Non so come la pensiate voi, ma per me il nome di un’auto è molto importante. Pensate se la “Panda” si fosse chiamata “Nutria”…secondo voi avrebbe avuto lo stesso successo? Nel caso della Ferrari Enzo il discorso è diverso, perché le richieste furono talmente tante che la produzione venne aumentata da 349 a 399 esemplari, più uno speciale donato al Papa e poi messo all’asta per beneficenza e battuto alla stratosferica cifra di 6 milioni di dollari.
No, qui il problema del nome è concettuale. Se chiami un’auto con il nome del fondatore della Casa che la produce, che cosa potrai mai fare dopo? Ecco, purtroppo in questo caso abbiamo anche la risposta. Questione di gusti, per carità, ma in molti avrebbero preferito una bella sigla che speriamo ritorni con la prossima hypercar. In ogni caso, nome a parte, la Enzo è un vero gioiello. Il suo V12 da 6 litri con le bancate a 65° eroga 660 CV (657 Nm di coppia) e urla a oltre 8.000 giri senza l’ausilio di turbocompressori o sistemi ibridi.
Il resto della scheda tecnica, poi, ha così tante affinità con le Formula 1 dei primi anni Duemila che viene il dubbio di trovarsene una in garage sollevando i pannelli della carrozzeria, dove la fibra di carbonio la fa da padrona, senza dimenticare il telaio monoscocca (dove è presente anche l’honeycomb).
Le sospensioni a quadrilatero in configurazione push-rod sono invece realizzate in alluminio. L’impianto frenante utilizza dischi carbo-ceramici e la trazione è rigorosamente posteriore, con la scatola trasmissione fusa in un unico pezzo in magnesio ricavato dal pieno al cui interno si trova un bel cambio sequenziale a 6 rapporti a frizione singola. Insomma, la Enzo è un inno alla leggerezza e alla guida in pista, tanto che di serie non vengono installati nemmeno gli alzacristalli elettrici e l’aria condizionata, ma in questo modo la massa complessiva è contenuta in 1.255 kg, praticamente la stessa della F50 ma con una rigidità maggiore del telaio.
Dal punto di vista del design, invece, la Enzo non può vantare lo stesso impatto della mitica F40 e tantomeno della successiva F50. Il problema non è la mancanza della vistosa ala posteriore – marchio di fabbrica delle due supercar precedenti – quanto una certa mancanza di armonia complessiva dovuta alla estrema ricerca aerodinamica. Anche per questo la Enzo può fare a meno di spoiler fissi e utilizzarne solo uno mobile che il software decide quando far uscire dal cofano posteriore, generando fino a 775 kg di deportanza a a 300 km/h.
Insomma, quest’auto racchiudeva in sé una serie di concetti che le altre supercar avrebbero ripreso solo alcuni anni dopo. Lo conferma anche la piccola rivoluzione nell’abitacolo, dove iniziano a comparire i primi tasti sul volante, ma rimangono i suggestivi indicatori analogici con le lancette che impazziscono.
Completano il quadro di una hypercar certamente affascinante, un paio di dettagli come la velocità massima “oltre” 350 km/h – il classico 0-100 km/h richiede circa 3,5 secondi – e il collaudatore di eccezione che ha rifinitola messa a punto: un certo Michael Schumacher.
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