Lettera shock del CEO Blume ai dipendenti: stop all’euforia elettrica, produzione giù, tagli al personale.
La frase è destinata a lasciare il segno:
“Il nostro modello di business non funziona più nella sua forma attuale”. Firmato
Oliver Blume,
CEO di Porsche, nero su bianco in una lettera interna inviata ai dipendenti, come viene riportato da magazine
Fortune. È il segnale più forte – e più sincero – che anche per un marchio simbolo di perfezione ingegneristica e profitto a doppia cifra, il vento sta cambiando. E lo sta facendo più velocemente di quanto a Stoccarda fossero pronti ad affrontare.
Il mercato globale dell’auto premium è diventato improvvisamente instabile. Le certezze che per decenni hanno sostenuto la redditività del marchio – prestazioni, esclusività, crescita costante – stanno vacillando sotto l’effetto combinato di rallentamento economico, transizione elettrica, pressione cinese e tensioni geopolitiche.
La Cina non è più l’eldorado
Un tempo considerata il “granaio d’oro” per i costruttori europei, la Cina sta rivelando un volto molto meno accogliente. Il rallentamento della domanda e la rapida ascesa di marchi elettrici locali come BYD, Nio e Xpeng hanno ridimensionato il ruolo di Porsche nel mercato asiatico. Non è solo concorrenza: è un cambiamento culturale, tecnologico e politico.
E per la Taycan – la prima vera elettrica del marchio – il risultato è amaro. Nonostante un buon avvio, oggi rappresenta solo una fetta del 13% del totale vendite globali, che sale al 27% considerando anche gli ibridi. Lontanissimo dall’obiettivo dell’80% elettrico fissato per il 2030.
USA sotto pressione, Europa in attesa
Anche gli Stati Uniti, altro pilastro strategico di Porsche, stanno diventando meno affidabili. I dazi, un cambio euro-dollaro sfavorevole e le incognite politiche rendono più difficile pianificare e guadagnare. Nel frattempo, in Europa, la corsa all’elettrico ha rallentato per motivi noti: prezzi elevati, infrastrutture ancora immature e un pubblico sempre più disilluso.
Blume non nega nulla, anzi. Ammette che l’elettrificazione si sta dimostrando meno redditizia e molto più complessa del previsto. La produzione complessiva calerà da oltre 300.000 vetture l’anno a circa 250.000. E i tagli al personale, iniziati nel 2023 con 1.500 contratti non rinnovati, proseguiranno fino al 2029 con l’eliminazione di altri 3.900 posti, pari al 15% della forza lavoro. Tutto questo senza licenziamenti diretti, grazie a un accordo con i sindacati, ma il segnale è forte: Porsche non è più intoccabile.
Addio certezze, benvenuto realismo
Quello che emerge è un cambio di paradigma. Niente più corsa ideologica all’elettrico, ma un approccio più cauto, ibrido, multiforme. Il motore termico – per quanto sotto pressione normativa – resta ancora la spina dorsale della redditività. Le nuove generazioni saranno aggiornate, efficienti e affiancate da versioni plug-in. La sostenibilità rimane un obiettivo, ma non a qualsiasi costo.
La prossima Cayenne elettrica, già in fase di test, dovrà portare una ventata d’ottimismo, ma la strada è in salita. Non basta un solo modello per cambiare la traiettoria di un brand. Soprattutto quando il lusso automobilistico, nel suo complesso, sta vivendo una vera e propria crisi identitaria: tra passato rombante e futuro silenzioso, tra margini che si assottigliano e clienti che chiedono molto più di un badge sul cofano.