Vespa 125 ‘Vacanze Romane’. Si, quella apparsa nel film con Gregory Peck e Audrey Hepburn. Per molti, un oggetto di culto.
Io che ‘vespista’ non lo sono, devo riconoscere che quell’oggetto ha fascino. Grande fascino. E’ davvero ‘diverso’ e mi immagino quanto poteva essere attraente visto dietro una vetrina illuminata all’inizio degli anni Cinquanta. Bella e possibile per tutti, magari a rate. Immagino il repertorio del venditore dell’epoca: “Guardate qui. Toccatela. Solo lamiera. Indistruttibile. E il motore. Due tempi, semplice, robusto. Con un litro di miscela fa tanta strada. E’ nascosto sotto il cofano, come sulle automobili. Dimenticatevelo, tanto non vi lascerà a piedi, mai. E se capitasse… nessun problema. Chiunque ci sa mettere le mani, sulla Vespa”. Era facile venderle, le Vespa. Si potevano anche fare le rate, indispensabili per molti. Ed era facile andarci, sulle Vespa. Chi non poteva ancora permettersi un’auto aveva finalmente l’alternativa alla bicicletta. O alle suole.
Disegnata attorno all’uomo
Nel suo contributo inserito nel bellissimo volume “Corradino d’Ascanio Uomo, Genio, Mago, Mito” edito dalla Fondazione Piaggio in occasione dell’omonima mostra dedicata all’inventore della Vespa (presso il Museo Piaggio di Pontedera fino al 31 gennaio 2012), il designer Giorgetto Giugiaro riporta un dettaglio interessante che aiuta a comprendere perché la Vespa fu da molti definita l’antimoto. Citiamo testualmente: “Durante un’intervista viene chiesto a d’Ascanio come nacque la Vespa: la cinepresa è fissa sulle sue mani e sul foglio sottostante. Lui comincia a disegnare e la prima cosa che traccia sul foglio è la figura stilizzata di un uomo seduto”. E prosegue: “In quell’immagine stilizzata di un uomo comodamente seduto, come su una sedia, nasce il successo della Vespa: è la sintesi perfetta di ciò che è l’ergonomia e detterà, insieme naturalmente alle competenze e all’esperienza di d’Ascanio, l’evolversi del progetto”. E questo, aggiungiamo noi, taglia corto su ogni paragone tra moto e scooter. Seduti come su una sedia e con le mani appoggiate sul tavolo, il piede destro che con la punta aziona il freno posteriore (lo stesso piede che si usa per il medesimo scopo sulle auto…) e la manopola sinistra girevole per innestare le marce mentre si aziona la frizione rappresentano le principali caratteristiche uniche e inedite della “filosofia” Vespa. D’Ascanio, come noto, non era motociclista e riteneva il togliere una mano dal manubrio per cambiare marcia una cosa pericolosa, specie nel traffico cittadino. Evidentemente pensava alla manovra del cambio automobilistico”.
Interessante anche il commento, riportato sulla già citata pubblicazione, del prof. ing. Francesco Lanzara, all’epoca direttore dello stabilimento Piaggio di Pontedera: “… chi aveva in mente la motocicletta, non ci credeva, chi amava la bicicletta, pensava al motorino ausiliario. Ma la Vespa non somigliava affatto a nessuno dei paradigmi esistenti, era diversa, una cosa diversa, piena di dee nuove, con una fisionomia del tutto originale, era un archetipo di una ‘specie’ nuova. Su questa ‘pietra’ iniziale è stata costruita la Piaggio del dopoguerra. Sul Times di Londra venne scritto ‘bisogna risalire alla biga romana per trovare un veicolo costruito in Italia che sia così peculiarmente e orgogliosamente italiano”.
Tuttavia il successo del primo modello, la 98 del 1946, non fu probabilmente quello che si aspettavano alla Piaggio. L’idea era buona, lo dimostrerà la storia, ma come tutti i prodotti nuovi, serve tempo e soprattutto una rete di distribuzione e assistenza capillare. E poi va bene l’economicità, l’affidabilità e un’estetica elegante, ma la 98 non ha praticamente sospensioni e questo gli procura qualche difficoltà in più per essere accettata da tutti. E poi va veramente piano…
Un passo avanti necessario
Sulla Rivista Piaggio n.1 del 1949, lo stesso d’Ascanio riconosce che: “Per quanto una fabbrica collaudi e provi le proprie macchine non otterrà mai un collaudo efficiente, indicativo e completo come quello che può dare l’esperienza di una vasta clientela, e difatti questa esperienza ha consentito, in breve volger di tempo, di portare alla Vespa quei ritocchi necessari e di preparare il nuovo modello 125, con molleggio posteriore e telaio di grande stabilità”. Dopo la prima serie, fabbricata in circa 1.400 esemplari nel 1946, e la seconda serie (15.680 pezzi nel biennio successivo) la 98 cede il posto alla 125, presentata nel 1948. C’è una più efficiente sospensione anteriore che monta una molla elicoidale, così come anche il gruppo motore-trasmissione oscillante. Il comando del cambio continua ad essere a bacchetta. Ben presto c’è anche una esile stampella laterale: la 98 si appoggiava semplicemente sulla pedana. Siglata V1T, la Vespa 125 è prodotta in circa 35.000 esemplari nel solo 1948. Inizia nel 1949 la seconda serie (sigla V2T-V14T) che ha finalmente un cavalletto centrale e il comando del cambio che diventa misto, con la prima parte e l’ultima a bacchetta e quella che passa nella parte centrale della scocca a cavo flessibile. La marmitta esce sulla sinistra e sostituisce la scatola silenziante (simile alla 98) con una a forma più schiacciata. La terza serie, del 1950, ha la marmitta cromata di forma ovale, la scocca differente e (dalla sigla V15T) il fanale imbullonato al parafango anziché rivettato per cui è possibile registrarne l’incidenza sulla strada. I terminali del cavalletto sono rivestiti in gomma, assumendo le sembianze che accompagneranno le Vespa per sempre.
La Vespa 125 “a cavi”
Il 30 dicembre 1951 è presentata la Vespa 125 modello 1951, prodotta pressoché immutata per due anni (codice V30T-V33T) che porta l’importante innovazione del cambio comandato da cavi flessibili. Sono così risolti i problemi di imprecisione del precedente sistema a bacchetta, soggetto a usura nei vari perni di snodo. Passo avanti anche nella sospensione anteriore che guadagna un ammortizzatore idraulico e nuovo il fanalino posteriore che da tondo diventa rettangolare. Il tubo di scarico entra in una scatola nervata posta sotto il motore, col terminale che nella prima versione (V30T) esce a destra, sotto il braccio della trasmissione e nella successiva (V33T come l’esemplare del nostro servizio), a sinistra. Tra i dettagli, il rubinetto della benzina che diventa a levetta rotante e con la riserva. Nuovo e più grande il filtro dell’aria che protegge il carburatore Dell’Orto TA17B. Ci fermiamo qui, rimandando ad un prossimo servizio l’analisi dei successivi dieci anni della 125 con la scocca grande, prima dell’arrivo della Nuova 125 datata 1965.