Nella classe 500, tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ’80, raccolsero il testimone della pluri decorata MV Agusta solo tre costruttori nostrani: la Cagiva, la Sanvenero e la Morbidelli. Tra queste, l’ultima era senza dubbio quella dotata di maggior carisma, essendosi dimostrata vincente nella classe 125 (con Paolo Pileri e Pier Paolo Bianchi ) e anche in 250 (con Mario Lega, campione del mondo 1977). Ma, come si dice, l’appetito vien mangiando e potendo sfruttare la base tecnica degli affermati motori a due tempi per ottenere la cilindrata desiderata con opportuni frazionamenti, non è difficile immaginare che a Giancarlo Morbidelli, vera anima passionale ma anche tecnica della piccola “factory” pesarese, sia sembrato naturale “raddoppiare” il motore di due e mezzo, per ottenere un quattro cilindri di mezzo litro sulla carta competitivo con l’agguerrita concorrenza dell’epoca.
Morbidelli: magia pesarese
Prima di occuparci della proposta più ardita messa in campo dalla Morbidelli, facciamo un rapido excursus sulla sua storia, raccontandola con le parole dello stesso Giancarlo Morbidelli, registrate in un’intervista raccolta da Franco Daudo: “Mio padre era un agricoltore. Mi mandò però alle scuole tecniche e scelse per me la specializzazione in falegnameria, poiché a Pesaro all’epoca nascevano tanti mobilifici e dunque pensò fosse più facile trovare un impiego se si conoscevano le basi di quel mestiere. Ma quella non era la mia passione, io ero per la meccanica… Alla fine andai a lavorare in un mobilificio, ma come manutentore delle macchine e delle attrezzature di produzione. Lì, tra le altre, operava una multi foratrice speciale, che solo un’azienda tedesca era in grado di fabbricare. Per questo in caso di guasto si doveva chiamare l’assistenza direttamente in Germania, che mandava i suoi tecnici tedeschi, con costi elevatissimi per il cliente. Per questo quando mi proposi per eseguire personalmente la manutenzione di quella macchina il titolare mi lasciò fare. Andò bene, tanto che il rappresentante di quella azienda mi chiese di lavorare per lui alla manutenzione e vendita in tutta Italia. Da lì pensai che forse avrei potuto io stesso realizzare una macchina di quel genere, magari ancora migliore. Per farla breve, fu così che nacque la Morbidelli, che al suo massimo splendore arrivò a occupare 350 persone ed esportava le sue macchine per la lavorazione del legno in 60 paesi… La mia passione per i motori mi seguì fin da giovanissimo. Ho sempre avuto il pallino per le elaborazioni, a cominciare dai micromotori più popolari del dopoguerra, come il Cucciolo o l’Alpino. Poi l’attività lavorativa mi ha un po’ distolto da questa passione che è poi tornata a galla quando l’azienda era ben avviata. Iniziai a sponsorizzare qualche pilota e scuderie esterne e infine decisi di investire su delle motociclette che portassero il mio nome. Dunque la prima Morbidelli aveva il telaio modificato di un Bianchi Falco e il motore derivato da un Benelli 50, cui rifeci testa e cilindro e trasformai l’alimentazione a valvola rotante. Le prime gare le fece Eugenio Lazzarini, nel 1969. Poi presi un tecnico e pilota milanese, Franco Ringhini, un ragazzo che studiò da impresario edile per volontà del padre ma che voleva fortemente lavorare nel settore della meccanica, tanto da accettare la mia proposta di collaborazione. Si trasferì a Pesaro dove fece cose egregie e dove mise addirittura su famiglia. Un altro tecnico che venne alla Morbidelli in tempi successivi, fu Jorg Moeller, che all’epoca lavorava alla Van Veen. Tentai anche con Jan Thiel, che però non poté accettare essendo già impegnato. Anche Moeller mi seguì a Pesaro, pur non sapendo una parola di italiano. E anche lui si stabilì da queste parti. Siamo gente ospitale, con cui si sta bene…”.
