di Carlo Bonzanigo, già VP Design Pininfarina
Spesso, sapendo che sono un car designer, amici e conoscenti (ma anche qualche studente) mi rivolgono questa domanda: “perché le automobili di oggi sono barocche, a vote anche sguaiate, e non ci sono più automobili accattivanti come quelle di una volta?”.
Premesso che dissento da questa affermazione generica, perché ogni epoca ha prodotto e continuerà a produrre automobili più belle e automobili meno esteticamente riuscite, devo ammettere che la domanda contiene un fondo di verità, perché il panorama automobilistico odierno è effettivamente popolato da vetture meno carismatiche di quelle che solcavano le strade 50, 40 o anche 30 anni fa. Ma come si è arrivati a questo risultato?
È stato un percorso durato decenni, scandito da tre momenti principali: la geoeconomia ha provocato la globalizzazione, erodendo a poco a poco le specificità delle singole scuole di pensiero progettuali ed artistiche delle nostre società. La globalizzazione ha a sua volta mutato i gusti estetici dell’Occidente e, infine, il mestiere di designer, globalizzandosi, si è drammaticamente evoluto. La transizione verso l’elettrico ha fatto il resto. Ma non tutto è perduto. Vediamo perché.
Geoeconomia e globalizzazione
Un tempo, quando le economie delle singole nazioni erano meno interconnesse, ogni nazione produceva automobili principalmente per il mercato interno. Automobili che venivano, laddove possibile, anche esportate. Ne conseguiva che il design di una vettura destinata agli italiani fosse un design che doveva rispecchiare in primis i gusti del mercato italiano (il che non implicava che non incontrasse anche i gusti dei clienti di altre nazioni). Questo periodo coincise, va detto, con il periodo d’oro dei carrozzieri italiani, grazie ai quali il “modo italiano di disegnare automobili” venne sempre più plebiscitato, popolando Marchi stranieri di automobili disegnate nel Bel Paese. Anche grazie ad una concentrazione di straordinari talenti in quei decenni attivi in Italia.
Dobbiamo ricordarci che a quel tempo il design italiano – non solo in campo automobilistico - era molto diverso da quello tedesco, che a sua volta era differente da quello francese, che si differenziava dal design americano, e così via.
Poi arrivò la globalizzazione, intesa come l’interconnessione su scala mondiale di mercati, produzioni, consumi, modi di pensare e di vivere. La globalizzazione contribuì all’unificazione dei gusti, erodendo molte delle specificità delle singole nazioni. Con il passare dei decenni, i confini culturali tra le varie nazioni persero di definizione, e vi fu una sorta di contaminazione tra le varie culture estetiche.
Quindi, se un tempo le automobili erano ancora l'espressione dell'identità e della cultura estetica di una determinata nazione, questo fenomeno a poco a poco si stava sgretolando.
La globalizzazione dei gusti estetici
Consideriamo il car design come un atto creativo inquadrato in un contesto industriale.
Come tutte le attività creative ed artistiche esso è anche l'espressione della cultura, della sensibilità e dell'identità di un determinato paese.
Anche i gusti estetici variano da cultura a cultura, da nazione a nazione, da area geografica ad area geografica.
Ma con la globalizzazione, i gusti estetici si sono mescolati. È diventato sempre più difficile definire cosa fosse un design italiano, un design tedesco o uno britannico.
L’arrivo in Europa nei primi anni ’70 di modelli giapponesi e, nei decenni successivi, di quelli coreani ed infine di quelli cinesi, ha sensibilmente modificato sia i gusti estetici che il panorama automobilistico occidentale.
Ma se i costruttori giapponesi e coreani hanno sempre avuto una loro spiccata identità, un discorso a parte va fatto per quelli cinesi.
Le vetture disegnate e prodotte in Cina, quindi per il mercato cinese, e successivamente esportate in Europa, presentano un’estetica concepita per un mercato molto diverso da quello europeo.
Sul mercato cinese, il carisma estetico di un determinato modello non è considerato un fattore d’acquisto importante quanto il livello dei contenuti tecnologici imbarcati. Inoltre, nella cultura cinese non vi è, per il momento, una propensione all’individualismo, e la cosa si riflette anche in un panorama stilistico relativamente omogeneo, senza grandi picchi di originalità e di carattere. Il motto è: “quello che funziona esteticamente per la concorrenza, funzionerà anche per me”.
