Yamaha OW48: la moto gialla di Kenny Roberts

Classic Corner
02 giugno 2020, 20.21
Come nella
Formula 1, anche nel motociclismo sportive si sono succeduti vari “periodi”. E’
così lo è stato con la Ferrari di Schumacher, la McLaren di Senna e ancor prima
con la Lotus di Colin Chapman; tra questi quello forse più lungo è stato il
periodo tecnico segnato dall’interminabile serie di vittorie del motore Ford
DFV a 8 cilindri. In questo ambito, il mondo delle due ruote ha avuto numerosi
esempi in cui il successo di una Casa è stato legato a filo diretto con una
precisa scelta tecnica. La MV Agusta con il quattro cilindri in linea, la Honda
con i suoi motori frazionati con distribuzione plurivalvola e le ardite scelte
tecniche, la Ducati con il Desmo, Suzuki e Yamaha col motore a due tempi.
Quest’ultima, dopo aver dominato dal 1965 al 1968 con le bicilindriche e le
quadricilindriche ufficiali condotte da Read e Ivy, ha continuato a percorrere
la stessa strada tecnica per fornire anche ai piloti privati un mezzo
competitivo in grado di primeggiare ai massimi livelli.
Semplicità
All’inizio
degli anni ’70, parallelamente alla produzione delle bicilindriche di 250 e 350
cc, la Casa dei tre diapason intraprese lo sviluppo di una macchina di grossa
cilindrata che potesse portarla alla conquista del suo primo titolo mondiale
della classe 500 e a competere nella neonata (e all’epoca non ancora assurta a
mondiale) classe 750. L’idea fu quella di affiancare due gruppi termici
bicilindrici (per creare una 500 cc e una 700 cc) su un basamento comune. Un
progetto che portò I primi risultati nel 1973, quando Saarinen e Kanaya con le
nuove OW19 misero in crisi le MV Agusta 500 di Agostini e Read. L’enorme
potenziale di questi motori era celato sotto una disarmante semplicità
meccanica, le cui prestazioni avevano del miracoloso: ma non era così.
Dietro quei
quattro cilindri senza valvole c’era tutta la tecnologia che i giapponesi erano
in grado di mettere in campo in termini di progettazione, materiali,
lavorazioni meccaniche e organizzazione. Fattori ben evidenti anche nelle prime
moto di serie, che in quel periodo iniziavano a saturare i mercati occidentali.
Nessuna sorpresa quindi se quella “ricetta” avrebbe segnato uno di quei
“periodi” tecnici cui abbiamo accennato in apertura. Il nuovo motore era
caratterizzato da un carter in lega leggera tagliato secondo un piano
orizzontale in cui erano montati due alberi motori indipendenti accoppiati da
un manicotto centrale e il blocco dei cilindri raffreddato ad acqua con sette
luci (di cui Quattro di travaso più una “unghiata” sopra la luce di
aspirazione).
Le misure
caratteristiche “quadre” (54 x 54 mm) e l’ammissione regolata da carburatori
Mikuni da 34 mm confermavano la diretta derivazione dal bicilindrico di un quarto
di litro. Importante innovazione, l’adozione delle valvole a lamelle
sull’aspirazione, un travaso d’esperienza dai motori da cross (notoriamente
bisognosi di buon tiro a basso regime) e soluzione tecnica sapientemente
utilizzata dalla Yamaha per accomunare le sue bicilindriche stradali (all’epoca
il suo indiscutibile cavallo di battaglia) con i bolidi da corsa. Nonostante
questo, il campo di utilizzo di questi motori non era comunque superiore ai
2000 giri. La prima Yamaha a conquistare il mondiale delle mezzo litro fu la
OW26 e questo fu un momento storico: quell’anno, il 1975, segnava la fine del
“periodo” del Quattro tempi anche nella classe regina. Un dominio che sarebbe
tornato 27 anni dopo e soltanto grazie a un regolamento particolarmente “generoso”.
