Ciao Oliviero, ma ti rendi conto? Ci lasci senza nemmeno un’ultima provocazione. Con quella tua faccia da chi ha visto tutto e non ha paura di dirlo, te ne sei andato, ma non senza prima aver scosso il mondo dell’immagine – e dell’automobile. La tua macchina fotografica, quella che non definivi “fotocamera”, ma “arma”, ha immortalato tanto di quel petrolio (umano e simbolico) che per molti resterai l’unico in grado di fare della pubblicità un racconto.
Anche nel mondo delle auto non sei stato da meno: tra le tue campagne più brillanti, la Porsche che si fa strada tra le parole ai tempi dell’introduzione del superbollo e la Toyota Prius con la famiglia Amish nel 1994 (un atto di sfida alla modernità, come solo tu potevi concepire). Poi, come dimenticare quel clown che ci invitava a riflettere sullo strazio delle strade? Perché sì, la macchina non è solo un oggetto di lusso, ma un simbolo, un segno, una storia da raccontare.
Con le tue foto, Oliviero, hai raccontato il mondo a forza d’immagini impattanti, capaci di svegliare l’apatia e l’indifferenza. Più che belle, le tue immagini erano scosse elettriche che ci obbligavano a vedere, a riflettere, a provare. Un occhio che non si accontentava del bello, ma che scavava, provocava e risvegliava. E adesso? Chi potrà mai strappare il velo della superficialità come facevi tu?
Nel tuo ultimo progetto, Razza Umana, dicevi che ogni persona è un’opera d’arte, unica e irripetibile, e che l’umanità è sempre, e sarà sempre, individuale. Così, Oliviero, anche tu rimani, nella tua unicità, un’opera d’arte che non smetterà mai di provocare e farci vedere, ancora, il mondo con occhi diversi.