Gli OEM cinesi stanno iniziando a disegnare “in Europa per l’Europa”, ma per il momento molti di questi modelli risentono ancora di un’impostazione estetica cinese. La situazione, comunque, è destinata a cambiare.
Per inciso, l’enorme importanza del mercato cinese ha addirittura provocato il fenomeno opposto: ha portato i cosiddetti “legacy automakers”, cioè gli OEM europei, americani, giapponesi e coreani a dover tenere conto, nel design dei loro modelli, di esigenze, gusti, tendenze e abitudini della Clientela cinese.
Si verifica quindi un curioso incrocio: i costruttori cinesi cercano di sviluppare per l’Europa dei linguaggi estetici che attraggano la clientela europea, mentre i costruttori europei cercano di disegnare vetture che si adattino ai gusti del mercato cinese.
Il che ci porta ad una considerazione, che anche i designers sanno di dover fare: un’estetica che funziona in una regione del mondo può essere un flop in un’altra. Anche se è sostenuta da un Marchio potente.
Ecco che oggi un OEM che desideri vendere un prodotto in zone geografiche con esigenze molto differenti (ad esempio Cina ed Europa), è costretto a progettare due estetiche differenti, con un considerevole aumento dei costi. Si potrebbe creare un’estetica “mediana”, che accontenti entrambi i mercati. Ma si sa che non funzionerebbe. E’ assodato che la “world car” non funziona.
E’ quindi ovvio che, se un costruttore deve scegliere se accontentare con una sola estetica un mercato da 31 milioni di vetture nuove all’anno contro uno da 12, sarà costretto ad optare per quello più vasto e redditizio.
Se tutto quanto sopra non spiega completamente il perché molte delle automobili che vediamo sulle nostre strade non ci facciano sognare come accadeva una volta, ci permette quantomeno di capire quanto la professione del car designer sia diventata molto più complessa.
La globalizzazione della professione del car designer
La professione del car designer è cambiata moltissimo negli ultimi decenni.
Gli stravolgimenti sono stati molti, iniziando da come ci si formava alla professione. Se 50 anni fa gli studi di design erano piccoli, i designers imparavano il mestiere prevalentemente internamente (“si andava a bottega”) e in tutto il mondo vi erano pochissime scuole che insegnavano questa disciplina (4-5 al massimo), col passare dei decenni sono nate mondialmente centinaia di scuole che oggi formano moltissimi car designer.
Il mestiere, una volta stanziale, ha incominciato ad esser globale, e la circolazione dei creativi all’interno dei Gruppi automobilistici è diventata vorticosa. Questo ha, in un certo modo, ulteriormente contribuito alla contaminazione fra gusti estetici, creando naturalmente anche delle dinamiche positive.
La moltiplicazione esponenziale del numero dei designer automobilistici non ha avuto solo risvolti positivi. Come in tutte le discipline, ci sono scuole e scuole. L’impressione è che oggi molte scuole non eroghino la formazione corretta, e che vi sia uno sbilanciamento della formazione nelle tecniche di rappresentazione digitale a sfavore della parte metodologico-concettuale. Altrimenti detto: l’esteriorità prevale sul contenuto e questa scuola di pensiero si riverbera sulle creazioni che vediamo sulle strade. Quando manca il contenuto concettuale, l’estetica di un progetto si rivela spesso debole e poco carismatica.
Da ultimo, oggi la categoria dei designer sembra aver un po' perso “il fuoco sacro” che avevano i nostri predecessori che, pur cercando di progettare un oggetto che fosse la sintesi del briefing tecnico e dei contenuti prodotto richiesti, cercavano sempre – come se fosse una missione personale - un’estetica carismatica, accattivante e destinata a smarcarsi nel panorama commerciale. A questo parziale cambio di mentalità si aggiungono le condizioni operative oggi obbiettivamente più difficili per tutta una serie di ragioni che vedremo in seguito. Anche tutto ciò contribuisce a limitare la comparsa sulle nostre strade di prodotti nuovi, carismatici e che ci facciano sognare come quelli di un tempo.
La pressione sui creativi
A causa delle enormi pressioni economiche alle quali i Costruttori sono oggi sottoposti, lo spazio di libertà riservato ai creativi e all’innovazione nel design sembra essersi ridotto.