Dopo Lazzarini e Ringhini entra a far parte della scuderia Morbidelli il romano Alberto Ieva (che conquisterà il primo titolo tricolore nella classe 50 per la piccola Casa pesarese nel 1971). Nel 1970 arriva la 125, che Gilberto Parlotti vince il primo GP mondiale per la Morbidelli, sulla pista di Brno, in Cecoslovacchia. Dopo un buon 1971, culminato con la conquista del titolo italiano nella 125, una vittoria e due secondi posti nel mondiale, il pilota triestino parte con grandi ambizioni per il 1972, stroncate però da un incidente mortale al Tourist Trophy, dopo due vittorie, un secondo e un terzo posto nelle prime quattro prove del mondiale…
Nonostante il grande dolore, lo sviluppo della 125 non conosce soste, soprattutto per l’arrivo del tecnico tedesco Jorg Moeller, vero mago del due tempi. Il 1975 è dunque l’anno del primo titolo mondiale, per merito del pilota ternano Paolo Pileri, seguito da quelli del riminese Pier Paolo Bianchi (1976-77). L’ultimo coincide anche con il primo alloro nella classe 250, il capolavoro del pilota di Lugo di Romagna Mario Lega, che sfoggia una grande professionalità nell’amministrare una stagione non facile, con tanti avversari forti e tante macchine ufficiali, prime fra tutte le Harley-Davidson di Villa e Uncini e le Kawasaki. Alla fine Lega ottiene una sola vittoria ma tanti piazzamenti che gli permettono di prevalere, e in modo consistente, sui due piloti italiani. Un altro titolo nella quarto di litro sarà sfiorato dal giovane Graziano Rossi (si, proprio il papà del Valentino nazionale!) nel 1979.
Giunta all’alba degli anni ’80, la Morbidelliha nel suo palmares 8 titoli italiani, 4 mondiali piloti, 3 mondiali Costruttori, 35 vittorie nei GP nelle classi 125 e 250 e ha annoverato tra i suoi piloti, oltre a quelli già citati, anche Otello Buscherini, Silvio Grassetti, Angel Nieto, Marco Lucchinelli, Jon Ekerold, Dieter Braun e il Giacomo Agostini, che corse una sola gara con la Morbidelli 250 l’8 agosto 1976 a Misano, giungendo secondo in una prova di campionato italiano.
Nasce il progetto 500
Nel marzo del 1979 il neonato motore 4 cilindri 500 viene sottoposto alle prime prove al banco. Si tratta di un’unità che riprende i motivi tecnici delle vittoriose bicilindriche: due tempi, raffreddamento a liquido, ammissione a dischi rotanti. Ricordiamo che la Morbidelli fece già una fugace apparizione nel 1973 con un 4 cilindri 350 che non fu mai impiegata in gara e che, detto per inciso, non ebbe alcun legame con la successiva 500, ma restò un esercizio tecnico fine a se stesso. Abbiamo chiesto a Morbidelli chi progettò quella moto e Giancarlo sorride, sottintendendo che ci lavorò in prima persona: “Io ho sempre cercato dei collaboratori che mi piacevano. Gli spacconi non mi sono mai piaciuti. Meglio uno modesto che magari ne sapeva di meno ma che però ragionando e facendo valere le proprie capacità sapeva venire a capo di problematiche anche complesse. E’ forse un’eredità della cultura di mio padre, che era un agricoltore… Per il telaio, volli che la struttura fungesse anche da serbatoio. Utilizzammo della lamiera di Peraluman 300 sagomata e saldata, cui era fissato il cannotto di sterzo, tornito e con le sedi per delle boccole eccentriche per regolare l’inclinazione dello sterzo. L’utilizzo di questo materiale ci fu consigliato da un tecnico della Montecatini, un’azienda che aveva un’importante sede a Pesaro ed era all’avanguardia nella tecnologia dei materiali”. Morbidelli ha sempre voluto partecipare personalmente anche alla costruzione: “Andai all’ospedale per colpa di quella lamiera”, prosegue Morbidelli. “Non era mica quella delle pentole! Suonava come uno strumento musicale quando la si batteva col martello per darle le forme volute. Passai tante ore per sagomare le fiancate nella zona delle ginocchia e le vibrazioni trasmesse al mio braccio durante la battitura mi crearono dei fortissimi dolori muscolari braccia…”. Nello studio di Morbidelli ci sono tanti dipinti e disegni: “Mi è sempre piaciuto disegnare e dipingere. Inizialmente i disegni tecnici di massima li facevo io, poi mi avvalsi dell’aiuto di qualche tecnico della Benelli che, a tempo perso, veniva ad aiutarmi nel disegno dei pezzi che dovevamo costruire, prima per i macchinari per la lavorazione del legno e poi anche per le moto”.
