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I costruttori auto si lamentano ma non si sono opposti alle politiche Ue

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Mentre l’auto elettrica affonda nel Vecchio Continente e si inasprisce la polemica fra costruttori e vertici Ue, emerge con tutta chiarezza un dato centrale: né il top management delle Case né i massimi decisori nelle stanze del potere di Bruxelles sono vittime. È una corresponsabilità, come quando ci sono due colpevoli in un incidente stradale a un incrocio.

Il silenzio dei non innocenti

Nel 2019, nel momento in cui i Verdi, spinti dalla Germania, hanno iniziato a parlare di Green Deal e di auto elettrica nell’Unione europea, con bando termico 2035, non si è alzata nemmeno una voce di dissenso fra i Gruppi auto. I quali o speravano di creare un nuovo business col full electric più redditizio rispetto a quello delle macchine a benzina/diesel, oppure ritenevano che a un certo punto la Commissione Ue si sarebbe fermata e avrebbe fatto retromarcia.

Invece, dopo che l’olandese Frans Timmermans è stato nominato dalla tedesca Von der Leyen vicepresidente esecutivo della Commissione europea per il patto verde europeo, Bruxelles è andata sino in fondo. Dietro la spinta del francese Thierry Breton, all’epoca commissario europeo per il mercato interno e i servizi della commissione. I due uomini, prima Timmermans e poi Breton, si sono defilati, lasciando Ursula da sola.

I lamenti tardivi dell’Acea

L’Associazione costruttori auto europei, Acea, ha di recente alzato i toni. Un po’ tardi. “Mancano le condizioni cruciali per raggiungere la spinta necessaria nella produzione e nell’adozione di veicoli a zero emissioni, dice: infrastrutture di ricarica e rifornimento di idrogeno, nonché un ambiente di produzione competitivo, energia verde accessibile, incentivi all’acquisto e fiscali e una fornitura sicura di materie prime, idrogeno e batterie”. Inoltre, le attuali norme non tengono conto del profondo cambiamento del clima geopolitico ed economico degli ultimi anni, dice. Con la prospettiva di “multe multimiliardarie Ue alle Case o di inutili tagli alla produzione, perdite di posti di lavoro e una filiera europea indebolita”. Insomma, la tempesta perfetta.

Tutto vero. Ma la protesta arriva qualche anno dopo rispetto al necessario: un treno che viaggia in grave ritardo. Né l’attività di lobbying a Bruxelles né le campagne a livello mediatico sono state efficaci quando dovevano esserlo.

Autore: Mr. Limone

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