Nei box di Misano Adriatico, in occasione del GP di San Marino e Riviera di Rimini, abbiamo incontrato Andrea Bergami, l’ingegnere della Brembo che conosce non solo tutti i segreti dei freni prodotti dalla Casa italiana ma anche vizi e virtù dei piloti in staccata, poiché è lui che offre la sua assistenza ai team della MotoGP e ancor più a quelli della Moto2 e Moto3 analizzando la telemetria. La persona giusta per svelarci alcuni interessanti dettagli sui freni a disco carbon-carbon che la Brembo fornisce ai team della MotoGP, insieme ai celebri cerchi in lega di magnesio Marchesini, marchio di proprietà Brembo.
Lo staff che la Brembo schiera nel Motomondiale include anche Andrea Pellegrini, anch’egli ingegnere, che segue in particolare i team della MotoGP in pista e cura i rapporti commerciali con tutti i team, e l’ingegner Roberto Pellegrini, che oltre a essere il responsabile dell’attività sportiva nel settore due ruote è impegnato in prima persona sulla Moto-E, una categoria nuova che richiede un approccio tecnico tecnica e commerciale dedicato, vista la tipologia di mezzi con esigenze di frenata diverse rispetto alle moto tradizionali (il peso, ad esempio, è di molto superiore) e i diversi budget dei team. Questa nostra intervista ad Andrea Bergami.
Iniziamo da una considerazione di carattere generale: abbiamo osservato che, rispetto a qualche stagione fa, l’uso del carbonio nella MotoGP sia ormai generalizzato in ogni pista e condizione meteo.
“Esatto. Una delle maggiori differenze che si possono riscontrare rispetto al recente passato è che la quasi totalità dei team e dei piloti ha l’autonomia di poter utilizzare freni in carbonio anche sotto l’acqua e in generale in ogni condizione climatica. E questo grazie alla nostra esperienza che accresce di anno in anno e ad alcuni accorgimenti adottati direttamente dai team, quali le cover che coprono più o meno parzialmente i dischi”.
Dunque i ripari sempre più estesi che vediamo servono per stabilizzare la temperatura dei dischi.
“Si. Il carbonio, a differenza dell’acciaio esprime un coefficiente d’attrito che è funzione diretta della temperatura. A bassa temperatura il coefficiente è basso e dunque il sistema ‘frena poco’. Se portato al corretto regime termico e poi mantenuto in un range corretto di temperatura esprime le sue prestazioni migliori”.
C’è una proporzionalità diretta tra temperatura e coefficiente d’attrito?
“Non proprio. La funzione matematica è un po’ più complessa e abbiamo verificato, eseguendo una mappatura, che la legge di variazione non è riconducibile a una curva standard. Ma questo è un nostro know-how che tendiamo a non divulgare, neanche ai team. Quello che noi sappiamo è esattamente qual è la forza frenante che il nostro impianto è in grado di esprime in certe condizioni di temperatura e pressione nel circuito idraulico”.
Qual è la temperatura di transizione?
“Diciamo che la temperatura di funzionamento non dovrebbe scendere, a inizio frenata, sotto i 250-300°C, con un delta a salire che dipende molto dal tipo di staccata che si sta valutando, dal pilota e anche dalla moto. Chiaramente le pinze non possono invece superare i 200°C per non incorrere in fenomeni di ebollizione del fluido idraulico, con effetti negativi sulla pressione nell’impianto. Brembo produce liquidi freno ad elevatissima temperatura di ebollizione proprio per questo scopo”.
Ma gli impianti sono tutti più o meno uguali o sbaglio?
“La differenza di comportamento in frenata della moto ha subito variazioni di un certo rilievo da quando è iniziato lo sviluppo dell’aerodinamica. Essendo che ogni moto ha una sua aerodinamica, la forza verticale che consente di mettere a terra più o meno coppia frenante è variabile. Questo porta a esprimere potenziali termici ed energetici differenti. Per questo l’utilizzo delle cover sui dischi è così importante per riuscire ad avere le migliori prestazioni”.
Dunque le cover servono in ogni situazione.
