Arriva dall’Inghilterra uno studio che potrebbe rivoluzionare il settore della mobilità sostenibile, ancora alla ricerca di una via ben definita tra ibride, elettriche, combustibili alternativi e idrogeno. Proprio le auto a idrogeno sono il tema di questo studio che potrebbero trovare un prezioso alleato nei mozziconi delle sigarette e no, non abbiamo fumato prima di scrivere questo articolo.
Pensate a quante sigarette si fumano ogni anno nel mondo e calcolate quanti mozziconi vengono buttati semplicemente per terra, da incivili, o negli appositi raccoglitori. Lo studio dell’Università di Nottingham ha calcolato circa 800.000 tonnellate di mozziconi, rifiuti molto dannosi per l’ambiente perché non biodegradabili e in grado di rilasciare sostanze dannose per l’ecosistema.
Quello che oggi è un problema di non facile risoluzione potrebbe diventare la chiave per risolverne un altro: si pensa infatti di usare i mozziconi come materia prima per lo stoccaggio dell’idrogeno così da ottenre un sistema in grado di alimentare le auto a zero emissioni, anzi che emettono semplicemente acqua dal tubo di scarico.
Passato in secondo piano con l’avvento delle elettriche, l’idrogeno continua però a essere sulle agende di molte case automobilistiche. Dopo il boom di inizio anni 2000 la tecnologia che sfrutta l’elemento più diffuso dell’universo sta vivendo una fase di stand by per capire i possibili e reali sviluppi. L’idrogeno può essere bruciato come un normale combustibile fossile o essere immagazzinato in celle a combustibile per ottenere, tramite un procedimento chimico, energia da sfruttare per muovere le ruote.
Garantendo una resa energetica maggiore e un impatto ambientale limitato, seppur nei limiti della tecnologia a oggi disponibile, si calcola infatti che a parità di volume la benzina abbia una resa mille volte maggiore, il grande problema rimane appunto quello dello stoccaggio, così da ottenere livelli di autonomia paragonabili ai motori tradizionali.
“Al momento due sono i sistemi in voga per immagazzinare l’idrogeno” dice Stephen McPhail, esperto di energie rinnovabili e del loro utilizzo “una via può essere quella di mantenerlo allo stato gassoso, ma con pressioni molto alte che possono toccare le 700 atmosfere, oppure trovare dei materiali, solidi, in grado di stoccarlo, come alcuni composti le cui molecole permettono all’idrogeno di collocarsi all’interno, tra gli interstizi della struttura cristallina del materiale“.
Oggi è la prima opzione a prevalere, con costi ancora elevati ma utilizzando bombole dalle dimensioni di un normale serbatoio, e l’autonomia che ne deriva su alcuni modelli riesce a raggiungere i 500 chilometri. Per impieghi su scala minore, come per l’alimentazione di biciclette o su scala molto maggiore di un auto a idrogeno, ad esempio per il recupero dell’energia in eccesso prodotta da fonti eoliche, è più utile lo stoccaggio in forma solida.
“Quelli esistenti sono sistemi molto sicuri, ma attualmente sono limitati dalla possibilità di immagazzinare una quantità di idrogeno pari al 5% del peso totale del materiale – sottolinea McPhail – ecco perchè si continuano a studiare nuovi materiali e tecniche per ottimizzare questi processi“.
Proprio questa affermazione ha spinto i ricercatori dell’Università di Nottingham a sperimentare una nuova tecnica chiamata carbonizzazione idrotermale, un processo già utilizzato per smaltire rifiuti organici che sfrutta acqua e calore, ottenendo carbonio. Utilizzando con fonte primaria i famosi mozziconi i ricercatori si sono accorti che il risultato consiste in un carbone attivo molto poroso, perfetto per l’immagazzinamento dell’idrogeno: ad oggi risulta essere il più efficiente materiale a base di carbonio ottenuto fino ad oggi, considerando le sue capacità di stoccaggio.
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