Quando nell’autunno del 1978 si aprirono i cancelli del 64° Salone di Parigi, gli appassionati delle auto sportive non avevano che una destinazione: lo stand della BMW Motorsport GmbH.
Lì potevano ammirare un nuovo modello super ribassato ed estremamente dinamico che dimostrava chiaramente già dal primo sguardo di essere la più veloce auto sportiva stradale tedesca: la BMW M1, alta 1.140 mm, potente (277 CV) e veloce (ben oltre i 260 km/h).
“Tutti sono corsi intorno alla nuova auto sportiva della BMW con motore centrale – scriveva la stampa – e l’elenco degli ordini in arrivo supera le più rosee aspettative. Per esempio, un appassionato americano di BMW ne ha già ordinati tre esemplari”. Era qualcosa di impressionante, considerando che, nel 1978, la super sportiva BMW aveva un prezzo di esattamente 100.000 marchi, abbastanza per acquistare quattro BMW 323is più un paio di optional extra.
Sarebbe giusto dire che poche automobili erano attese con tanto entusiasmo ed aspettativa come la BMW M1, che rappresentava tutto il know-how della casa di Monaco in termini di sport motoristico. Il Progetto E 26, come veniva indicata la M1 internamente all’azienda, era iniziato nel 1976. Doveva essere questa la prima vettura veramente eccezionale costruita dalla BMW Motorsport GmbH, divisione sportiva della BMW fondata nel 1972.
Essendosi già creata un nome sulla scena internazionale delle competizioni con la veloce BMW 2002 e con la fantastica BMW 3.0 CSI, la divisione sportiva ora intendeva portare questo successo ad un livello ancora più alto con un’auto da competizione costruita e preparata appositamente per le gare dei Gr. 4 e 5.
Secondo i regolamenti del Gr. 4 dell’epoca, per qualificarsi veniva richiesto un numero di esemplari costruiti non inferiori a 400 unità in 24 mesi, la vettura doveva avere due posti e somigliare esternamente alla versione di serie. Così fu ben chiaro che l’E26 doveva essere non soltanto una vera auto da corsa, ma anche un’auto sportiva stradale.
Il problema era che la BMW Motorsport GmbH non era in grado di sviluppare e costruire da sola una simile vettura. Dopotutto, questa squadra di specialisti si era concentrata fino ad allora “semplicemente” nella trasformazione di auto di serie in auto da gara, rinforzando telai e sospensioni e potenziando i motori. Nelle sue linee di progettazione, la nuova coupé doveva chiaramente evidenziare lo stile italiano così speciale. Fu costruita tenendo presente un’auto turbo con portiere ad ali di gabbiano, una concept car turbocompressa creata nel 1972 dal progettista BMW Paul Bracq. Partendo da questo studio di progetto con le sue linee arrotondate, Giorgio Giugiaro creò il profilo filante dell’M1 con le sue linee e con i suoi angoli quasi taglienti. Infatti, Bracq e Giugiaro avevano già collaborato in passato nel creare la BMW Serie 6 coupé.
Per la scelta del motore, la BMW Motorsport GmbH si era concentrata inizialmente su due concetti: studi avanzati di motori di Formula avevano, tra l’altro, portato ad un dieci cilindri denominato in codice M81, un motore a V con i suoi cilindri disposti con un angolo di 144 gradi. Modificato allo scopo, questo motore fu anche esaminato per il possibile utilizzo in un’auto sportiva da turismo. Ma poi l’équipe del Direttore della BMW Motorsport, Jochen Neerpasch, optò ben presto per un nuovo sei cilindri in linea, un concetto di motore già collaudato dalla grande esperienza che BMW aveva acquisito nelle gare con la CSI.
