla R (come questa pesa 1.070 kg) ma è ancora più potente: il suo motore 6.0 arriva a sviluppare 800 CV. La trasmissione robotizzata ha bisogno di soli 20 millisecondi per “sparare” le marce ed è presente una nuova ala posteriore, dotata di un sistema in stile DRS che permette al guidatore (tramite un tasto al volante) di variare il carico aerodinamico a seconda della velocità e del tipo di percorso.
HP, per chi avesse dubbi, sta per Horacio Pagani, che in occasione dei suoi 60 anni (festeggiati nel 2017) si è fatto costruire un esemplare unico profondamente modificato nella carrozzeria: ha il parabrezza ribassato, i montanti anteriori accorciati ed è priva della traversa di rinforzo trasversale. Il motore è il 7.3, che dovrebbe avere 800 CV come la Revolution.
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