Dopo la MV Agusta un altro avversario, la Suzuki
Dal 1976,
fuori la MV, apparve sulla scena un altro temibile concorrente per la Yamaha:
la Suzuki RG500. Si trattava sempre di una quattro cilindri a due tempi ma con
un’architettura diversa da quella della Yamaha e soprattutto caratterizzato
dall’ammissione a disco rotante. Con alla guida un talento come Barry Sheene,
il mondiale passò di mano, a favore della quattro cilindri di Hamamatsu. Stessa
musica nel 1977, con la Yamaha che cercò un rilancio con la OW35,
caratterizzata da un motore a corsa corta (56 x 50,4 mm), per creare maggiore
potenza (denunciata in 110 CV) con le grandi aree delle luci di aspirazione e
travaso. Piloti Yamaha quell’anno furono Steve Baker, Johnny Cecotto e il
nostro Agostini, che subirono ancora la supremazia di Sheene.
Arriva Kenny (Roberts)
Come per la
Suzuki, le cui indubbie potenzialità furono esaltate da un Sheene in
particolare stato di grazia e in perfetta sintonia con la moto, anche per la
Yamaha l’arrivo del californiano Kenny Roberts ha segnato una svolta.
Nel 1978, la
OW35 e “King” Kenny si espressero al meglio raggiungendo il titolo ai danni di
Sheene, ripetendosi nel 1979 con la OW45, antenata della moto che illustra il
nostro servizio. Quell’anno il migliore avversario per Roberts fu l’italiano
Virginio Ferrari (Suzuki Nava Olio FIAT), in lizza per il campionato fino
all’ultima prova (dove dovette ritirarsi per caduta) e che giunse secondo nella
classifica finale.
In quella
che fu la migliore stagione nei GP del pilota milanese, merita di essere ricordato
il capolavoro nel GP d’Olanda dove fu protagonista di un lungo duello con
Sheene, che tenne col fiato sospeso tutti gli appassionati (compreso il
sottoscritto) in una memorabile diretta televisiva e che si risolse in volata
con l’italiano autore del giro più veloce a 159,22 km/h di media.
Questo
periodo vittorioso non fece comunque dimenticare le potenzialità della Suzuki,
sempre vicinissima, specialmente verso la fine della stagione, quando le due
moto parevano pressoché equivalenti. A livello tecnico, l’evoluzione fu
continua: nel motore OW35, in particolare, alle già menzionate lamelle
all’aspirazione, fu affiancata l’importantissima adozione della valvola
rotativa parzializzatrice allo scarico, denominata YPVS (Yamaha Power Valve
System). Come noto, se per i motori a quattro tempi la forma delle camme (e
quindi le durate – espresse in gradi di rotazione dell’albero motore – delle
fasi) è fondamentale per definirne il carattere, nel due tempi questo è
delegato all’ampiezza delle luci di aspirazione, travaso e scarico, ricavate
nel cilindro. Tra queste, quella di gran lunga maggiormente responsabile delle
differenze di prestazioni tra un motore turistico e uno da corsa, è quella di
scarico; in particolare la sua dimensione in altezza quando si utilizzano
scarichi “accordati”. Il sistema introdotto dalla Yamaha aveva proprio il
compito di variare l’altezza della luce di scarico, creando un compromesso del
suo valore adatto al miglior rendimento su un più vasto spettro di regimi.
La Yamaha OW48
La strada
che in Giappone si pensò di percorrere per migliorare ulteriormente
l’affinamento della sua quadricilindrica per la stagione 1980 passò attraverso
l’affinamento della ciclistica, partendo innanzitutto da un alleggerimento
generale.
La nuova
moto, siglata OW48, ebbe dunque ben presto il telaio in tubi tondi di acciaio
sostituito da uno in tubi quadri di lega leggera, con una geometria pressoché
identica alla precedente versione tranne che per una leggera ridistribuzione
dei pesi, suggerita da Roberts.
