Le strade di oggi si riempiono di innovative e curiose “microcar” elettriche che promettono una mobilità capillare, dal basso impatto generale sulla città e dalla grande agilità d’uso; tra queste Microlino, XEV YOYO e Citroën Ami. Una tendenza non nuova in verità, che senza andare troppo a ritroso nella storia del design dell’automobile italiana, conta degli esempi di straordinaria inventiva a capacità propositiva, tale da essere ancora oggi anticipatrici ed efficaci proposte.
La Biga viene presentata al pubblico del Salone dell’Automobile di Torino nel 1992, ma l’idea risale a un progetto svelato da Giugiaro già nel 1989 presso la “Assises Mondiales de l’Automobile” di Parigi (importante riunione che si interrogò sullo stato dell’automobile e i suoi scenari futuri). Biga si manifestò come risposta progettuale al tema di ricerca “quali auto per l’anno 2000”.
Giugiaro interpretò i dati risultanti da un’analisi che tenne in considerazione aspetti economici, sociali e ambientali relativi all’evolversi repentino del rapporto tra automobile, contesto ed essere umano. Il prototipo funzionante e studiato per una reale possibilità di produzione in serie, prende forma tenendo conto di future restrizioni alla circolazione in ambito cittadino di auto private, configurandosi come veicolo condiviso messo a disposizione dalla stessa città: gli utenti possono sbloccarla dai parcheggi designati mediante una card (come avviene oggi), utilizzarla e rimetterla a disposizione degli altri utenti.
Da questa modalità d’uso ne deriva la forma ridotta al minimo nelle dimensioni (lunga 203 cm, larga 150 cm e alta 186 cm), con ruote piccole e agli angoli, e squadrata per massimizzare abitabilità, visibilità e la possibilità di parcheggio in senso perpendicolare al marciapiede, uscendo direttamente sullo stesso consentendo al contempo l’affiancamento di più auto in meno spazio. Difatti si accede dal portellone posteriore (come sulle bighe romane), accogliendo quattro persone su minimali sedute pieghevoli: questa configurazione consente di poter ospitare un diversamente abile, secondo un’idea di flessibilità e inclusività. Il corpo vettura, protetto da un’ampia fascia paracolpi in plastica, è costruito in acciai speciali che garantiscono leggerezza e robustezza, mentre per lo spostamento si punta sull’elettrico, ma con un sistema ibrido “range extender” che fornisce energia alle batterie.
La Metrocubo presentata al Salone dell’Automobile di Tokyo del 1999 prende forma osservando quanto la gran parte degli spostamenti cittadini avvenga con un massimo di quattro persone a bordo. Presso il Centro Studi e Ricerche Pininfarina di Cambiano, il team che vede Ken Okuyama come capo progettista, Lowie Vermeersch agli esterni e Bruno Gho per gli interni, si mette al lavoro tracciando una volume vagamente cubico (similmente alla proposta di Giugiaro) e quasi speculare tra anteriore e posteriore, lungo 258 cm, largo 178 cm e alto 164 cm dove le ruote sono distribuite ai quattro angoli, posteriori più grandi per migliore trazione e stabilità, e anteriori più piccole per sfruttare al massimo il volume interno.
Il telaio di base è la parte tecnica più avanzata, realizzato in profilati in lega d’alluminio che formano un pianale piatto: la parte superiore è quasi un completamento con la funzione minima di sostenere i leggeri pannelli plastici che chiudono il volume carrozzeria. Questo consente di ottenere un solo posto fisso (quello conducente), mentre gli altri sedili possono essere spostati mediante guide o completamente rimossi, adattando la Metrocubo a ogni esigenza di traporto. I sedili minimi sono in tubolare d’alluminio con imbottitura in gel, la plancia raduna tutte le informazioni e funzioni attorno ad un display centrale, offrendo anche dei vani per riporre i piccoli oggetti; all’abitacolo si accede attraverso le portiere laterali, dove quella destra è a battente mentre la sinistra è scorrevole verso il posteriore per ridurre lo spazio occupato in strada. La trazione è elettrica, ma anche qui di tipo ibrido con sistema range extender.
Il Salone dell’Automobile di Ginevra del 2000 vede allo stand Bertone svelarsi la Slim, un prototipo che inverte la tipica riflessione sulle dimensioni utili di una “citycar”: non più un veicolo corto ma bensì stretto, costruito attorno a due occupanti disposti in tandem (più bagagli) con l’obiettivo di rispondere in modo nuovo al problema della mancanza di spazio in ambiente urbano. Ciò porta all’incrocio funzionale tra impostazione aeronautica e mondo degli scooter, che si traduce in un veicolo agile, ben protetto e guidabile con patente “A” sfruttando l’allora recente legislazione europea che favoriva i quadricicli leggeri. È sia un’auto che una moto.
Concepita da Eugenio Pagliano sotto la guida di Luciano D’Ambrosio come direttore del Centro Stile Bertone, è lunga 320 cm, alta 130 cm e larga solo 110 cm, per questo può essere parcheggiata in metà dello spazio necessario ad un’auto. All’abitacolo (o cabina di pilotaggio se vogliamo) si accede mediante un doppio tettuccio scorrevole realizzato in resina e due piccole portiere sul lato destro (marciapiede), il telaio è in leggero alluminio mentre la carrozzeria è in materiale plastico. Esteticamente si caratterizza fortemente non solo per la lunga “bolla” che determina un’andamento monovolume, ma anche per le ampie protezioni laterali che la proteggono dagli urti snellendone il profilo e per i particolari fanali posteriori (a Led) di aspetto puntiforme, tantoda sembrare affogati nella carrozzeria.
A spingerla è un motore bicilindrico a benzina di 505 cc (posteriore) prodotto dalla Lombardini che sviluppa 20 cv e consente di raggiungere, unitamente al peso di soli 400 Kg della Slim, la velocità massima di ben 120 Km/h; di rilievo l’apparato di sicurezza e tecnologico che conta airbag, cinture di sicurezza e una strumentazione di bordo completa di navigatore satellitare GPS. Tre citycar che interpretarono la mobilità del futuro in modi differenti, e che oggi sono quanto mai contemporanee.
Autore: Federico Signorelli
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