7 anni fa ci lasciava Marchionne: “Ma in ferie da cosa?” e le sue frasi più celebri

Attualità
25 luglio 2025, 11.28
sergio marchionne
Era il 25 luglio quando il mondo dell’industria italiana e globale si fermò per un attimo. Sergio Marchionne, uno dei manager più influenti e controversi del nostro tempo, moriva a soli 66 anni lasciando un’eredità enorme, fatta di numeri, scelte coraggiose, e frasi destinate a restare nella memoria collettiva. Tra queste, ce n’è una che più di tutte lo rappresenta: “Ma in ferie da cosa?”. Non era solo una battuta, era una dichiarazione di intenti, uno stile di leadership, un modo di vivere il lavoro che ha plasmato un’intera generazione di dirigenti.

L’uomo che salvò la FIAT (e la fece diventare FCA)

Quando Marchionne arriva in FIAT, nel 2004, l’azienda è sull’orlo del baratro. Il Lingotto perde milioni al giorno, lo stabilimento di Pomigliano è un simbolo della crisi industriale e il mercato non crede più nel futuro del marchio. Lui si presenta in modo semplice, con un maglione scuro e un approccio radicale: ristrutturazione, meritocrazia, internazionalizzazione. Non fa sconti a nessuno, taglia costi e posti, ma restituisce valore al marchio.
Nel 2009 compie l’impresa che lo consacra definitivamente: porta FIAT al salvataggio di Chrysler, una mossa giudicata folle da molti analisti, ma che si rivelerà la chiave per trasformare FIAT in FCA, un gruppo globale. Da lì in poi, Marchionne è l’uomo forte dell’automotive, capace di sedersi ai tavoli che contano a testa alta, senza dimenticare mai il suo pragmatismo né le sue origini operaie.

La battuta sulle ferie: produttività, non provocazione

“Ad agosto in ufficio non c’era nessuno. Perdevamo 5 milioni di euro al giorno.”
È in questo contesto che nasce la famosa frase “Ma in ferie da cosa?”, pronunciata da Marchionne durante un intervento alla Bocconi. Un’affermazione che fece discutere e indignare alcuni, ma che in realtà nascondeva una critica più profonda: la cultura del disimpegno, della burocrazia, della passività che – secondo lui – soffocava la capacità dell’Italia industriale di competere nel mondo.
Non era un attacco al diritto alle ferie, ma una provocazione per smuovere le coscienze, per dire che non bastava “esserci”, serviva vivere l’azienda. Marchionne voleva un gruppo che sentisse la responsabilità di ogni giorno perso, che non si rifugiasse nelle abitudini, ma affrontasse il cambiamento a muso duro. E lo fece.

Una carriera costruita tra Canada, Svizzera e Italia

Nato a Chieti nel 1952, Sergio Marchionne si trasferisce in Canada con la famiglia da bambino. Si laurea in legge, economia e ottiene un MBA: inizia così la sua carriera come commercialista e avvocato in Ontario. Prima di FIAT, guida con successo aziende come SGS, Lonza e Algroup, costruendosi una reputazione da manager che sa raddrizzare i conti, ma anche innovare i modelli di business.
Dal 2004 in poi, il suo percorso è legato indissolubilmente al gruppo FIAT. Alla guida di CNH, di FIAT Industrial, poi di Ferrari – che accompagnerà verso lo scorporo e la quotazione – Marchionne lascia un segno in ogni realtà che attraversa. Con il suo maglione blu (o nero), la sigaretta mai spenta, e un’agenda dettata solo dai risultati.

Frasi che raccontano un uomo

Oltre alla celebre “Ma in ferie da cosa?”, Marchionne ha lasciato in eredità una lunga serie di dichiarazioni passate alla storia:
  • “Concentrarsi su sé stessi è una così piccola ambizione”;
  • “Voglio che la Fiat diventi la Apple dell’auto. E la 500 sarà il nostro iPod”;
  • “La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La ‘collective guilt’, la responsabilità condivisa, non esiste. Io mi sento molte volte solo”;
  • “L’Italia è un paese che deve imparare a volersi bene, deve riconquistare un senso di Nazione”;
  • “Noi italiani siamo da sempre il paese dei gattopardi. A parole vogliamo che tutto cambi, ma solo perché tutto rimanga com’è”;
  • “L’Italia è un Paese con una delle più grandi ma inespresse potenzialità che io conosca, è un paese che non si vuole bene. Sulle prime quattro o cinque pagine dei giornali si legge solo di litigi e di discussioni che non hanno impatto sull’Italia e sul futuro dei giovani. Se non smettiamo di portare avanti questi dibattiti, non faremo molta strada”;
  • “Siate come i giardinieri, investite le vostre energie e i vostri talenti in modo tale che qualsiasi cosa facciate duri una vita intera o perfino più a lungo”;
  • “Io sono così. Il tizio con il maglione. Almeno non mi confondo la mattina nell’armadio. I miei maglioni hanno un piccolo tricolore sulla manica. E lo porto con orgoglio, io”
  • “Esiste un limite oltre il quale il profitto diventa cupidigia e coloro che operano in un libero mercato hanno anche l’obbligo di agire entro i limiti di ciò che una buona coscienza suggerisce”;
  • “Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui, nel 2004: giravo tutti gli stabilimenti e poi, quando tornavo a Torino, il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere quel che volevo io, le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Cose obbrobriose. ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e farli vivere in uno stabilimento così degradato”;
  • “Ho cercato di organizzare il caos, ho visitato la baracca, i settori, le fabbriche. Ho scelto un gruppo di leader e ho cercato con loro di ribaltare gli obiettivi per il 2007. Allora non pensavo di poter arrivare al livello dei migliori concorrenti, mi sarei accontentato della metà classifica. Nessuno ci credeva, pensavano che avessi fumato qualcosa di strano. Oggi posso dire che non mi ha mai sfiorato la tentazione di rinunciare, piuttosto il pensiero che forse non avrei dovuto accettare. Ma era la Fiat, era un’istituzione del Paese in cui sono cresciuto”;
  • “Non so se la filosofia mi abbia reso un avvocato migliore o mi renda un amministratore delegato migliore. Ma mi ha aperto gli occhi, ha aperto la mia mente ad altro”;
  • “Dopo la prima laurea in filosofia mio padre aveva già scelto il colore del taxi che voleva farmi guidare perché diceva che non sarebbe servita a nulla”;
  • “Ho grande rispetto per gli operai e ho sempre pensato che le tute blu quasi sempre scontino, senza avere responsabilità, le conseguenze degli errori compiuti dai colletti bianchi”.
Frasi che non nascondevano il suo stile diretto, a volte ruvido, ma sempre lucido. Un uomo che sapeva farsi ascoltare anche dai giovani, che sapeva ispirare anche con un linguaggio semplice.

Un vuoto difficile da colmare

Marchionne se n’è andato il 25 luglio 2018, lasciando la compagna Manuela Battezzato e i figli Alessio Giacomo e Jonathan Tyler. Ma il suo vuoto è anche industriale. Nessun altro manager è riuscito, finora, a incarnare così potentemente la sintesi tra visione globale e concretezza operativa. La sua morte ha lasciato un’eredità fatta di numeri, trasformazioni aziendali, ma anche di uno stile unico e irripetibile.
A distanza di 7 anni, la sua figura continua a dividere, ma soprattutto a far riflettere. Perché in un mondo in cui la leadership spesso si nasconde dietro le parole, Sergio Marchionne ha preferito agire. E ricordarci, anche con una semplice battuta sulle ferie, che il cambiamento non aspetta nessuno.
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