Nel motore
una modifica tecnica fu l’adozione della valvola YPVS a ghigliottina, più
efficiente di quella rotativa adottata sul motore della OW45.
R come 'rovesciati'
A partire
dal GP d’Olanda, dal Giappone arrivò un nuovo motore caratterizzato dai
cilindri esterni rovesciati, ovvero con lo scarico rivolto indietro e i
carburatori posti in avanti. Una scelta che si spiega con la cronica
difficoltà, per un pluricilindrico, di posizionamento delle voluminose camere
d’espansione, “inventate” alla fine degli anni ’50 dai tecnici tedeschi della
MZ. Questi utilizzavano l’ammissione a disco rotante con cui potevano usare gli
scarichi posteriori con le pipe pressoché rettilinee (e quindi assai più
assimilabili alla teoria). In questo contesto la distribuzione a disco rotante
da maggior libertà ai progettisti di disporre al meglio le luci di scarico sui
cilindri, essendo questa le uniche applicate. Nel sistema di aspirazione
tradizionale, la presenza del carburatore complica notevolmente le cose. In
questo contesto vale la pena di fare un’altra interessante considerazione
tecnica: nel motore a due tempi ha anche una notevole importanza il senso di
rotazione dell’albero motore; è infatti importante considerare la relazione che
intercorre tra la posizione della luce di scarico e il senso di rotazione
dell’albero motore.
Durante la
fase utile del ciclo, quando il pistone scende verso il PMI, a causa della
posizione obliqua della biella, il pistone è spinto sulla parete del cilindro;
è ovvio che questa spinta è meglio si applichi sulla parete opposta ai travasi,
per evitare che attraverso l’inevitabile gioco tra canna e pistone, una parte
dei gas pompati dal carter possano uscire dallo scarico (aiutati anche dalla
depressione creata dalle risonanze nella camera di espansione). Una considerazione
che fa il paio con quella che vorrebbe tale “appoggio” sul lato del pistone
dove non vi è la sfinestratura inferiore che regola la durata dell’aspirazione,
per avere minori sollecitazioni sul pistone. Quest’ultima considerazione aveva
portato all’inversione del senso di rotazione del motore della OW35, da orario
ad antiorario.
Ruotando in
senso orario, infatti, nella fase di espansione la spinta si esercita proprio
sul lato aspirazione. Nella OW48R l’esigenza di avere le espansioni rettilinee
ha evidentemente avuto il sopravvento sull’altra considerazione in una classica
situazione di compromesso tecnico.
Più cavalli
Risultato
della diversa geometria dello scarico fu l’adozione di carburatori diversi (36
mm per i cilindri esterni e 34 mm per quelli interni) ed il guadagno di una
manciata di cavalli di potenza massima. Nella OW48 la camera d’espansione del
cilindro n.1 (quello all’estrema sinistra) passava dietro i carburatori per
uscire sul lato destro, nella zona della gamba del pilota: con la disposizione
dell’OW48R si evitò anche il grande accumulo di calore nella zona sottosella,
che influiva negativamente nel rendimento dell’idraulica del
monoammortizzatore. Inizialmente il motore “R” non fu alloggiato nel telaio in
alluminio e fu quindi provato su quello in tubi di acciaio. Verificate le buone
prestazioni, il telaio in lega leggera, modificato per ospitarlo, fu
disponibile dal GP d’Inghilterra (anche se in quella occasione Kenny le preferì
la versione normale).
Durante quella stagione, Roberts alternò la OW48 e la OW48R, alla ricerca del miglior compromesso su ogni circuito, per opporsi al meglio ai suoi principali avversari chiamati Marco Lucchinelli e Randy Mamola con le onnipresenti Suzuki RG. Con l’eccellente risultato di ottenere il terzo titolo mondiale consecutivo, un’impresa condivisa con Mike Hailwood, Geoff Duke, John Surtees e Giacomo Agostini, e che lo proiettò tra i più grandi di tutti i tempi.
loading

Loading