La Manovra 2025 ha introdotto un nuovo regime fiscale per le auto aziendali, con profonde implicazioni per aziende e dipendenti. Il cambiamento più significativo riguarda il criterio di tassazione dei veicoli concessi in uso promiscuo, ovvero utilizzati sia per scopi lavorativi che personali.
Se fino al 2024 la tassazione era basata sulle emissioni di CO2, ora conta esclusivamente il tipo di alimentazione del veicolo. Il risultato? Auto di lusso a trazione elettrica risultano più convenienti delle tradizionali citycar a benzina o Diesel.
A partire dal 1° gennaio 2025, le aliquote per la tassazione dei fringe benefit delle auto aziendali seguono un nuovo criterio:
Questa revisione fiscale penalizza in modo significativo le vetture con motore termico, mentre premia le elettriche e ibride plug-in, indipendentemente dal loro valore di mercato.
Il Sole 24 Ore ha evidenziato uno scenario paradossale: un’utilitaria come la Fiat Panda Hybrid, con un piccolo motore a benzina da 69 CV, viene tassata per un valore imponibile di 2.918,25 euro all’anno. Al contrario, un’auto di lusso come la Porsche Taycan elettrica ha un valore imponibile di 1.392,9 euro, meno della metà rispetto alla Panda.
Situazioni simili si verificano anche per altri modelli. Ad esempio, una Citroën ë-C3 immatricolata il 31 dicembre 2024 verrebbe tassata al 25% per un valore di 1.227,38 euro, mentre la stessa auto registrata un giorno dopo, con il nuovo regime al 10%, avrebbe un valore benefit di 490,95 euro. Questo dimostra come la tempistica di immatricolazione possa avere un impatto significativo sul carico fiscale del dipendente.
Questa nuova normativa ha sollevato non poche polemiche, soprattutto da parte di ANIASA (Associazione Nazionale Industria dell’Autonoleggio), che ha denunciato l’aumento della tassazione del 67% per le auto termiche. Ciò si traduce in un esborso medio aggiuntivo di 1.600 euro annui per i dipendenti che utilizzano veicoli benzina o Diesel.
Per le aziende, invece, la scelta della tipologia di veicolo diventa cruciale: optare per una flotta elettrica non solo riduce il costo fiscale a carico dei dipendenti, ma abbassa anche la base imponibile su cui vengono calcolati i contributi. Tuttavia, il passaggio forzato alle auto elettriche potrebbe risultare problematico per chi opera in settori con lunghi spostamenti o in zone con infrastrutture di ricarica inadeguate.
L’intento del governo con questa riforma è chiaro: incentivare l’elettrificazione del parco auto aziendale. Tuttavia, la struttura delle nuove aliquote genera distorsioni evidenti, premiando veicoli elettrici di alta gamma a discapito delle citycar, che da sempre rappresentano una scelta economica per i lavoratori.
La speranza è che venga introdotta una revisione più equilibrata del sistema, per evitare che una normativa pensata per favorire la transizione ecologica finisca per avvantaggiare solo chi può permettersi auto di lusso, penalizzando invece chi ha bisogno di un’auto piccola e accessibile per lavorare.
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