Una maionese impazzita, un genio fuggito dalla lampada, un gioco elettorale scappato di mano al conservatore David Cameron. Questi i commenti all’attuale situazione politica d’oltremanica.
La deriva euroscettica cavalcata dal Primo Ministro di Londra – che nel 2013 annunciò un referendum per l’uscita dall’UE e all’interno di quest’ultima ha sempre tenuto una linea finalizzata ad allentarne i “legacci” – si sta traducendo in una fuga di voti per la sua fazione e in un’esplosione antieuropea nell’opinione pubblica inglese. È di questi giorni un sondaggio di YouGov che, nelle elezioni comunitarie della prossima primavera, da i Tories dietro non solo ai rivali Laburisti, ma allo stesso UKIP, il partito eurofobo e populista di Nigel Farage.
Insomma, la possibilità che l’eventuale referendum del 2017 veda l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è più di una semplice boutade, considerando anche l’atteggiamento ai limiti dello snobismo che i sudditi di Elisabetta II hanno sempre avuto nei confronti del Vecchio Continente. La (azzardata) proposta di Cameron ha innescato una spirale da cui sarà difficile uscire indenni, visto che l’idea di una consultazione popolare ha galvanizzato l’euroscetticismo interno e fatto infuriare i partner di Bruxelles. È vero che l’economia inglese di questi tempi va meglio di quella europea, ma quali sarebbero le possibili conseguenze in ambito automotive di un distacco dal mercato unico?
Ford, Nissan e Honda pronte a rivedere la propria presenza in UK
L’uscita inglese dall’Europa è vista come fumo negli occhi dai produttori di auto che hanno stabilimenti nel Regno Unito: Nissan, Honda e Ford si sono già fermamente opposte a un’iniziativa di questo genere per due motivi principali. Il primo è l’incertezza relativa alle conseguenze in termini di dazi e tasse, che potrebbe rendere non conveniente esportare vetture in UE. Il secondo riguarda le stringenti normative su sicurezza, emissioni e quant’altro, che dovrebbero essere comunque rispettate dalle automobili made in UK, senza però alcun diritto del governo a partecipare nel processo decisionale e normativo. Insomma, uscire dall’Europa significherebbe dover continuare a trattare con i principali partner commerciali – d’altronde le fabbriche inglesi sfornano vetture prevalentemente destinate al Vecchio Continente – ma da una posizione esterna, priva dei vantaggi del mercato unico.
I numeri dell’automotive nel Regno Unito sono assai consistenti: la sola Ford occupa circa 15.000 persone nello sviluppo e assemblaggio di propulsori e trasmissioni, con un indotto stimato di altri 100.000 lavoratori. Lo stabilimento di Nissan UK, a Sunderland, è ai vertici della qualità e produttività mondiale e costruisce la Note, la Leaf, la Qashqai e la Juke, con oltre 6.000 dipendenti. E che dire degli investimenti futuri, che prevedono la realizzazione della compatta premium Infiniti Q30? Anche Honda non è da meno, a Swindon occupa circa 3.500 persone e produce la CR-V, la Civic, la Jazz e il nuovo motore 1.6 turbodiesel. Poi ci sono MINI, Vauxhall, Toyota, JLR e una miriade di altri marchi.
L’ultimo ad affrontare la questione del referendum antieuropeo è stato Steve Odell, Chief Executive Ford in Europa, Medio Oriente e Africa, il quale ha dichiarato al Telegraph che, uscendo dalla UE, il Regno Unito si comporterebbe come chi “si taglia il naso per far dispetto al proprio volto”. In Italia non ci sono Ford, Nissan e Honda, ma abbiamo pur sempre il gruppo Fiat. E inoltre abbiamo un’espressione equivalente a quella di Odell, ma decisamente più colorita, che parla di un marito che si taglia qualcos’altro per far dispetto alla moglie. Cari antieuropeisti nostrani, ci siamo capiti.