Paradossalmente, i creativi oggi dovrebbero beneficiare di maggiori libertà. L’eliminazione dei motori endotermici avrebbe dovuto aprire nuove frontiere in termini di layout tecnici e disposizione degli organi meccanici. O ancora, i fantastici progressi nelle tecnologie delle fonti luminose hanno aperto la strada a fari e fanali sempre più miniaturizzati e dalle forme più disparate. Ma tutto ciò non si è riverberato nella creazione di prodotti più esteticamente carismatici, e anche al designer più esperto e talentuoso diventa più difficile farsi approvare un’idea estetica nuova, carismatica, dirompente, se essa non è allineata agli stringenti vincoli economici e progettuali odierni. E anche questo genera omogeneizzazione negli output creativi, omogeneizzazione che, ancora una volta, ritroviamo sulle vetture in circolazione.
Secondariamente, la difficile congiuntura economica e la feroce concorrenza generano nelle le case automobilistiche una comprensibile grande prudenza e le disincentivano a prendere rischi dal punto di vista creativo. Un esempio per tutti: quanti modelli ci sono in circolazione, sia occidentali che cinesi, con i fanali collegati con una sottile banda di LED rossi che crea una fascia posteriore “a tutta larghezza”?
Eppure, con le tecnologie odierne si potrebbe optare per una miriade di altre soluzioni. Ma replicare, con una leggerissima variazione, una soluzione che già funziona su altri modelli di successo, è certamente più sicuro.
Connesso al succitato timore di intraprendere qualcosa di sbagliato, c’è anche un tema di mancanza di analisi critica nei confronti delle mode del momento, che spesso vengono abbracciate senza riserve dalla stragrande maggioranza dei costruttori generando, ancora una volta, un appiattimento su posizioni dogmatiche, sia progettuali che estetiche. Anche questo fenomeno contribuisce al livellamento del grado di creatività. Un livellamento perfettamente riscontrabile nel design degli interni automobilistici odierni, dove l’insensata eliminazione totale dei tasti fisici è un ottimo esempio di una moda da molti abbracciata senza abbastanza spirito critico.
Economie di scala, comunanze e originalità estetica: anche i Brand annaspano
Se i gusti dei clienti hanno incominciato a fondersi, e quelli dei designers pure, si potrebbe argomentare che l’ultimo baluardo per preservare la specificità dei prodotti dovrebbe essere il Marchio. Ogni Brand, infatti, ha una sua storia ed una sua eredità, i suoi valori, le sue particolarità, ed uno dei compiti del designer è proprio quello di riuscire ad interpretare correttamente tali specificità, in modo da esprimerle in modo chiaro ed incontrovertibile attraverso il design. Ma anche qui, la strada si fa in salita.
Come in molti altri settori merceologici, anche nell’industria automobilistica i costi di sviluppo e di produzione non hanno fatto che aumentare di decennio in decennio. Già alla fine degli anni ‘70 diventò chiaro che fare economie di scala fosse necessario. Vennero varati i primi programmi in cui piattaforme diverse servivano da base per vetture dello stesso segmento ma appartenenti a Brand diversi (e perfino a Gruppi automobilistici diversi e concorrenti).
Oggi i giganteschi costi richiesti dalla transizione verso l’elettrico hanno indotto imprescindibili comunanze di piattaforme, architetture veicolo, organi e componenti, erodendo ancora di più gli spazi di manovra per creare vetture con personalità radicalmente differenti e portatrici dei valori del Brand che rappresentano e della sensibilità culturali e geografiche a cui appartengono.
Queste comprensibili comunanze hanno determinato la proliferazione di alcuni tipi di architettura veicolo a scapito di altri, e hanno anche lisciato le specificità di un Marchio rispetto all’altro. Singoli progetti per un Brand unico non sono praticamente più possibili. Fanno ovviamente eccezione i segmenti di lusso ed extra-lusso.
Oggi in circolazione troviamo molte silouhettes simili, in cui lo spazio per una differenziazione estetica tra modelli e per una caratterizzazione dei vari Brand si è ristretto, venendo spesso demandato principalmente a fari, fanali, aperture (prese d’aria), segni grafici, tagli, inserti, cromature, ecc. Insomma, alla cosmetica.
Il rischio di confondere bizzarria e audacia
Giocoforza, quando masse e volumetrie sono simili, ai designers non resta che intervenire su quanto descritto sopra: grafiche, inserti, cromature, prese d’aria, fari, fanali. Ecco che la trappola di confondere un design bizzarro con un design avanguardistico e audace è dietro l’angolo.