Dopo congetture di ogni genere da tutte le parti, nella primavera del 1977 la BMW svelò il segreto, confermando ufficialmente lo sviluppo della nuova auto super sportiva. Poi, nell’autunno dello stesso anno, BMW pubblicò le prime foto dell’M1 in versione stradale e la vettura fece quindi la sua prima apparizione in pubblico sei mesi più tardi. Insieme al presentatore televisivo Dieter Kürten, Jochen Neerpasch presentò con orgoglio la versione del Gr. 4 nei colori della Motorsport GmbH nell’ambito di un programma TV sportivo di sabato in prima serata sul Canale Due della Televisione Tedesca. E, sebbene questa macchina da corsa con il numero undici non fosse ancora pronta per gareggiare, le prime prove furono programmate per l’aprile del 1978.
Il gran giorno arrivò finalmente nell’autunno dello stesso anno ed il pubblico potè ammirare la prima E26 al Salone di Parigi. Ormai la vettura portava la designazione di modello M1, che indicava la prima auto sviluppata e costruita dalla BMW Motorsport GmbH.
Con dimensioni di 4.360 mm di lunghezza, 1.824 mm di larghezza e 1.140 mm di altezza, la M1 evidenziava la sua genuina propensione sportiva. Infatti, quest’auto sportiva a motore centrale montava un propulsore sei cilindri in linea di 3,5 litri posto longitudinalmente davanti all’assale posteriore in grado di sviluppare una potenza massima di 277 cavalli.
Denominato in codice M88, questo motore si basava sul sei cilindri di serie unito alla testata con quattro valvole per cilindro proveniente dai motori da gara della BMW CSI. All’interno di questa testata, la sezione inferiore formava la camera di combustione e di raffreddamento, mentre la metà superiore comprendeva i cuscinetti dell’albero a camme ed i bicchierini delle valvole. La miscela aria/benzina veniva convogliata nei cilindri attraverso tre collettori di aspirazione a doppia farfalla dotati di sei farfalle singole da 46 mm e due collettori di aspirazione del diametro di 26 mm per ogni cilindro. Il sistema digitale di accensione, completamente elettronico, rifletteva anch’esso le ultime trovate in materia. La lubrificazione mediante pompa a secco testimoniava chiaramente il DNA sportivo dell’M1, essendo la vettura in grado di raggiungere un altissimo livello di accelerazione laterale. Il carburante veniva fornito al motore da due serbatoi posti ai lati davanti all’assale posteriore di 58 litri ciascuno. La potenza veniva trasmessa dal motore attraverso un cambio ZF a cinque marce collegato al motore per mezzo di una frizione a doppio disco a secco. Il rapporto finale del differenziale prevedeva un bloccaggio del 40 percento.
Il sei cilindri si dimostrava fluido e privo di vibrazioni ad ogni regime, rimanendo docile anche alle basse velocità. Ma tutto cambiava istantaneamente non appena la lancetta raggiungeva i 5.000 giri/min. e l’M88 continuava a spingere l’M1 verso il regime massimo di 7.000 giri, facendo sì che anche i collaudatori più disincantati ne decantassero le lodi: “Una volta che le farfalle sono completamente aperte, si sente una spinta incredibile, spinta che continua ben oltre i 200 km/h. Non c’è necessità di passare in quinta marcia, per esempio, fino a 213 km/h e da quel momento si continua ad accelerare sempre più fino a raggiungere la velocità massima”. Velocità che, come fu riportato dal principale periodico automobilistico tedesco nell’autunno del 1979, era di 264,7 km/h. Anche l’accelerazione da 0 a 100 km/h in 5,6 secondi sembrava molto buona, cosa che non doveva sorprendere considerando il rapporto peso/potenza di 4,7 kg/CV, che facilitava non poco le prestazioni del motore da 204 kW (277 CV).
L’M1 fu concepita e costruita per le corse fin dall’inizio con le elaborate sospensioni a doppi bracci oscillanti su ciascuna ruota, ammortizzatori a gas e due barre antirollio. Con l’eccezione della risposta, più orientata al confort, delle parti in movimento e della diversa regolazione delle molle e degli ammortizzatori, le sospensioni ed il telaio della versione stradale erano identici a quelle della versione da gara Gr. 4.
