Il lato oscuro dell’auto elettrica: quando il “verde” si tinge di carbone. Oggi è ancora così?

Ecologia
06 ottobre 2025, 12.41
nickel workers indonesia
La corsa dell’Europa verso la mobilità elettrica ha un costo che raramente compare nei dossier sulla transizione ecologica: quello umano e ambientale. A ricordarlo è stato un servizio di Report andato in onda su Rai 3 nel novembre 2023, che ha svelato la filiera nascosta del nichel, uno dei metalli chiave per la produzione delle batterie di nuova generazione.
Dietro le promesse di “emissioni zero” si nasconde un paradosso inquietante: mentre l’Occidente riduce la CO₂ nelle proprie città, l’Oriente – in particolare l’Indonesia, primo produttore mondiale di nichel – paga il prezzo ambientale e sociale della rivoluzione elettrica.

Dalla foresta alla fabbrica: l’Indonesia, nuova frontiera del nichel

Nichel indonesia
Photo di Garry Lotulung
Nel 2020 il governo indonesiano ha deciso di vietare l’esportazione di nichel grezzo per trattenere nel Paese la catena del valore. Un piano ambizioso che ha trasformato regioni remote come Weda Bay e Morowali in giganteschi distretti industriali, costruiti in partnership con colossi cinesi come Tsingshan.
L’obiettivo era creare posti di lavoro e sviluppo, ma il risultato è stato un paesaggio devastato: deforestazione massiccia, inquinamento dell’aria e delle acque, e condizioni di lavoro estreme.
Secondo Greenpeace Indonesia, le aree di estrazione del nichel hanno raggiunto un milione di ettari con oltre 360 licenze attive. Per le future miniere, altri 600.000 ettari di foresta vergine verranno rasi al suolo. Un sacrificio ambientale enorme, in nome delle batterie “green” che, secondo quanto segnalava Report, riforniva praticamente tutte le case auto, Tesla, Mercedes, Volkswagen, Stellantis e BYD.

Il carbone che alimenta il “verde”

Il cortocircuito è evidente: per produrre nichel destinato alle auto elettriche, l’Indonesia brucia carbone.
Nel 2013 le emissioni del Paese erano di 164 milioni di tonnellate di CO₂; oggi hanno superato i 300 milioni. Ogni tonnellata di nichel estratto genera circa 58 tonnellate di anidride carbonica equivalente, un valore doppio rispetto alla media mondiale.
“È un controsenso: costruiamo auto pulite con energia sporca”, ammette la stessa segretaria generale dell’Associazione mineraria indonesiana, Meidy Katrin Lengkey. Ma il carbone, aggiunge, “è quello che abbiamo, non possiamo importare energia”.

Acque rosse e coralli morti

Il documentario di Report mostra un paesaggio apocalittico: colonne di fumo costanti, aria irrespirabile, acque color ruggine. I rifiuti tossici prodotti con il metodo HPAL (lisciviazione acida ad alta pressione) vengono stoccati a cielo aperto in aree soggette a piogge torrenziali e terremoti. Ogni tonnellata di nichel raffinato genera 1,5 tonnellate di scarti pericolosi. Le coste di Morowali, un tempo popolate da coralli e pesci, oggi sono un mare rosso dove “tutti i pesci sono morti”, raccontano i pescatori locali.
Gli stessi lavoratori vivono in baracche affollate, esposti a polveri e fumi tossici. Le storie di incidenti, censurate dalle aziende, si moltiplicano: come quella di Nirwana Selle, giovane operaia morta in un’esplosione all’interno di una raffineria di nichel.

Le case automobilistiche lo sanno

Secondo il ricercatore Pius Ginting, che ha tracciato la filiera per la fondazione Rosa Luxembourg, “tutti i grandi marchi vengono in Indonesia a rifornirsi di nichel”: Tesla, BMW, Mercedes, Volkswagen, Stellantis.
Il metallo passa attraverso una catena di subappalti che parte da GEM (partner di CATL e Samsung SDI) e arriva fino alle fabbriche europee. Ufficialmente, nessuna casa automobilistica compra “direttamente” il nichel, ma tutte lo utilizzano. E tutte, sostiene Report, sanno perfettamente da dove arriva e come viene prodotto.
“Il marketing verde lo fate voi”, dice senza mezzi termini Meidy Katrin Lengkey. “L’importante è che la batteria sembri sostenibile. I dettagli del processo non interessano a nessuno: questo è business.”

