Correva l’anno 2021 quando Stellantis annunciava il lancio della sperimentazione della ricarica wireless per veicoli elettrici, anche detta ricarica a induzione. Stiamo parlando di una tecnologia rivoluzionaria che potrebbe sdoganare in toto la diffusione degli EV in Italia e nel mondo date le facilità di utilizzo che avrebbe, ma non è tutto oro ciò che luccica.
Questo tipo di ricarica non è come sembra, ma ha due importanti problemi, a raccontarlo sono stati i colleghi del Corriere.it, durante una nuova puntata del podcast “Processo alle auto elettriche”, realizzato da Gianluca Bertazzoli, direttore di E-mob.
“Anche in Italia è stato varato il progetto “Arena del Futuro” – racconta un esperto a Bertazzoni in merito alla ricarica wireless per auto elettriche – al cui centro si posiziona la tecnologia di ricarica a induzione per auto elettriche, che consente di ricaricare una vettura a batteria in marcia. Questa tecnologia presenta però due problemi. Il primo è che l’installazione costa un milione di euro al chilometro, e siccome un’auto assorbe poca elettricità, occorrerebbe infrastrutturare praticamente l’intera rete stradale”.
Autostrade elettriche: numerosi problemi anche per la salute
Il secondo problema riguarda la salute per le persone: “L’altro problema è collegato all’assorbimento di onde elettromagnetiche da parte dei passanti, soprattutto nelle aree urbane densamente popolate”. Esiste anche un secondo tipo di ricarica a induzione, quella che viene installata direttamente nei garage: “E’ stata sperimentata da 10 anni e il costo del kit per la ricarica, l’emittente al suolo e la ricezione sull’auto, è almeno 20 volte di più della normale presa. La tecnologia esiste – evidenzia Bertazzoli – non esiste il mercato, perché al momento non è economicamente sostenibile”.
Altra tipologia di ricarica è quella realizzata sul “cambio della batteria” in poco tempo, tecnologia in cui crede molto NIO, che ha aperto un Battery Swap in Germania.
A detta dell’esperto però anche questa è un’opzione poco praticabile: “È stata tentata nel 2010 da una ditta israeliana, sfruttando il fatto che in quel periodo erano solamente due le auto più vendute e che rappresentavano circa il 70% del mercato, ma dopo due anni hanno dovuto desistere. Ora lo riteniamo impossibile per la frammentazione del mercato e soprattutto per le diversità delle batterie utilizzate. Pensiamo che sia più facile organizzarlo per le moto di una singola azienda”.
Fonte: Corriere.it
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