Quattro dischi ventilati assicuravano una forza frenante fenomenale a qualsiasi velocità e l’assale anteriore aveva un effetto anti-beccheggio pari al 30%, il che minimizzava i movimenti del corpo vettura anche in caso di frenata violenta. Infine, i pneumatici 205/50 VR 16 anteriori e 225/50 VR16 posteriori erano certamente, a quei tempi, molto grandi ed imponenti. Un basso centro di gravità, ad appena 460 mm dalla superficie stradale, una carreggiata anteriore di 1.550 mm e posteriore di 1.576 mm, insieme al concetto di motore centrale che permetteva una distribuzione dei pesi di 44,1:55,9 %, rendevano l’M1 un’auto eccezionale nelle curve, anche se la vettura richiedeva un pilota molto esperto quando spinta al limite. Cosa tipica per un’auto prestazionale a motore centrale con un basso livello di inerzia sul suo asse verticale, l’M1 richiedeva un veloce e potente controsterzo non appena l’accelerazione laterale superasse un limite ragionevole ed il retrotreno tendesse a scappare.
Ma lo sterzo a cremagliera non servo-assistito e con un rapporto diretto di trasmissione era semplicemente perfetto per questo genere di controllo. L’angolo d’incidenza ed un raggio di sterzata limitato servivano allo stesso tempo ad unire la facilità di controllo con un efficace contatto con l’asfalto assolutamente essenziali per il guidatore. Il piantone dello sterzo di sicurezza a due giunti, a sua volta, era regolabile per adattarsi al singolo pilota.
400 unità della nuova vettura dovevano essere costruite entro 24 mesi per poter ottenere l’omologazione per le competizioni Gr. 4. Quindi, per mettere in pista l’M1 al più presto, il Direttore della Motorsport GmbH, Jochen Neerpasch, si unì a Bernie Ecclestone e a Max Mosley per lanciare la Serie Procar che prevedeva gare subito prima della maggior parte dei Gran Premi europei di Formula 1 nella stagione 1979/80.
La grande differenza rispetto alla versione stradale era costituita dal motore della versione racing della Procar: il primo passo per le gare era di mettere a punto il classico M88 sei cilindri nel modo convenzionale, con nuovi alberi a camme, valvole maggiorate, pistoni forgiati, condotti di aspirazione ottimizzati, sistema a saracinesche al posto delle farfalle ed un sistema di carico modificato che portava la potenza a 470/490 CV.
Con tale potenza, la versione Procar, che pesava appena 1.020 kg e che disponeva del rapporto di trasmissione più lungo raggiungeva una velocità massima di circa 310 km/h. Montava pneumatici Goodyear da corsa delle dimensioni 10,0/23,5 x 16 davanti e 12,5/25,0 x 16 al retrotreno che, insieme al grande spoiler posteriore, servivano a fornire il giusto grip.
Alla guida di una di queste BMW M1 Gr. 4, Marc Surer girò sul Circuito del Nurburgring in appena 7’55”9. Costruita secondo i regolamenti del Gr. 4, l’M1 non soltanto fu messa a disposizione di cinque piloti di Formula 1 in ogni gara del Trofeo Procar, ma fu anche venduta direttamente dalla fabbrica come prima auto pronta per le gare della BMW Motorsport GmbH al prezzo di 150.000 marchi. Infatti, alcuni dei più famosi team approfittarono subito di questa offerta. Schnitzer e Heidegger portarono le M1 di loro proprietà in pista, proprio come fecero Osella in Italia e Ron Dennis in Gran Bretagna.
Traendo beneficio da questo mix di BMW M1 preparate per le gare dalla Motorsport GmbH e di quelle presentate dai team privati, e con la partecipazione di grandi nomi della Formula 1 insieme a piloti ambiziosi di altre categorie, la Serie Procar divenne molto popolare. Era qui che i migliori piloti del mondo si battevano con i veterani e con i nuovi arrivati, confrontando le loro abilità con automobili praticamente identiche sotto ogni punto di vista.
