Erano gli anni ’60 quando le prime Mini iniziavano a far innamorare il grande pubblico. Oggi sono passati più di 50 anni e l’icona più sportiva del Marchio rimane lei, la Mini John Cooper Works.
Quando su una delle vetture di Casa Mini leggete queste tre paroline magiche “appoggiate” su una tavola da surf, allora vi trovate davanti alla versione più potente del modello, che sia la 3 porte, la 5, la Countryman o la Clubman.
Dalla prima serie nata sotto BMW a oggi, tutte le versioni più pepate sono state contraddistinte dalla sigla JCW. Passando al modello attuale, i cambiamenti rispetto alla scorsa generazione sono molteplici, ma quello che interessa agli appassionati è: siamo ancora davanti alla massima espressione di go-kart feeling della gamma? Scopriamolo nel nostro test drive.
Design: la più cattiva
La Mini John Cooper Works non cambia nelle dimensioni rispetto alla classica 3 porte, ma si presenta con un muso più aggressivo, caratterizzato da una banda rossa che taglia la calandra centrale, al di sopra della quale troviamo il badge John Cooper Works.
La versione da noi provata, nella colorazione Chili Red pastello, è impreziosita dalle Bonnet stripes nere sul cofano e dai Cerchi da 18” Cup Spoke JCW, richiamando un abbinamento perfetto del rosso con il nero. Al posteriore, infine, spicca lo spoiler sportivo e il doppio scarico in inox.
All’interno, l’abitacolo mantiene i tratti tipici di Mini, come il “Ring” centrale, che tiene al centro l’ottimo sistema di navigazione Mini Professional da 8,8 pollici, ma viene arricchito dai tanti loghi Mini JCW, dai tre indicatori sportivi (che comprendono il cronometro e la pressione del turbo) e dai sedili con poggiatesta integrato, molto racing, contenitivi e comodi.
Come sulle altre versioni a 3 porte, lo spazio per i passeggeri posteriori non è molto e lo stesso vale anche per il bagagliaio, dalla capienza di 211 litri.
Raccomandato il pacchetto Hype Line, che prevede le luci interne a LED, i sensori di parcheggio posteriori e clima automatico bizona.
Alla guida della Mini John Cooper Works 2.0 da 231 CV: sterzo da applausi e sound appagante
231 cavalli, 320 Nm di coppia, da 0 a 100 km/h in 6,3 secondi e una velocità massima di 246 km/h. Questi sono i numeri della Mini JCW, numeri che fino a qualche anno fa potevano appartenere solo ad una vettura di segmento C.
Prima di raccontarvi come si guida questa Mini, è bene mettere in chiaro che la posizione di guida della piccola anglo-tedesca è la migliore che possiate trovare in una hothatch di queste dimensioni: volante praticamente perpendicolare al pavimento, seduta bassa e ampie regolazioni.
Fatta questa importante premessa, possiamo spingere verso il basso la leva di accensione del motore. Il sound è subito uno degli aspetti di cui voglio parlarvi: fin dal primo momento vi innamorerete del doppio scarico centrale di questa Mini, capace di suonare come dovrebbe fare ogni sportiva, di scoppiettare in rilascio, di garantirvi un’esperienza veramente appagante e se, come vi consigliamo, la vivrete con il finestrino abbassato, potrebbe creare anche qualche “dipendenza”.
Il nuovo 2.0 turbo, di derivazione BMW, è stato “accusato” fin dai primi momenti di appesantire troppo l’anteriore, penalizzando le sensazioni go-kart di cui ha sempre goduto quest’auto. Il maggior peso sull’avantreno si sente, ma l’aumento di cavalli si sente anche di più, merito della turbina specifica e nuova mappatura, che le permettono uno scatto fulmineo, un’ottima ripresa e un allungo quasi instancabile.
L’assetto è rigido, ma non rende impraticabile l’uso della Mini nell’ambito urbano, dove la 3 porte se la cava agilmente in ogni condizione. Veniamo al comportamento in curva. La Mini John Cooper Works, grazie all’assetto piatto, garantisce un comportamento abbastanza neutro sia in ingresso, sia in uscita, con un appoggio veramente notevole durante la percorrenza. L’unico limite non è dovuto al peso maggiore sulla parte anteriore, bensì alle gomme forse troppo strette (di serie ci sono i 205/45 R17, la “nostra” era equipaggiata con le 205/40 R18) per le performance che ormai assicura quest’auto. Il leggero effetto di insicurezza, infatti, deriva proprio da lì e dall’avere un differenziale autobloccante elettronico, che fatica un po’ a far scaricare tutta la potenza in uscita di curva, come succedeva anche alla scorsa generazione.