La certificazione “verde” che si paga da soli

L’Unione Europea ha approvato nel 2023 un nuovo regolamento per il controllo della filiera delle batterie. Sulla carta, un passo avanti. Nella pratica, un compromesso: saranno le stesse aziende produttrici a scegliere e pagare i propri certificatori.
Un sistema che rischia di replicare l’autocontrollo già visto in altri settori industriali. “Chi osa scontentare chi lo paga?”, si domanda Sigfrido Ranucci in chiusura del servizio.
Il risultato? Le batterie potranno dichiarare quanta CO₂ generano nel ciclo di vita, senza alcun limite massimo. In altre parole: anche se “sporche”, potranno essere vendute come “green”.

L’ipocrisia della transizione

Il paradosso è lampante: per ripulire le nostre città, stiamo inquinando altrove.
Le foreste tropicali diventano miniere, i mari si tingono di rosso, i bambini respirano fumi di carbone. Tutto in nome di un futuro “a zero emissioni”.
Come conclude Report, “per abbassare la CO₂ nel nostro Paese, la alziamo da un’altra parte del mondo. È una sottile forma di colonialismo: lo sporco lo nascondiamo dove si vede meno”.

E' cambiato qualcosa oggi?

Cosa è ancora problematico

  1. Deforestazione, impatti ambientali e biodiversità minacciata
    Nelle regioni di Sulawesi, Nord Maluku, e Raja Ampat (Papua Occidentale), le concessioni per l’estrazione di nichel continuano a essere molto estese, includono foreste primarie, piccole isole e aree costiere con ecosistemi marini sensibili. In Raja Ampat, ad esempio, la crescita delle aree minerarie per il nichel è triplicata nel periodo 2020-2024 rispetto ai cinque anni precedenti, causando danni a ecosistemi costieri e coralliferi.
  2. Uso massiccio di carbone nella produzione e nell’energia
    Le strutture di lavorazione del nichel — soprattutto gli impianti tipo RKEF (forni elettrici rotativi alimentati a carbone) — utilizzano ancora molto carbone per alimentare sia l’estrazione che soprattutto la raffinazione. Questo fa sì che l’impronta di carbonio resti elevata. Le proiezioni parlano di un ulteriore aumento delle emissioni se il settore downstream (lavorazioni, raffinazione locale) continuerà a espandersi senza sostituire le fonti fossili.
  3. Inquinamento, salute e condizioni di lavoro fragili
    Incidenti ambientali, problemi di scarico di rifiuti tossici, impatti su acque e aria persistono. Un esempio recente: il collasso di una discarica di fanghi da impianti di nichel, che ha causato una morte e dispersi due lavoratori. Problemi anche di trasparenza su alcune sostanze pericolose (es. Cr6) nelle acque destinate al consumo umano in aree vicine a miniere.

Cosa è cambiato/in miglioramento

  1. Roadmap per la decarbonizzazione del settore nichel
    Nel giugno 2025, il governo indonesiano, con il supporto del World Resources Institute (WRI), ha introdotto una National Nickel Industry Decarbonization Roadmap, con l’obiettivo di ridurre le emissioni del settore nichel dell’81% entro il 2045. Fra le misure previste: maggiore efficienza energetica, sostituzione del carbone con fonti rinnovabili, uso di energia a bassa emissione nei siti produttivi.
  1. Sospensioni e revoca di permessi per violazioni ambientali
    Alcune miniere locali hanno visto sospesi o revocati i permessi per danni ambientali, mancanza di autorizzazioni ambientali corrette, operazioni non conformi alla legge che protegge piccole isole e aree costiere. Nel caso di Raja Ampat, sono state sospese le operazioni di vari concessionari per violazioni ambientali.
  1. Modifiche legislative e normative
    L’Indonesia ha recentemente approvato emendamenti alla legge mineraria che danno priorità alle imprese che effettuano la lavorazione locale (vale a dire “downstreaming”) affinché si crei più valore aggiunto nel Paese. Il governo sta anche rafforzando il controllo sul rispetto delle licenze ambientali, sui requisiti di reclamazione post‐attività mineraria, e sancendo sanzioni per chi non rispetta le norme.
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