Daihatsu P-5. Dalle Kei-car all’endurance

Storiche
20 giugno 2025, 8.30
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Le automobili del marchio giapponese Daihatsu non sono più vendute sul mercato Europeo dal 2013, ma ancora oggi è possibile incrociarne qualcuna: piccole, curiose, furbe e sfiziose rappresentano in modo eccellente il concetto di Kei-car. Ma l’insospettabile Daihatsu negli anni costruì anche Sport Prototipo! 
Se la produzione automobilistica della Daihatsu cominciò di fatto nel 1951 con il lancio della vettura a tre ruote Bee, la sua fondazione risale al 1907 come “Hatsudoki Seizo Co. Ltd.” nella città di Osaka su spinta di un gruppo di accademici dell’allora scuola di ingegneria (oggi università di ingegneria di Osaka) sotto la gestione del governo (con Yoshiaki Yasunaga a capo del gruppo accademico, Saneyasu Oka come Direttore Generale e Yukuma Kurokawa primo Presidente), con l’idea che la vera industrializzazione del Giappone richiedesse produzione e diffusione nazionale di motori a combustione interna. Ciò la elegge casa automobilistica più antica del Giappone. Ma non solo, perché il marchio a partire dal secondo dopoguerra non produsse solo piccole ed economiche automobili; nella sua storia troviamo anche compatte quanto rombanti vetture da competizione di tipo Sport Prototipo, che hanno lottato contro vetture del calibro di Porsche 906, Toyota 7 e Nissan R380.
È il 1963 quando al Salone di Tokyo venne lanciata la Daihatsu Compagno, una vettura medio/piccola disponibile in variante berlina 2 porte, 4 porte, cabriolet, furgone e pick-up. Il riuscito disegno è opera della Carrozzeria Vignale di Torino per mano del prolifico Giovanni Michelotti che, unito ai brillanti motori quattro cilindri da 797 cc (41 CV) e 958 cc (55 CV, poi 65 CV dal 1965 con doppio carburatore per 145 km/h), la portarono al successo. Venne utilizzata nel campo delle competizioni da privati, e nel 1964 in onore alle Olimpiadi di Tokyo due Compagno percorreranno 18.000 km da Olimpia a Tokyo in poco più di tre mesi e senza alcun problema.
daihatsu p-5

Piccolo, bello.. e veloce!

Tali risultati portarono il Marchio ad utilizzarne il motore lanciandosi nel Campionato Endurance con l’idea di dimostrare ulteriormente la bontà di motore e vetture Daihatsu prima con la P-3 del 1966, vettura dalla particolare e profilata forma aerodinamica che esprimeva 101 CV dal quattro cilindri portato a 1,3 litri (classificandosi prima della sua classe al Gran Premio del Giappone e quarta assoluta alla 12 Ore di Suzuka) e poi con la nostra protagonista: la Daihatsu P-5 del 1967.
Ci si potrebbe aspettare che l’erede della P-3 fosse molto più potente, con un motore di maggior cilindrata. Invece no, perché mentre le case automobilistiche europee e giapponesi progettavano macchine da corsa sempre più potenti, Daihatsu volle proseguire per la sua strada dimostrando il valore delle piccole cilindrate che caratterizzavano la propria produzione
Il telaio venne realizzato in tubi, nascosti da una carrozzeria in vetroresina affinata in galleria del vento, portando ad un peso totale di soli 510 kg. Il motore sistemato in posizione centrale posteriore è appunto il quattro cilindri da 1.298 cc, ma ulteriormente elaborato per ottenere ben 140 CV con l’utilizzo di un doppio albero a camme in testa, alimentato da due carburatori doppio corpo Mikuni 50 PHH, e gestito dalla trasmissione Hewland a 5 velocità. Specifiche che delineano una vettura estremamente compatta che consentiva grande risparmio di carburante, buona accelerazione e agilità: la velocità venne stimata in più di 240 km/h con linea rossa a 10.000 giri/min!
daihatsu p-5

Ritorno in pista

Purtroppo al loro esordio nel 1967, le due vetture schierate al Gran Premio del Giappone non terminarono la competizione per noie meccaniche. Ma l’anno successivo un’agguerrito quartetto di P-5, tutte in giallo di cui una con striscia blu, una in verde e due con strisce rosse ci riprovarono; tra queste la nostra “Numero 15”, guidata da Takao Yoshida, che si assicurò il decimo posto assoluto. Sempre nel 1968, la P-5 conquistò alla 1000 Km di Suzuka Il terzo posto assoluto e nel 1969, con Keizo Yabuki alla guida, portò a casa il suo miglior risultato di sempre, un secondo posto assoluto. Il 1969 sarà l’ultimo anno della Daihatsu P-5, fermata dopo l’acquisizione del Marchio da parte di Toyota che preferì mandare avanti le proprie Sport.
L’ultima P-5 esistente venne per decenni messa da parte in un magazzino, perdendo negli anni il suo motore di origine. Fortuna volle che un propulsore originale R29B venne ritrovato in un insospettabile negozio di ricambi chiamato “Yamamoto Motors”: nell’arco di tre mesi un team di 35 dipendenti presso il centro di ricerca e sviluppo Daihatsu ricostruì e restaurò in modo perfetto la “Numero 15”
daihatsu p-5
Oggi questa mosca bianca partecipa con il suo particolare rombo a diverse manifestazioni a tema, per poi riposarsi presso il museo aziendale. Anche se la carriera agonistica della Daihatsu P-5 è stata di breve durata, mostrò di che pasta era fatta la “Casa delle Kei-car”.
Autore: Federico Signorelli
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