“Diciamo che una volta erano obbligatorie per poter utilizzare i freni sotto la pioggia. Oggi con la sempre maggior sofisticazione tecnica e aerodinamica un controllo della temperatura è sempre necessario e per questo i team hanno a disposizione più versioni di cover per variare il flusso d’aria di raffreddamento a seconda delle esigenze. In caso di pioggia si utilizzano le ‘full cover’ che chiudono completamente il disco, altrimenti cover parziali o, in qualche caso, nessuna cover”.
Collaborate coi team nella costruzione delle cover?
“Collaboriamo coi team per fornire i dati necessari a impostare il progetto, ma lasciamo poi a loro lo sviluppo completo della specifica, che è diversa moto per moto. E’ molto difficile ipotizzare una cover standard che vada bene a tutti”.
Veniamo ai dischi, avete diverse ‘mescole’ a seconda dell’impiego?
“A livello di composito, ovvero della sua composizione chimica, c’è un solo materiale, uguale per tutti. Quello che può cambiare a seconda delle richieste del team è la specifica del disco intervenendo sul diametro e sull’altezza di fascia. Il diametro esterno può essere 320 mm o 340 mm. Ognuno poi si divide in disco a ‘fascia alta’ o ‘fascia bassa’. Il primo con una fascia ‘spazzata’ dalla pastiglia radialmente più ampia l’altro con una superficie attiva minore che unita al disco di minor diametro esalta diminuisce l’inerzia termica, il peso e il momento d’inerzia polare. Massa e inerzia termica sono i fattori che influenzano il regime termico del disco”.
A tale proposito come controllate la temperatura del disco?
“La temperatura viene rilevata direttamente dall’acquisizione a bordo veicolo con una frequenza di 200 Hz, come tutti gli altri dati acquisiti. Nelle soste scarichiamo questi dati e li analizziamo punto per punto. Essendo collegati al GPS abbiamo tutti i dati sensibili in ogni punto del circuito e questo consente analisi molto precise. Utilizziamo un sensore a infrarossi che legge la variazione cromatica del carbonio con la temperatura e tramite un algoritmo la abbiniamo alla temperatura locale”.
Dunque si parte da questi dati per calibrare l’impianto…
“Sicuramente le FP1 ed FP2 sono le sessioni più delicate per prendere le misure e iniziare a fare alcune scelte preliminari. I piloti escono e rientrano con una certa frequenza, noi scarichiamo i dati e li analizziamo subito per aiutare a fare le scelte migliori. E’ in questa fase che si sceglie il tipo di cover e la combinazione diametro disco e fascia. Possiamo vedere in ogni punto del circuito la temperatura del disco, e quindi il coefficiente d’attrito, nonché la pressione esercitata dalle dita del pilota, determinando così la coppia frenate applicata”.
Di fatto, aggiunge Andrea, i team e gli stessi piloti non sono troppo propensi a cambiare il materiale troppo spesso. Preferiscono fare delle variazioni rispetto alla soluzione standard senza andare a esplorare strade per le quali non si ha uno storico dei dati.
Il materiale del disco e della pastiglia è lo stesso?
“Assolutamente si, da questo deriva il nome carbon-carbon che assegniamo a questi impianti”.
Ho visto che nei box dischi e pinze sono fascettati. Evidentemente è per non mescolare i pezzi.
“In effetti noi forniamo ai team i vari pezzi separati, poiché non c’è un accoppiamento tra disco nuovo e pastiglia nuova. L’accoppiamento si crea in pista dopo una fase di rodaggio di 3-4 giri in cui i materiali si assestano. E’ da lì in poi che i pezzi non devono più essere separati quando si smontano e rimontano sulla moto”.
Le pinze sono tutte uguali?
“No, al momento abbiamo una specifica ‘heavy duty’, più pesante e con alette di raffreddamento, che consigliamo per le piste più impegnative dal punto di vista della frenatura. La pinza ‘light duty’ è dedicata a piste meno ‘demanding’. Entrambe sono nate per lavorare con pastiglie di dimensioni diverse, più alte o più basse. La scelta è del team: ci sono alcuni che scelgono una pinza e non la cambiano mai, altri che invece le alternano”.
La pista più difficile per i freni?
“Senza dubbio Spielberg, soprattutto quest’anno, col grip eccezionale che ha permesso di mettere a terra coppie frenanti elevatissime con un conseguente alto carico termico. Le tre gare asiatiche, Motegi, Sepang e Buriram sono anch’esse molto impegnative. Noi classifichiamo la difficoltà su 5 livelli e queste che ho citato sono 5/5. Misano, ad esempio, è meno impegnativa: la valutiamo 4/5”.