Riguardo il motore della Morbidelli è interessante il racconto di Franco Dionigi, meccanico storico della Casa pesarese e profondo conoscitore di tutta l’evoluzione tecnica delle moto. Anche lui è stato intervistato da Franco Daudo: “Il motore fu abbozzato da Morbidelli in persona. Mi ricordo che i primi ragionamenti furono fatti davanti a una lavagna… Poi fornì degli schizzi di massima su come voleva la disposizione dei cilindri e degli altri organi meccanici. Inizialmente pensò anche a un quattro cilindri boxer longitudinale contrapposto che però aveva ingombri incompatibili con quelli della ciclistica”. A quell’epoca Moeller aveva già lasciato il reparto corse pesarese e, in pratica, il compito di realizzare il motore fu affidato proprio a Dionigi che, sempre seguendo le indicazioni di Morbidelli, realizzò i modelli per la fonderia del carter motore, ovvero il cuore del motore, in vista anche dell’utilizzo della struttura monoscocca del telaio, e seguì la realizzazione di tutti i componenti: “Io non ero un ingegnere, ma avevo la scuola di Moeller e quella di anni di pista. Alla fine si arrivò a un progetto definitivo. In pratica utilizzammo due alberi motore della 250 coi relativi dischi di ammissione e li fasammo tramite ingranaggi. I gruppi termici erano derivati da quelli del due e mezzo e lo stesso dicasi per gli scarichi, almeno inizialmente”. Fin dalle prime prove il motore diede una potenza notevole, ma difettava nella coppia: “Sul rettilineo del vecchio tracciato del Nurburgring, Graziano Rossi era velocissimo”, ci ha raccontato Dionigi, “tanto che venne perfino a farci visita ai box Kenny Roberts, che restò veramente stupito di come andava la moto. Ma avevamo poca coppia. Il motore scaldava parecchio e dovemmo intervenire sulla pompa dell’acqua, utilizzandone una derivata da un motore auto”. Nel 1979, la Casa era impegnatissima nella 250 anche perché a inizio stagione c’era da mettere a punto una rivoluzionaria ciclistica disegnata dal tecnico e pilota americano Philippe De Lespinay. Un impegno non indifferente che però, alla fine non diede i risultati sperati, nonostante sia Giancarlo Morbidelli sia Graziano Rossi vi riponessero molte speranze. Per questo per il debutto nella classe 500 fu scelto di utilizzare una ciclistica convenzionale come quella di una Yamaha 750. La prima gara della stagione si corse a Hockeneim dove Rossi conquistò un incoraggiante tredicesimo tempo in prova, seguito, purtroppo da un ritiro in gara. Passa una settimana e si corre il GP delle Nazioni a Imola e lì arrivano i primi punti iridati (che a fine stagione saranno gli unici!) con il nono posto. Altalena di speranze e delusioni, l’anno del debutto si chiude con la notizia che il pilota su cui si era puntato per il progetto 500, Graziano Rossi, nel 1980 passerà alla Suzuki, con il team Gallina. Nella 250, tornata nel frattempo a una ciclistica più convenzionale, il pilota pesarese infila una serie di risultati positivi che lo proiettano tra i favoriti per il titolo. Anche per questo il progetto 500 rallenta…
1980 = telaio monoscocca
Nel gennaio del 1980 viene presentata a Pesaro, l’arma della Morbidelli per il mondiale 500. Il motore resta quattro cilindri (in effetti 2 coppie di bicilindrici 250, inclinati in avanti di circa 45°) con potenza di oltre 130 CV e disposizione definita in quadrato, molto in voga allora. I cilindri della bancata superiore hanno lo scarico rivolto all’indietro, per avere le espansioni di scarico pressoché rettilinee. L’alimentazione è a dischi rotanti con 4 carburatori Mikuni con diffusore da 34 mm. Frizione multidisco a secco, dimensionata per la grande coppia da trasferire alla ruota. Cambio a sei rapporti. Teste e cilindri con raffreddamento a liquido con scambiatore e pompa centrifuga di circolazione, che prende il moto da uno degli alberi motore. Ma