La produzione del colosso cinese BYD in Ungheria partirà nel 2025: la terra magiara sarà preziosa per il mega Gruppo di Shenzhen, che potrà aggirare i dazi UE sulle auto Made in China ed esportate in Europa. Mentre altri produttori automotive del Dragone sono interessati ad aprire fabbriche nel Vecchio Continente (vedi CATL in Spagna in particolare), l’Italia resta fuori dai giochi. Perché?
Un passo indietro
A illudere tutti è stato il Ministro delle Imprese, Adolfo Urso, che a marzo 2024 annunciava come il Belpaese avesse bisogno di una seconda azienda, in aggiunta a Stellantis, per raggiungere la fatidica quota di un milione di veicoli l’anno prodotti nei nostri confini: “Da diversi mesi stiamo dialogando con tre gruppi cinesi”. È “un lavoro gestito anche attraverso una task force dedicata e che pensiamo possa concretizzarsi in tempi sufficientemente rapidi”. All’epoca si fece il nome di BYD, Chery e Saic. Poi Dongfeng. Ma non se n’è fatto nulla. Un vero peccato, perché le Case orientali rappresenterebbero ossigeno per l’occupazione e l’indotto, con la filiera italiana preparata a dare supporto ai cinesi.
Ostacoli altissimi
Il governo Meloni paga la presenza cronica di ostacoli altissimi in Italia: burocrazia, tassazione, costo dell’energia e del lavoro. Inoltre, ha detto sì ai dazi anti Cina; Pechino sta esortando le proprie società a stare alla larga dalle nazioni favorevoli alle tassazioni contro l’industria dell’ex Celeste Impero. Di contro, l’Ungheria (e la Spagna) hanno votato no ai dazi cinesi.
Questione gas
Pesa parecchio l’allineamento totale dell’Italia alle indicazioni Ue. Bruxelles cerca di recidere il cordone ombelicale che la lega agli idrocarburi di Mosca, per punire la Russia di Vladimir Putin, danneggiandola con le sanzioni. Al contrario, Budapest è in trattative con Gazprom, punta addirittura a un aumento delle importazioni di petrolio e gas dalla Federazione, il che abbassa il costo dell’energia nella nazione magiara. Rendendo più attraente la patria di Viktor Orbán agli occhi di potenziali investitori della Terra di Mezzo. Se l’Unione mettesse in discussione la strategia dell’Ungheria, questa userebbe il proprio potere di veto per bloccare le sanzioni russe, rinnovate solo all’unanimità dai Ventisette ogni sei mesi.
Nota a parte. In tutto questo, il Cremlino così tanto isolato non appare più, visto che il cancelliere tedesco Olaf Scholz, alle prese con la crisi dell’esecutivo di sinistra, ha chiesto e ottenuto un incontro col leader russo.
Autore: Mr. Limone