Quali sono i valori massimi della pressione applicata alla pinza?
“E’ difficile dirlo perché varia molto dal pilota e dalla curva di frenata in termini di pressione. Di massima arriviamo ai 13-14 bar. Poi ci sono piloti che non ci arrivano perché non ne hanno bisogno, altri che ci arrivano solo in qualche occasione. Non è sempre detto che a maggiore pressione corrisponda una frenata più efficace”.
Parlando coi tecnici Ducati del problema di velocità di percorrenza sollevato a più riprese dai piloti, risulta che per ovviare a questo specialmente Dovizioso tenda a usare molto i freni per recuperare il terreno perde poi in traiettoria.
“Che Dovizioso faccia delle staccate davvero forti è dimostrato dai nostri dati. E lo stesso vale per Petrucci. Sfruttano la moto per questo. Devo dire che per ottenere queste prestazioni Ducati utilizza comunque componenti assolutamente identici a quelli di tutti gli altri team”.
Complimenti ai piloti Ducati, allora. Riguardo le pompe cosa mette a disposizione Brembo?
“Il diametro del pompante è 19 mm. Quello che cambia solitamente è l’interasse della leva che può essere 19×18 o 19×20, in pratica 2 mm di differenza nel braccio di leva, sufficiente per far variare in modo sensibile il feeling di frenata”.
Per quanto riguarda il freno posteriore ci sono novità?
“Qui al momento la tecnologia prevede disco in acciaio, ma anticipo che abbiamo molte evoluzioni in atto e avremo anche lì degli sviluppi sul materiale. Per ora lo sviluppo si concentra sulla parte di pompa, a pollice o a indice. Quest’anno siamo tornati alla pompa a indice, soluzione che in effetti avevamo già tentato in passato ma che era poi stata messa da parte. Si tratta di un upgrade importante perché sempre più queste moto necessitano a centro curva dell’utilizzo del freno posteriore per chiudere la traiettoria.
La pompa a pollice era stata introdotta per l’oggettiva difficoltà, con certi angoli di piega, di azionare il pedale del freno. L’azionamento a pollice risulta però un po’ difficoltoso per il fatto che il palmo deve staccarsi dalla manopola, cosa che per i piloti che stanno molto ‘appesi’ nelle curve a destra può causare qualche problema a restare ‘aggrappati’ al manubrio. Per questo abbiamo rispolverato quella ‘a indice’ che aiuta in queste situazioni. Poiché per ora la scelta non è univoca, abbiamo sviluppato la prima pompa ‘push-pull’ che può indifferentemente essere utilizzata a pollice o a indice. Così i piloti possono scegliere”.
Sul semi manubrio sinistro, già piuttosto affollato da leva della frizione, che peraltro viene utilizzata solo nello spunto da fermo) e pulsantiere, inserire questo dispositivo non è facile. Alla Brembo hanno dovuto quindi cercare di miniaturizzare il più possibile il componente, per rendere il montaggio il meno invasivo possibile Giusto per fare qualche nome, Rossi, Dovizioso, Quartararo, Morbidelli, Lorenzo e Bagnaia continuano stabilmente con la pompa pollice ma alcuni di essi hanno provato quella a indice. Karel Abraham del Team Avintia è invece uno dei primi discepoli dell’indice.
Un’ultima domanda: l’assistenza tecnica della Brembo ai team della MotoGP mi sembra vada oltre i soli impianti frenanti.
“Certo. Brembo è proprietaria del marchio Marchesini e fornisce i cerchi in magnesio forgiato a 14 dei 22 team della MotoGP. Li forniamo anche ai team della SBK, dove però per regolamento devono essere di alluminio forgiato. E’ un brand i cui componenti completano il servizio Brembo sulle ‘masse non sospese’ e sui quali facciamo ogni anno degli sviluppi importanti, puntando non solo sull’alleggerimento ma anche sulla deformabilità controllate del cerchio per assecondare la deformazione dello pneumatico e dare al pilota maggior feeling di ciò che accade nel punto di contatto con l’asfalto”.
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