la grande novità è nel telaio: una struttura monoscocca in lamiera di alluminio saldata, che ingloba il serbatoio e in cui il motore risulta appeso. Controcorrente per l’epoca e, se vogliamo, un po’ obsoleta la scelta del doppio ammortizzatore posteriore. Andiamo all’aspetto agonistico. La scelta del pilota cade sul romano Giovanni (Gianni) Pellettier, reduce da una discreta stagione in sella a una Suzuki privata ma soprattutto conosciuto nell’ambiente per essere stato un eccellente pilota nel campionato riservato alle moto derivate dalla serie. Il debutto avviene nel Gran Premio delle Nazioni a Misano. Franco Dionigi non fa più parte della Morbidelli, è passato alla neonata Ad Majora, che ha rilevato il materiale Morbidelli per la classe 250. Al Santa Monica (come si chiamava allora il tracciato di Misano) il ritiro, dopo aver stabilito l’ultimo tempo utile in prova (il trentesimo). Dopo due consecutive mancate qualificazioni (Spagna e Francia) si effettuano dei test al Mugello, a cui partecipa anche il pilota transalpino Estrosi. Miglioramenti pochi: mancata qualifica in Belgio, saltati i Gp in Finlandia e Inghilterra, ventunesimo posto in Germania. Qualche soddisfazione viene nelle gare del Trofeo Nazionale a Misano (due primi posti) e nelle ultime prove del Campionato Italiano (tre terzi e un secondo posto). In inverno la moto pur mantenendo il lay-out generale, subisce grandi modifiche grazie anche all’apporto del tecnico Dionigi e alle prove svolte a Daytona con Rossi, tornato sui suoi passi, dopo un buon quinto posto nel mondiale 1980 in sella alla Suzuki.
La moto fin dall’inizio mostra una preoccupante fragilità che sara confermata nel prosieguo della stagione. Tre ritiri, alla 200 miglia di Imola e del Paul Ricard e nel campionato italiano a Misano. A Salisburgo, primo atto del mondiale, 32° tempo in qualifica e ritiro in gara e peggio ancora nelle gare successive. Rossi rinuncia ed è ripescato Pellettier, ma la situazione non migliora: nei GP una mancata qualificazione e cinque ritiri, di cui due per caduta. Stessa sorte nell’italiano, con due ritiri. Nel 1982 c’e’ il disimpegno della Morbidelli e tutto il materiale per la stagione viene gestito da Pellettier, con una sua struttura e l’ausilio del tecnico perugino Bevilacqua. E’ il canto del cigno . Come ci ha raccontato ancora Morbidelli: “Pellettier volle che nel team fosse coinvolto anche un suo meccanico di fiducia, che però non avendo visto nascere questa moto e partecipato al suo sviluppo non riuscì a dare un contributo concreto alla messa a punto definitiva”. Nelle prime gare quattro ritiri, poi il quindicesimo posto in Francia e il diciannovesimo nel Gran Premio delle Nazioni a Misano. Seguono tre mancate qualifiche (Olanda, Belgio e Jugoslavia) e la diserzione dei Gran Premi nordici. L’ultimo Gran Premio riassume un’annata disastrosa: trentottesimo tempo in prova, non qualificata ma ripescata per la gara grazie a due rinunce. Alla fine ventesimo posto a sei giri dal vincitore Randy Mamola, con la Suzuki. Ultima gara la prova conclusiva del Campionato Italiano a Imola: Pelletier è soltanto nono. Per concludere abbiamo chiesto a Giancarlo Morbidelli perché il progetto 500 non ebbe lo stesso successo di quelli delle classi inferiori: “In quel periodo mio figlio Gianni, che preferì fin da piccolo le quattro alle due ruote, nonostante avessi tentato di metterlo in moto fin da bambino, stava raggiungendo l’apice del successo. Partito dai go-kart, passo dopo passo, era arrivato fino alla Formula 1. A quel punto desiderava che io lo seguissi stabilmente. Era giovane e aveva bisogno di un sostegno morale e di protezione. Così decisi di dedicarmi a lui, trascurando inevitabilmente le mie moto. E dunque anche la 500”.
Testo Franco Daudo e Roberto Isopi.
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