Rivende la Ferrari Purosangue subito dopo l’acquisto: ora è nei guai

Curiosità
06 ottobre 2025, 15.50
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Una Ferrari Purosangue, un contratto vincolante e un guadagno troppo veloce: è la combinazione che ha portato a un caso legale destinato a far discutere.
Negli Stati Uniti, il concessionario Ferrari di Houston ha intentato causa contro Todd Carlson, acquirente di una Ferrari Purosangue nel giugno 2024, accusandolo di aver violato le clausole del contratto di vendita dopo aver rivenduto l’auto poco dopo la consegna.

Il contratto “Opportunity Agreement”: vietata la rivendita per 18 mesi

Al centro della disputa c’è un documento chiamato Opportunity Agreement, firmato da Carlson al momento della caparra.
Il contratto prevedeva un vincolo preciso: il divieto di rivendere la vettura entro i primi 18 mesi dall’acquisto — nel caso specifico, fino a gennaio 2026 — salvo offrirla in prelazione al concessionario, che avrebbe potuto riacquistarla al prezzo originale.
In caso di violazione, il cliente si impegnava a restituire l’eventuale profitto derivante dalla vendita e a coprire le spese legali.
Carlson avrebbe ignorato il vincolo, cercando di trarre profitto dal boom di domanda che ha reso la Purosangue uno dei modelli Ferrari più ambiti al mondo.

Ferrari Purosangue: lusso, prestazioni e quotazioni alle stelle

Prima Ferrari a quattro porte e quattro posti, la Purosangue rappresenta un caso unico nella storia del Cavallino.
Il modello monta un V12 aspirato da 6,5 litri e 725 CV, capace di scattare da 0 a 100 km/h in 3,3 secondi e di raggiungere i 310 km/h di velocità massima.
Negli Stati Uniti il prezzo di listino parte da 429.000 dollari (circa 365.000 euro), ma sul mercato parallelo dell’usato alcune unità hanno già superato i 700.000 dollari.
Carlson avrebbe tentato di sfruttare questa differenza per rivendere l’auto a una cifra vicina al doppio del prezzo d’acquisto, in un’operazione che però si è trasformata in un potenziale boomerang giudiziario.

Flipping e restrizioni: un problema che coinvolge tutto il lusso a quattro ruote

Il caso Carlson non è isolato.
Negli ultimi anni, diversi marchi hanno introdotto clausole anti-rivendita per contrastare il cosiddetto flipping, ovvero la compravendita rapida di modelli esclusivi per speculare sul prezzo.
  • Ford fece causa nel 2017 al wrestler John Cena per aver venduto la sua GT troppo presto;
  • Rolls-Royce ha minacciato la “blacklist a vita” per chi rivende la Spectre elettrica;
  • Tesla ha cancellato ordini di Cybertruck destinati al mercato parallelo.
Ferrari, con una produzione della Purosangue limitata tra 2.200 e 3.000 esemplari l’anno (tutti già assegnati fino al 2026), ha scelto una linea altrettanto rigida per difendere l’esclusività del marchio.

Una questione legale e di principio

La vicenda apre un dibattito più ampio: fino a che punto una casa automobilistica può controllare ciò che fa un cliente con la propria auto?
Da un lato c’è l’interesse dei costruttori nel proteggere il valore del brand e dei collezionisti autentici; dall’altro, il diritto di proprietà e la libertà di disporre liberamente di un bene acquistato.
Per ora, la legge americana sembra pendere dalla parte dei costruttori. Ma il caso Carlson potrebbe diventare un precedente importante nel rapporto sempre più complesso tra lusso, mercato e libertà del consumatore.
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