A Misano abbiamo incontrato ancora una volta Fabiano Sterlacchini, ingegnere di lunga esperienza nella MotoGP e con la Ducati, di cui conosce praticamente tutto, avendo un incarico tecnico trasversale che gli consente di interagire sia coi tecnici dei vari settori sia coi piloti. L’anno scorso ci aveva rilasciato un’interessante intervista nella quale non risparmiava le lodi a Jorge Lorenzo, a suo avviso un pilota che aveva portato alla Ducati una nuova metodologia di lavoro e grazie alla sua proverbiale pignoleria nel curare anche un dettaglio apparentemente insignificante aveva fatto crescere molto sia la moto sia tutto lo staff tecnico che le orbita attorno. Doveroso, dunque, iniziare questa nuova intervista da dove ci eravamo lasciati nel 2018, ovvero con un Jorge Lorenzo che aveva finalmente trovato il modo di ottenere risultati adeguati al suo indubbio talento in sella alla Desmosedici.
Fabiano, l’anno scorso a Misano Jorge era sulla cresta dell’onda. Poi è finita come sappiamo. Oggi, a un anno di distanza cosa è rimasto del lavoro di sviluppo fatto da Jorge sulla Ducati Desmosedici?
Senza dubbio con lui abbiamo curato degli aspetti della moto che si sono poi rivelati positivi anche con gli altri piloti. Erano evidentemente cose su cui Andrea non sentiva di dover intervenire allo stesso modo di Jorge, oppure che Andrea dopo diversi anni si era abituato o aveva smesso di riscontrare, ma che evidentemente erano latenti. Su certi aspetti devo confermare che la sua estrema attenzione ha pagato. Jorge, come già avevo detto l’anno scorso quando ero a diretto contatto con lui, è il pilota che definirei dell’allineamento planetario, per utilizzare una metafora che però rende bene l’idea. Per lui tutto deve essere perfetto e allineato. Solo in quelle condizioni emerge la sua classe. Danilo e Andrea hanno un grado di adattamento al mezzo decisamente superiore a quello di Jorge: loro in qualche modo la moto, anche se non è perfetta, la guidano. Lui no. Comunque, per rispondere alla tua domanda, sì, con Jorge abbiamo aperto gli occhi su alcune problematiche della nostra moto e le abbiamo sistemate.
Da osservatore esterno io come altri devo rilevare che la Ducati ha perso un po’ del vantaggio che ha sempre avuto in rettilineo. A fronte di questo ha effettivamente migliorato la velocità di percorrenza delle curve?
Innanzitutto vorrei mettere in chiaro un punto fondamentale: noi non cerchiamo una moto che ‘curvi bene’ ma una moto che ottenga il tempo sul giro più basso possibile, il che si può ottenere in tanti modi: fare delle buone qualifiche per partire davanti e avere una velocità superiore agli altri in rettilineo può consentire di giocarsi la gara, perché può dettare lei il passo. Noi abbiamo lavorato per mantenere un buon livello un po’ tutti questi due aspetti. Sicuramente in alcune situazioni la velocità di percorrenza era abbastanza al limite e dunque quest’anno ci aspettavamo di migliorare nelle piste dove abbiamo sofferto di più l’anno scorso, tipo Sachsenring e Assen, e in effetti, pur avendo in effetti perso un po’ del vantaggio di velocità di punta rispetto agli altri, nella prima parte del campionato siamo stati abbastanza competitivi.
In effetti i risultati della prima parte del campionato vi hanno dato ragione. Peccato che di mezzo ci sia un certo Marc Marquez con la Honda…
Ovvio che il pacchetto Marquez-Honda è abbastanza veloce, e parlo di pacchetto perché non bisogna mai dare il merito di una serie così lunga di vittorie solo a uno o all’altro. Il motociclismo è una sorta di alchimia e solo quando c’è buon feeling col pilota la moto riesce a esprimere tutte le sue potenzialità. Suppongo ed è normale che la Honda abbia puntato sul suo pilota più forte. Noi abbiamo puntato su Dovizioso che probabilmente ha caratteristiche di guida più simili a quelle di altri piloti e questo ci ha permesso di arrivare dopo 13 gare (l’intervista risale al weekend di Misano – ndr) ad avere 2 piloti nelle prime 4 posizioni del mondiale, oltre ad aver ottenuto dei podi anche coi team satellite. La moto si è rivelata tecnicamente valida e in grado, con parecchi piloti di creare un pacchetto vincente.