Il fattore cruciale, quindi, era costituito dall’abilità di guida – e fu proprio questo che attirò l’attenzione delle folle. Infatti, le gare Procar divennero popolari quanto le prove del Campionato del Mondo di Formula 1 che seguivano. La ricetta per il successo era stata perfettamente preparata. I cinque piloti di Formula 1 più veloci nelle sessioni di prova del venerdì si schieravano contro 15 specialisti delle auto turismo. Con le gare Procar che si correvano il sabato, i primi cinque posti sulla griglia erano destinati alle star; gli altri venivano assegnati ai piloti turismo secondo i loro tempi di prova. Tutti i piloti ed i team erano felici di partecipare alla Serie Procar, purché questo non fosse impedito da alcuni cavilli contrattuali.
È per questo che il 12 maggio 1979, il sabato prima del Gran Premio del Belgio a Zolder, i due piloti più veloci in prova non poterono prendere posto sulle M1: infatti, Gilles Villeneuve e Jean-Pierre Jabouille avevano contratti esclusivi con altri costruttori.
Ma Jacques Laffite, detentore del terzo tempo più veloce nelle sessioni di prova, era felice di avviare il motore del BMW Gran Turismo come anche Clay Regazzoni, il detentore del titolo mondiale Mario Andretti, Niki Lauda e Nelson Piquet.
Nelson, che sarebbe diventato più tardi Campione del Mondo con la Brabham BMW e all’epoca il numero due del team Brabham dopo Niki Lauda, non era ancora in grado di prevedere la sua grande carriera e disse sorridendo: “Forse sono stato così veloce proprio perché volevo guidare una BMW”.
Anche gli avversari di Nelson portavano nomi importanti ed una grande reputazione: Hans-Joachim Stuck, che si sarebbe piazzato ottavo il giorno dopo nel Gran Premio di Formula 1 per il team tedesco ATS, l’allora detentore del titolo europeo di Formula 2 Bruno Giacomelli, i piloti BMW Motorsport Toine Hezemans e Dieter Quester, nonché Elio de Angelis, un’altra star della Formula 1. Quando i semafori diventarono verdi davanti allo schieramento di piloti Procar, Hans-Joachim Stuck ed il giovane pilota austriaco Markus Höttinger scattarono, lasciando alle spalle il resto del plotone dopo alcuni giri. Ma nella dodicesima tornata, i due si avvicinarono un po’ troppo, finendo contro le barriere.
Quindi, per citare un servizio sulla gara che riassumeva i venti giri: “il pilota italiano Elio de Angelis si è dimostrato il superman nella prima gara con le M1, non soltanto vincendola, ma facendo anche registrare il giro più veloce. E questo dopo essere partito dal 15° posto, rimontando fino al primo posto”. Secondo arrivò Toine Hezemans e terzo Clay Regazzoni.
Alla fine, però, i risultati iniziali cominciarono a cambiare nel corso della stagione Procar. Niki Lauda, già allora due volte Campione del Mondo di Formula 1, conseguì il maggior numero di punti alla fine della stagione. In otto gare della serie M1 Procar, Niki ottenne tre vittorie e un secondo posto. Quindi, anche se Hans-Joachim Stuck fu in grado di conseguire la vittoria nelle ultime due gare, terminò la stagione con cinque punti di distacco da Lauda.
