Mentre la svedese Northvolt, il produttore di batterie per auto elettriche, affoga nei guai, Stoccolma si tira indietro. Il governo scandinavo avrebbe potuto salvare la società acquisendone una quota, anche a beneficio della tutela dell’ambiente e dello sviluppo del full electric. E invece si guarda bene dal tuffarsi in un’avventura dove potrebbe prendere… una scossa.
Segno evidente che il crollo della domanda di macchine a pila in Europa spaventa perfino gli esecutivi più green, o che hanno la fama (chissà se meritata) di perseguire il bene della Terra. Perché infilarsi nel vicolo cieco della produzione di batterie per auto elettriche, se le macchine a emissioni zero vengono rifiutate? Ci avrebbe perso anche lo Stato, oltre all’azienda privata.
La giustificazione addotta dal primo ministro Ulf Kristersson per stare alla larga da Northvolt è facile: la società, con capitali privati, deve determinare il proprio futuro da sé. Avrebbe detto lo stesso se le immatricolazioni Ue delle full electric fossero stellari così come la Commissione europea pronosticava? “Non ci occupiamo dei piani aziendali delle singole aziende, ma vogliamo essere un buon posto per questo tipo di settore”, ha detto. Parole dal significato misterioso, molto politiche.
Il 9 settembre 20214, la brutta notizia da Northvolt: alt alla Gigafactory in Svezia. Stop alla costruzione pianificata di impianti in Germania, Canada e Svezia meridionale. Si utilizzano termini particolari per dire che l’elettrico è un disastro: “Revisione strategica necessaria per affrontare il sempre più difficile ambiente macroeconomico”.
D’altronde, l’identico ragionamento arriva da Stellantis per la Gigafactory di Termoli. Da mesi, il governo Meloni, per bocca del ministro delle Imprese Adolfo Urso, spinge affinché il Gruppo guidato da Carlos Tavares crei la fabbrica di batterie per auto elettriche. Con l’aiuto di soldi pubblici: denaro preso dal Pnrr. Ma il manager portoghese, in maniera legittima, non ne vuol sentire neppure parlare: con le vendite di auto elettriche a picco in Europa, sarebbe un suicidio gettarsi nella mischia delle batterie. E se il Gruppo Volkswagen pensa a 30.000 tagli con la chiusura di due o tre fabbriche, è proprio perché non ha fiducia in una rapida ripresa delle vetture a corrente.
Autore: Mr. Limone
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