Dunque Marquez e Honda come Stoner e Ducati dei bei tempi?
Da questo punto di vista devo citare un concetto spesso evocato in ambito aerospace. Se tu vuoi fare un aereo di linea devi far si che sia stabile e reagisca in opposizione ad ogni manovra. Un caccia, al contrario, agisce in amplificazione. Certo che la sua agilità è insuperabile ma il suo limite è che appena chi lo pilota reagisce a una perturbazione rischia l’instabilità. Se fai una moto particolarmente reattiva devi avere un pilota in grado di dominare le situazioni di instabilità che si possono venire a creare in gara. E’ così che nasce il ‘pacchetto’ più veloce di cui Marquez-Honda e Stoner-Ducati sono stati i più fulgidi esempi. Noi in questi ultimi anni abbiamo lavorato per rendere la nostra moto più facile e prevedibile nelle sue reazioni, proprio per svincolarci da un solo pilota fenomeno. Un lavoro che ha dato senza dubbio i suoi frutti: oggi con la Ducati vanno forte in tanti. L’accoppiata Marquez-Honda ci è superiore, è inutile negarlo, ma siamo consapevoli di dover compiere ulteriori sforzi per migliorare su certe aree dove a mio giudizio ci sono ancora margini di crescita.
Questo approccio è senza dubbio positivo e indica che non vi siete arresi. Puoi dirmi dove andrete a lavorare?
Nonostante con l’impulso venuto dall’arrivo di Gigi Dall’Igna come direttore generale si sia migliorato in modo molto significativo su tanti aspetti, ce ne sono altri dove i passi avanti sono stati meno marcati. E uno di questi è senza dubbio la già citata velocità a centro curva.
Nel rendere più ‘facile’ la Ducati Desmosedici ha influito anche la de-voluzione dell’elettronica?
In un certo senso il livello di libertà che c’era prima portava un tale livello di sofisticazione nei controlli che i piloti qualche volta neanche si aspettavano. Oggi credo che Marelli, Dorna e i Team abbiano fatto un ottimo lavoro per creare un’elettronica gestibile da tutti, retta da equazioni più ‘normali’ e prevedibili. Una volta le strategie erano così sofisticate che innescavano dei loop che potevano addirittura preoccupare i piloti, che si rendevano conto di non avere sempre in mano la situazione. I piloti hanno gradito l’arrivo del software unico, rinunciando volentieri alla prestazione in favore della maggior prevedibilità. Cosa che, cronometro alla mano, alla fine ha pagato.
Qualcuno dice che in questo ha importanza il layout del motore, che un V4 rispetto a un 4 in linea sia svantaggiato per via dell’albero motore più corto…
Diciamo che dal punto di vista fisico non vedo differenze sostanziali. Deve però fare riflettere il fatto che le moto che hanno la migliore velocità di percorrenza in curva hanno il quattro cilindri in linea (Yamaha e Suzuki ndr). Questo ovviamente non è imputabile solo all’albero più lungo ma anche alle masse diverse, all’asse di rotazione posto a un’altezza diversa rispetto al baricentro e dalla geometria del telaio imposta dal diverso ingombro del motore, che è tendenzialmente più corto. E’ sicuramente un layout che in quella particolare situazione dinamica funziona piuttosto bene.
Parliamo ora di freni. Dovizioso, lo confermano anche i dati divulgati da Brembo, è uno dei migliori ‘staccatori’. Un obbligo per sopperire altre mancanze?
Beh, se hai un limite nella velocità di percorrenza una soluzione è quella di ritardare la frenata, non si scappa. Detto questo in frenata siamo molto efficaci, ma qualche volta anche in crisi. Abbiamo lavorato parecchio anche su questo aspetto e dunque, a parte le prestazioni eccellenti dei freni, peraltro confrontabili con gli altri essendo il fornitore unico, e i nostri piloti che cercano sempre il limite, abbiamo adattato l’assetto della moto a sopportare le forze applicate in queste fasi della gara.
A proposito di fornitori unici, Michelin mi sembra abbia fatto un bel passo avanti nella durata, o meglio nella costanza di prestazioni per tutta la gara. L’anno scorso molte gare sono state divise nettamente in tre fasi: la tirata iniziale per assestare le posizioni, una lunga fase centrale in cui tutti cercavano di risparmiare il più possibile le gomme per poi dare fondo a tutte le risorse solo negli ultimi giri. Ma a parte questo aspetto, ho una domanda specifica: esiste un software in grado di creare un modello matematico dello pneumatico, assimilandolo a una serie di elementi elastici e smorzatori, da integrare con gli altri componenti più ‘prevedibili’ come cerchi, forcelle e piastre per analizzarne la dinamica?