Soltanto Clay Regazzoni mantenne il terzo posto fino alla fine della stagione. Dopo aver vinto le ultime tre gare nel 1980, l’anno successivo Nelson Piquet conseguì il titolo Procar, seguito da Alan Jones e Hans-Joachim Stuck. Forse non era una coincidenza, dal momento che Alan Jones, più tardi Campione del Mondo di Formula 1, era un fan sfegatato dell’M1 e divenne uno dei primi clienti ad entrare in possesso di quest’auto sportiva per uso privato. Questi eventi spettacolari segnarono più o meno la fine dell’M1 nelle gare di Gr. 4 per una semplice ragione: l’M1 era omologata per gareggiare soltanto dal 1° aprile 1981 ed i regolamenti furono cambiati nove mesi più tardi, rendendo pressoché impossibile per l’M1 ogni ulteriore partecipazione alle competizioni.
Neanche il successo dell’M1 nel Gr. 5 fu in grado di eguagliare l’enorme impatto della Serie Procar. Il Gr. 5 comprendeva automobili di produzione speciali derivate da vetture omologate in altre categorie – e questa infatti fu l’unica restrizione.
Le prime M1 ad entrare nel Gr. 5 montavano motori aspirati che sviluppavano una potenza massima di quasi 500 CV. Per poter gestire una coppia massima di 800 Nm, queste auto venivano dotate di un cambio Hewland FG 400 a cinque rapporti, con il bloccaggio del differenziale nel rapporto finale che andava dal 75 al 100%, a seconda del tracciato.
In seguito, i motori delle M1 del Gr. 5 furono portati a 1.000 cavalli grazie a due turbocompressori. E per trasmettere la massima potenza possibile sulla strada, la carrozzeria della vettura fu modificata con ogni genere di spoiler, rendendo così l’M1 un vero mostro alato. Fu allora che il Team Schnitzer, il principale specialista nella preparazione di BMW, trasformò un’M1 Gr. 5 in quella che fu la più potente auto sportiva del Campionato Turismo, utilizzando una carrozzeria di kevlar su un telaio appositamente rinforzato. Con questo genere di potenza, Hans-Joachim Stuck arrivò primo sia al Nürburgring che al Salzburgring.
L’M1 non era soltanto un’avanzatissima auto sportiva da corsa, ma anche un’eccezionale opera d’arte. Nel 1979, il famoso idolo della pop art Andy Warhol provò di persona a realizzare un’opera d’arte su un’M1 coupé pronta per le gare, utilizzando i suoi attrezzi, pennelli e colori, per far diventare l’M1 una delle più veloci opere d’arte del mondo.
Questa era la quarta Art Car della BMW, in una serie di opere artistiche basata su vari modelli BMW. Warhol fu il primo artista a dipingere direttamente la carrozzeria della macchina con veloci pennellate. “Ma la vettura in se stessa è migliore dell’opera d’arte”, commentò Warhol in seguito. Con il numero 76, la BMW M1 Art Car si battè per il titolo a Le Mans per tutte e 24 le ore, terminando in sesta posizione.
La produzione dell’M1 terminò nel 1981 dopo la realizzazione di 445 unità, 399 stradali e 46 in allestimento Procar. Ma il cuore dell’M1, il sei cilindri M88 24 valvole, era lontano dal pensionamento. In particolare, era troppo potente e superiore, capace di una grande progressione. Così, nel 1984 la Motorsport GmbH diventò ancora una volta argomento da prima pagina, facendo sì che gli appassionati di auto ad elevate prestazioni si sentissero di nuovo esaltati quando la M 635 CSi coupé e l’M5 da 255 km/h riesumarono il propulsore ad elevati regimi di rotazione dell’M1. In particolare, l’M5 costruita a mano divenne subito una vera leggenda: era davvero un lupo vestito da pecorella, con una potenza massima di 286 cavalli, quasi tre volte quella della 518i.
E, mentre a prima vista sembrava quasi uguale alla versione di serie, la velocità massima di 245 km/h catturò subito l’attenzione e l’ammirazione di innumerevoli proprietari di grandi berline e macchine sportive che, anche con l’acceleratore al massimo, dovevano lasciare strada all’M5 sulle autostrade. Non sorprende quindi che tutto ciò abbia segnato la nascita del “Businessman’s Express”, “la berlina sportiva”.
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