Il go-kart feeling però c’è e si sente, anche nei cambi direzione più repentini, nonostante la nuova Mini sia diventata più auto, più matura. A questa speciale sensazione contribuisce in maniera evidente lo sterzo, molto preciso e diretto, sempre in grado di garantire un buon feedback.
Per quanto riguarda il cambio, bisogna ammettere che questo manuale a 6 rapporti è ben riuscito, adotta una leva molto lunga di “stampo rallystico”, ma gli innesti rimangono corti e precisi, mentre in scalata parte automaticamente la “doppietta”. Inoltre, la quarta, la quinta sono state allungate in modo da abbassare i consumi, che si attestano tra i 7,5 e i 8,5 l/100 km, non distanti dai 6,3 litri omologati nel ciclo misto.
Insomma, questa Mini JCW è un’auto che è cresciuta negli anni, non solo nelle dimensioni, ma anche nel carattere, una volta più sfrontato, oggi più “serioso”, ma pur sempre divertente e inconfondibilmente Mini. Il sound, la posizione di guida, lo sterzo e l’assetto sono i plus, mentre qualche piccola mancanza le impedisce di essere impeccabile.
John Cooper (Works), il mito
Il nome, per chi non lo sapesse, deriva dal marchio fondato nel 2000 in Inghilterra da Michael Cooper, figlio di John, colui che diede vita alla prima Mini Cooper, elaborazione in chiave sportiva della versione “normale”.
Con la prima generazione della “rinata” Mini, arrivò puntuale anche il kit John Cooper Works, installabile sulla Cooper S, per una potenza massima che passava da 163 a 200 CV, grazie ad un miglior rapporto di compressione, centralina rimappata, filtro dell’aria sportivo, iniettori maggiorati e un fantastico doppio scarico in inox. Con l’arrivo del restyling (tra il 2004 e il 2005), la Mini John Cooper Works raggiungeva la potenza di 211 cavalli.
Il “canto del cigno” di questa generazione fu l’indimenticata Mini John Cooper Works GP, disegnata dalla carrozzeria Bertone, caratterizzata da soli due posti, uno spoiler in carbonio e 218 CV. La GP è stata capace di emozionare il grande pubblico, grazie a numeri che, ancora oggi, sono molto competitivi: meno di 6,3 secondi sullo 0-100 km/h e oltre 240 km/h di velocità massima.
Con la seconda serie arriva il turbo. Il motore viene sviluppato insieme a PSA, rimane un 1.6 cc, ma grazie alla turbina, scendono i consumi e le prestazioni cambiano totalmente, nonostante il fascino del compressore volumetrico abbia lasciato un gran bel ricordo. In questi anni la John Cooper Works viene declinata praticamente su tutta la gamma e sulla 3 porte la potenza rimane invariata. Anche per questa generazione arriva il momento della versione GP, che raggiunge la potenza record di 218 CV.
Da quest’ultima si passa a quella attuale, per tre generazioni (più i restyling) che hanno continuato il lavoro intrapreso tanti anni fa dal signor Cooper, a cui, noi appassionati, non possiamo dire altro che “Grazie John”!
Prezzo e concorrenti Mini John Cooper Works
La Mini John Cooper Works parte dal prezzo di 31.350 euro e viene offerta con una dotazione di serie che prevede, tra gli altri accessori, i fari a LED, i sedili sportivi, il volante in pelle sportivo a tre razze, l’impianto di scarico JCW, il clima manuale e le tre modalità di guida.
La versione da noi provata arriva al prezzo finale di 35.885 euro per via delle Bonnet Stripes (115 euro), dei cerchi da 18” Cup Spoke JCW (820 euro) e dei pacchetti Wired e Hype, che hanno fatto salire la cifra di circa 4.500 euro.
Il prezzo è alto, ma la qualità anche e punta direttamente ad una delle regine di questo segmento, l’Audi S1, che ha gli stessi cavalli, ma gode della trazione integrale. Nel “club dei 4 metri” poi c’è un’infinità di scelte possibili, dalla piccola Abarth 595, alla più grande Clio RS, passando per Polo GTI, 208 GTi, Corsa OPC, Fiesta ST200 e DS3 Performance. Insomma, la scelta non manca e neanche il divertimento. A voi l’ultima parola.
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