Credevano di essere in un Gran Premio, ma la realtà li ha riportati bruscamente sulla terra. Due motociclisti francesi, protagonisti di una serie di video virali in cui sfrecciavano fino a 293 km/h sul raccordo di Tolosa, sono stati identificati, arrestati e condannati dalla giustizia francese.
La loro “sfida social” si è conclusa con una sentenza esemplare: sei mesi di reclusione con sospensione della pena, ritiro del permesso di guida e confisca delle moto.
Dal circuito virtuale alla strada reale: la follia per i “like”
Per settimane, i due centauri — rispettivamente di 24 e 31 anni — hanno trasformato il périphérique toulousain in una pista clandestina.
Le loro acrobazie, documentate con telecamere fissate ai caschi e pubblicate sui social, mostravano velocità impressionanti: 293 km/h per uno, 279 km/h per l’altro, nel traffico ordinario. Impennate a 160 all’ora, sorpassi azzardati, e persino gesti di scherno verso i radar.
Le clip, volutamente provocatorie, sono rapidamente diventate virali, raggiungendo oltre 300.000 visualizzazioni. Ma dietro l’adrenalina e le reaction online si nascondeva un rischio reale, non solo per i due motociclisti, ma per chiunque condividesse la strada con loro.
L’indagine digitale che li ha incastrati
Le autorità francesi non hanno preso alla leggera l’episodio. I gendarmi dell’Haute-Garonne hanno condotto un’indagine meticolosa, analizzando più di 120 video e post pubblicati dai due protagonisti.
Incrociando dettagli visivi, targhe e percorsi ripetuti, gli investigatori sono riusciti a risalire alle loro identità. Le moto sono state sequestrate direttamente nelle abitazioni dei due uomini, insieme alle action cam e al materiale video.
“Non erano semplici eccessi di velocità — ha dichiarato il capitano Arnaud Wodecki — ma vere e proprie messe in scena per i social, con rischi enormi per tutti gli utenti della strada”.
“Un errore di gioventù”, ma la giustizia non perdona
Durante il processo, i due motociclisti hanno abbandonato il tono da protagonisti dei social. “Abbiamo capito troppo tardi che era una stupidaggine”, ha ammesso il più giovane.
Il suo compagno di scorribande ha aggiunto: “Mi sono lasciato trascinare dai commenti, dai numeri, dalle visualizzazioni… nella vita reale guido normalmente”.
Il tribunale ha deciso di non chiudere un occhio: sei mesi di carcere con sospensione della pena, ritiro del permesso di guida e divieto di conseguirne uno nuovo per un anno.
Una lezione severa, ma necessaria, per ricordare che la corsa verso la viralità può finire dove nessuno vorrebbe: davanti a un giudice.