La domanda richiede una risposta piuttosto complessa e tecnicamente troppo divulgativa. Non mi sembra opportuno rispondere.
Il che, per noi, è praticamente pari un sì! Anche se la domanda dovremmo forse provare a rivolgerla ai tecnici Michelin.
Diciamo che volendo assegnare in modo molto semplice i meriti agli elementi che generano la prestazione globale in pista possiamo dire che su base 100, 70 vanno al pilota, 20 alle gomme e 10 alla moto. Da qui è evidente che si cerca di fare di tutto per sfruttare al meglio gli pneumatici che abbiamo a disposizione…
Parliamo allora di quel 10% di prestazione dovuto alla ciclistica. In Ducati avete diversi tipi di telaio a seconda della pista o lavorate sul set-up di uno solo?
La nostra esperienza insegna che non c’è il bisogno di avere telai dedicati a questo o quel tipo di circuito. Un telaio che funziona, funziona ovunque. Diciamo che lavoriamo su alcune quote che possono aiutare a risolvere certe problematiche, ma di massima il telaio è uno solo.
Vedendo le travi in alluminio ho osservato molte saldature, quasi servissero come nervature per ‘gestire’ la rigidità.
Ovviamente non posso andare troppo nei dettagli, ma nel momento in cui hai dei target da rispettare per tenere sotto controllo certi parametri di rigidezza devi trovare il modo di poter arrivare alla soluzione ottimale in modo progressivo, tramite una struttura che permetta di disaccoppiare le varie reazioni, in modo da poterle controllare singolarmente, possibilmente senza che una vada a influire sulle altre. Detto così sembra facile ma ti garantisco che è una cosa molto complessa e questo giustifica questo tipo di costruzione delle travi, che una volta, almeno per quanto visibile dall’esterno, erano decisamente più lineari.
Un ultimo cenno all’evoluzione dell’aerodinamica sulla Ducati Desmosedici.
Diciamo subito che è corretto parlare di evoluzione, anche se oggi essa è molto limitata rispetto al passato. Il nuovo regolamento introdotto quest’anno, sottoscritto e accettato da tutti, impone infatti controlli più oggettivi sulle dimensioni e la posizione delle appendici aerodinamiche. In pratica la moto carenata e pronta gara deve entrare senza interferenza in una sorta di ‘scatola’ che ne definisce le dimensioni. Questo, anche per garantire maggior sicurezza in caso di contatti o cadute, ha un po’ bloccato la fantasia degli aerodinamici che devono quindi ottenere il massimo utilizzando i soli spazi consentiti. La cosa fondamentale da ricordare è che queste moto si impennano fino alla quinta marcia e questo è un effetto che l’aerodinamica può aiutare a contenere. Ovvio che questa downforce si paga con una maggiore resistenza all’avanzamento e quindi a una perdita di velocità. Per questo occorre che i profili alari utilizzati siano estremamente efficienti.
Un’ultima domanda sullo stile di guida. Sporgersi fino a toccare la spalla a terra paga?
Ovviamente ogni pilota interpreta questa fase dinamica come meglio crede e in base alla sua sensibilità sulla moto. Da tecnico dico che un pilota che si sporge molto è praticamente ‘appeso’ alla moto e dunque deve avere una grande sensibilità per sentire ciò che la moto gli trasmette. Dunque adottare questo stile di guida non è assolutamente banale se si vuole sfruttarne appieno i vantaggi. Chiaro che questo aiuta a contrastare la forza centrifuga e a mantenere la moto in traiettoria, oltre a inclinare un po’ meno la moto, cosa che dal punto di vista del grip della gomma è un vantaggio. Estremizzando, da grip laterale uguale a zero con la moto in traiettoria rettilinea si tenderebbe a grip laterale infinito avvicinandosi agli ipotetici 90° di piega (oggi si inclina oltre i 60° ndr). Quando si arriva ad angoli molto spinti la transizione è rapidissima e dunque un pilota che riesca a sporgersi in modo tale da recuperare 2-3° di inclinazione della moto, fa una differenza importante.