Negli ultimi anni la diffusione delle auto elettriche in Europa ha seguito un copione chiaro: più della domanda reale, a muovere il mercato sono stati i governi. E dopo la fine degli incentivi in Norvegia — il Paese pioniere della mobilità elettrica — ora anche il Regno Unito corregge strategia, inaugurando un cambio di passo che potrebbe diventare un precedente per l’intero continente.
Con la manovra finanziaria 2026, Londra ha scelto la via più complessa: rafforzare i bonus per chi acquista un’elettrica e, allo stesso tempo, introdurre nuove tasse sull’uso dei veicoli, secondo una logica “carota e bastone” che punta ad accelerare la transizione… ma anche a riequilibrare i conti pubblici, messi sotto pressione dal calo degli introiti legati ai carburanti.
Il problema di fondo: gli obiettivi Zev corrono, il mercato no
Nonostante il governo mantenga inalterato il suo ambizioso mandato Zev — che prevede vendite esclusivamente plug-in dal 2030 — la realtà dei numeri racconta un’altra storia: nel 2024, le elettriche pure hanno raggiunto solo il 19,6% delle immatricolazioni, ben lontane dal target del 22%.
Una distanza sufficiente a costringere Londra non solo a riattivare gli incentivi, ma anche a introdurre maggiore flessibilità:
- deroghe per le ibride plug-in fino al 2035,
- tassazione più morbida,
- e un sistema transitorio che eviti di mettere i costruttori con le spalle al muro.
Il risultato? Una transizione che resta obbligatoria, ma che ora assomiglia sempre più a un compromesso politico.
Bonus miliardari, colonnine finanziate e molte domande aperte
Il nuovo pacchetto prevede 2 miliardi di sterline di incentivi fino al 2030, anche se le modalità di erogazione devono ancora essere definite e l’intera struttura finanziaria attende l’ok del Parlamento.
Accanto ai bonus, arrivano 200 milioni per accelerare la rete di ricarica: fondi che si affiancano a semplificazioni autorizzative e agevolazioni fiscali per chi installa colonnine.
Ma nonostante gli sforzi statali, nei primi dieci mesi del 2025 la crescita dell’elettrico è dipesa quasi esclusivamente dalle campagne aggressive delle case automobilistiche, costrette a spingere i BEV per evitare sanzioni legate ai target Zev.
E il ritmo si farà ancora più stringente:
- 33% di quota elettrica nel 2026,
- 38% nel 2027,
- 52% nel 2028,
- 80% nel 2030 (con un 20% di PHEV ancora ammesso),
- 100% nel 2035.
Una scaletta che mette i costruttori davanti a un percorso obbligato, ma che richiederà un mercato molto più ricettivo di quello attuale.
Il nodo fiscale: come sostituire le accise che scompaiono?
Con la transizione elettrica, il Regno Unito — come tutta l’Europa — vede erodersi il gettito derivante dalle accise su benzina e Diesel. Un problema enorme se si considera che, nel 2022, l’allora cancelliere Rishi Sunak aveva già ridotto le imposte sui carburanti per attenuare gli effetti della guerra in Ucraina.
Per compensare la perdita, dal 2026 nascerà la Electric Vehicle Excise Duty (eVED):
- 3 penny per miglio per i veicoli elettrici,
- 1,5 penny per miglio per i plug-in hybrid.
Un meccanismo destinato a generare 1,1 miliardi di sterline nel 2028/29, fino a 1,9 miliardi nel 2030/31.
Parallelamente, da settembre 2026 aumenteranno anche le accise su benzina e diesel, con l’obiettivo di rendere più uniforme la fiscalità tra veicoli elettrici e tradizionali.
Attenzione all’effetto boomerang: tasse troppo presto, rischio rigetto
Il problema non è solo economico. È psicologico. Introdurre nuove tasse sui veicoli termici prima che l’elettrico diventi davvero conveniente, capillare e facile da utilizzare potrebbe generare un fastidioso effetto collaterale: la percezione di una transizione imposta dall’alto.
Il rischio è quello di alimentare resistenze culturali che rallenterebbero proprio quel cambiamento che il governo vuole accelerare. Perché incentivi e tasse funzionano solo se parlano anche al lato emotivo dell’automobilista: quello che ogni giorno fa i conti con esigenze reali — dal tragitto casa-lavoro alla ricarica sotto casa — e non con le curve dei grafici governativi.