All’alba degli anni ‘70 il Giappone si svegliò da una parte con la straordinaria edizione della “Japanese World and International Exposition Osaka”, ovvero l’Esposizione Mondiale e Internazionale svoltasi ad Osaka nel 1970, e dall’altra con il molto meno entusiasmante rapporto sull’inquinamento nel paese, tristemente verificato dai risultati presentati dal sistema ospedaliero.
Difatti al diciassettesimo Tokyo Motor Show nel 1971 il tema centrale riguardò l’uso di motori a basse emissioni, progettati con l’obiettivo di ridurre il consumo di carburante.
Tra le automobili presentate, spiccò quella esposta allo stand Mazda, nelle forme di una avveniristica automobile che catalizzò immediatamente l’attenzione, per estetica e tecnica: la Mazda RX500, progettata in possibile ottica di produzione e in quanto ottima manovra di promozione del motore Wankel (tanto caro al marchio), sottolineato dall’audace allestimento dello stand che promuoveva il “Rotary World” e dallo sgargiante colore giallo della vettura.
Per la cronaca, a quel Salone vennero presentate altre magnifiche concept car, come la Toyota EX7, le Nissan 270X e 126X e la Isuzu Bellett 1600MX (disegnata da Tom Tjaarda) tutte in grado di dimostrare il sano e rapido progresso dell’industria giapponese in fatto di automobili, da sempre imperscrutabile per buona parte dell’industria occidentale.
Un progetto sorprendente
A capo del progetto c’erano Masataka Matsui direttore generale del dipartimento di progettazione, Shigenori Fukuda incaricato per la progettazione della carrozzeria, Ryo Uchida e Teruo Hamaya rispettivamente per interni e telaio. Le motivazioni che generarono tale vettura furono diverse: dimostrare la validità del motore Wankel tra prestazioni, consumi ed emissioni, la capacità di ricerca di Mazda e quello sull’uso dei materiali plastici sottoposti ad alte velocità.
Il progetto partì dal motore disposto in posizione centrale posteriore, proprio dietro il pilota, una evoluta unità rotativa a due rotori/pistoni raffreddato ad acqua (Tipo 10A), con un volume della camera di appena 982 cc ma capace di una potenza di 250 CV e un regime che raggiunge i 15.000 giri/min (più di un’auto di Formula 1 dell’epoca) per una velocità massima di oltre 240 km/h.
Al raggiungimento di questo straordinario risultato contribuì anche il peso ridotto di soli 850 kg, ottenuto grazie a una carrozzeria in plastica rinforzata con fibra di vetro montata su un telaio in tubi, per con l’eccellente rapporto peso/potenza di 3,4 kg per CV.
Ispirata al futuro
Ma ovviamente un’automobile non funziona bene solo grazie a quello che c’è sotto, grande cura venne concentrata nello studio aerodinamico della carrozzeria, che arrivò a modificare le prime suggestioni che volevano l’adozione di una soluzione Coupé: Shigenori Fukuda scelse la più efficace Shooting Brake, che garantiva un migliore distacco al posteriore dei flussi d’aria con relativa pulizia e “chiusura” della scia. Tra le suggestioni estetiche rimaste quelle spaziali e aeronautiche derivate dal film “2001: Odissea nello spazio”, e anche l’ammirazione per le concept car Bertone che Mazda conosceva bene grazie alle precedenti collaborazioni.
L’idea fu quella di disegnare una vettura tanto efficiente quanto stupefacente, che non doveva assomigliare a una classica auto: la forma fortemente cuneiforme con anteriore tagliente (l’altezza di soli 1,065 cm la colloca tra le auto più basse al mondo) e posteriore alto e squadrato (tipo Kamm), i fari retrattili, il parabrezza panoramico molto rastremato, porte apribili verso l’alto e i vari ingressi e sfoghi d’aria che diventano elementi grafici.
Ma su tutti è il posteriore a stupire con il motore “sotto vetro” per essere ben visibile, la grande griglia di sfogo per l’aria, il doppio scarico rettangolare e una curiosa fanaleria a sezioni dall’ingegnoso funzionamento. Questa comprendeva delle luci che trasmettevano progressivamente all’esterno le azioni del conducente con luci rosse, gialle e verdi, oltre a quelle bianche per la retromarcia: in base all’intensità della frenata le luci rosse si accendevano per gradi, le gialle non appena si riduceva la velocità, mentre quelle verdi appena il veicolo era in accelerazione.
In giallo, verde e argento
Purtroppo la definitiva crisi petrolifera del 1973 bloccò il promettente progetto che fortunatamente è arrivato fino a noi. Nel 2008 ha subito un profondo restauro che ha mostrato sotto l’odierna colorazione argento i precedenti strati di vernice verde e gialla. L’auto era dunque originariamente verde, poi venne riverniciata di giallo per il Salone di Tokyo poiché quell’anno si decise che tutte le vetture Mazda esposte dovevano essere presentate nello stesso giallo brillante con interni rossi (nel caso della RX500 dal disegno molto essenziale).
Oggi la Mazda RX500 può essere ammirata al Numaji Transportation Museum di Hiroshima, ancora carica di fascino come quando comparì in quel lontano 1971.
Autore: Federico Signorelli