Tra i due, c’è di mezzo la maestria, la professionalità.
La bizzarria è audacia non gestita, non controllata, fine a sé stessa. L’audacia è invece il saper creare una composizione estetica fresca, innovativa, con elementi sapientemente dosati e posizionati, in un quadro finalizzato alla comunicazione di un messaggio. Un messaggio a beneficio del prodotto e del Brand.
Alla riscoperta delle proprie radici e dei propri valori
Tutto ciò premesso, c’è ampio spazio affinché i “legacy OEM” possano riscoprire le loro radici, e rendersi conto di avere, per quanto concerne il design, un vero vantaggio competitivo rispetto a Brand nati da poco, che non hanno ancora una storia da raccontare, che non hanno ancora costruito né il loro sistema di valori e di specificità da esprimere attraverso il design, né un immaginario al quale attingere in fase di creazione.
Perché la congruità ai valori del Brand, insieme alla risoluzione delle sfide tecniche e alla risposta alle richieste di prodotto, sono da sempre il carburante per concepire un design accattivante, funzionale e di successo.
Con un caveat: questa disparità nella robustezza dell’immaginario e dei valori fra “legacy” Brand e giovani Marchi non durerà per sempre. Molti giovani Brand cinesi producono già vetture di altissimo livello, in molti casi superiori a quelle occidentali, sia in termini di contenuto tecnico (motorizzazione, sistemi di sicurezza, assistenza alla guida, updates Over The Air) che di qualità e dotazione di accessori.
Attraverso questa supremazia stanno costruendosi un valido posizionamento e riusciranno nel tempo ad incrementare la loro Brand Value, creandosi una narrativa basata sulla superiorità tecnologica a prezzi abbordabili. Un argomento incontrovertibile in tempi di basso potere d’acquisto come questi.
Come ha dimostrato Tesla negli ultimi dieci anni, grazie ad una tecnologia superiore un Marchio può modificare verso l’alto sia il suo posizionamento sia il modo in cui viene percepito dal mercato, costruendosi una narrativa alla pari di quella di un Brand centenario, in modo da giustificare prezzi più alti e, a fronte di costi di produzione più bassi, generare ricavi maggiori.
Riaccendere il desiderio: un’occasione da non perdere
Oggi il mercato occidentale è saturo di modelli - provenienti da costruttori di tutto il mondo - che offrono prestazioni simili, spesso a prezzi troppo alti rispetto al potere d’acquisto medio. Il prezzo, insieme al pacchetto di prestazioni che il prodotto offre, è diventato il parametro più importante, ben più della scelta del Brand e dell’aspetto estetico (design).
L’essere umano compie le sue azioni per due motivi: per desiderio o per necessità. Con i prezzi attuali, il Cliente è costretto a dimenticare il desiderio, e fare di necessità virtù: acquista il prodotto che può permettersi e che corrisponde alle sue esigenze pratiche.
Si tratta quindi di riaccendere la desiderabilità attraverso il design, mantenendo nel contempo i prezzi ad un livello ragionevole. Qui risiede tutto l’odierno dilemma dei costruttori occidentali, confrontati a veicoli orientali che hanno sovente costi di produzione dal 20% al 50% in meno dei loro, con allestimenti e qualità tecniche e dinamiche a volte superiori.
Oggi vedo per noi designer il bicchiere non solo mezzo pieno, ma colmo sino all’orlo. Siamo entrati in un’epoca in cui il design può davvero svolgere di nuovo un ruolo di primissimo piano ed aiutare taluni Brand a riprendere respiro.
In un panorama in cui dominano comunanze di piattaforme, organi e componenti, così come scambi di tecnologie tra i costruttori, in cui molte vetture tendono ad avere contenuti di prodotto convergenti e tecnologie simili, il design può davvero essere un importantissimo vettore di differenziazione verso il successo.
Si tratta quindi di capire che per concretizzare determinate soluzione estetiche, a volte occorre mettere sul piatto qualche euro in più, e che questi sono investimenti ben spesi, poiché generano prodotti carismatici e portatori di successo commerciale.
Perché anche oggi, in un Occidente in caotica e frenetica evoluzione, si può affermare con sicurezza che, se prezzo e prestazioni sono congrui, un design accattivante e carismatico è uno dei fattori che concorrono al successo del prodotto.