Quando Lamborghini mostrò l’anima nuda della Miura: il telaio che inventò la supercar

Storiche
01 dicembre 2025, 11.16
miura
Sessant’anni fa, Lamborghini decise di fare ciò che nessun costruttore aveva mai osato: svelare al pubblico non una vettura completa, ma la sua meccanica più intima. Un gesto radicale, quasi provocatorio, che avrebbe cambiato per sempre il destino della Casa di Sant’Agata Bolognese e l’intera storia dell’automobile.
È il novembre 1965 quando, al Salone dell’Automobile di Torino, l’attenzione non è catturata da forme sinuose o vernici cangianti, bensì da un telaio nero satinato, essenziale, traforato, con quattro scarichi bianchi e un V12 trasversale montato alle spalle dell’abitacolo. Nasce così, sotto gli occhi increduli della stampa, il simbolo di una rivoluzione: il prototipo P400, la base da cui prenderà vita la Lamborghini Miura.

L’idea che portò la pista sulla strada

Quello che il pubblico non poteva immaginare è che tutto fosse iniziato un anno prima, nell’estate del 1964. Tre giovani tecnici della neonata Lamborghini – Giampaolo Dallara, Paolo Stanzani e il collaudatore Bob Wallace – sognavano un’auto capace di portare su strada la stessa adrenalina delle competizioni. Se Lamborghini non avrebbe corso in pista, allora sarebbe stata la pista a entrare nella produzione di serie. Da questa volontà mai dichiarata, ma chiarissima, nacque il progetto L105: un telaio leggero, compatto, pensato per ospitare un motore nuovo per concezione e posizionamento.
Ferruccio Lamborghini, inizialmente scettico, comprese l’audacia dell’idea e diede il via libera. Il risultato fu un esercizio tecnico senza precedenti, tanto avanzato da sembrare un prototipo da competizione. Eppure era destinato all’uso stradale, un concetto inedito per il tempo.

Il telaio che incantò Torino

Al Salone di Torino del 3 novembre 1965, accanto alle raffinate 350 GT e 350 GTS, Lamborghini espone qualcosa che nessun visitatore si aspetta: la struttura nuda del futuro modello. Realizzato dalla Marchesi di Modena in lamiera d’acciaio da 0,8 mm piegata e forata, pesa appena 120 chilogrammi. La vasca centrale funge da base portante, mentre i telaietti anteriori e posteriori sostengono sospensioni e organi meccanici. È una costruzione da corsa travestita da granturismo.
Le sospensioni indipendenti a triangoli sovrapposti, i freni a disco Girling, le ruote Borrani a raggi: ogni dettaglio parla la lingua delle competizioni. Ma il vero colpo di scena è l’integrazione di motore e cambio in un unico blocco compatto, montato trasversalmente dietro i sedili. Una scelta ardita, mai vista prima su un’auto stradale, che anticipa un nuovo paradigma. I dodici tromboncini verticali dei carburatori Weber emergono come organi vitali in bella mostra: pura meccanica resa spettacolo.
Il pubblico rimane stregato. In un salone affollato di vetture complete, il prototipo statico P400 diventa l’attrazione principale. Non ha carrozzeria, non ha fronzoli. Eppure ha tutto ciò che serve per lasciare un segno.
Miura telaio

L’incontro che cambiò la storia

Quel telaio doveva trovare una forma. Carrozzeria Touring fu la prima a esprimere interesse, ma le difficoltà dell’azienda resero la collaborazione fragile. Pininfarina, vincolata ad altri costruttori, non poté impegnarsi. La svolta arrivò quasi alla fine del Salone, quando Nuccio Bertone fece un salto allo stand Lamborghini.
Secondo la leggenda, Ferruccio lo accolse con una battuta: “Sei l’ultimo dei carrozzieri a farti vivo”. Bertone guardò il telaio e rispose con un’intuizione destinata a diventare storia: “Possiamo creare la scarpa perfetta per questo piede meraviglioso”. Una frase forse mai pronunciata davvero, ma che sintetizza alla perfezione la scintilla di quell’incontro. Pochi mesi dopo, durante le vacanze di Natale, dentro la Bertone – a stabilimento chiuso – nascevano i primi bozzetti. Erano talmente innovativi da diventare, senza esitazioni, il progetto definitivo.

Ginevra 1966: nasce la Miura

A marzo 1966, il telaio presentato a Torino diventa automobile. Al Salone di Ginevra debutta la Lamborghini Miura: aggressiva, bassissima, scolpita come un’opera d’arte in movimento. Non è solo un’auto nuova: è una categoria nuova. È talmente rivoluzionaria da costringere la stampa a trovare un termine inedito per descriverla: “supercar”.
Sessant’anni dopo, nel 2026, Lamborghini celebrerà quell’anniversario con un anno intero di eventi dedicati alla Miura e un tour ufficiale del Polo Storico. Un tributo alla vettura che non solo ha riscritto le regole del design e delle prestazioni, ma ha insegnato al mondo che il coraggio tecnico può diventare bellezza, e che una rivoluzione può nascere anche da un telaio nudo, mostrato al pubblico senza paura.
Perché il mito della Miura non inizia con una carrozzeria: inizia con l’idea di mostrare a tutti ciò che solitamente rimane nascosto. L’anima meccanica. E da quell’anima è nata una leggenda che continua a brillare sessant’anni dopo.
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