Il Marchio giapponese Hino Motors non dirà molto a noi europei, per quanto questo vanti una lunga storia che parte dalla sua fondazione nel 1910 arrivando fino ai giorni nostri come forte costruttore di veicoli commerciali.
Ma prima di dedicarsi unicamente a questo settore di mercato, il marchio nipponico si espresse in maniera peculiare non solo nella produzione automobilistica arrivando a richiamare talenti come quello del nostro Giovanni Michelotti, ma anche nel Motorsport, concependo l’ormai da molti dimenticata e peculiare vettura sport prototipo BRE HINO Samurai nel 1967.
L’avventura affonda le prime radici nella “Tokyo Gas and Electric Industries Co.”, ma ben presto alla produzione energetica si accostò quella di veicoli commerciali con il camion TGE Type-A nel 1917; una diversificazione che non deve sorprendere in un paese che si sta lanciando verso la rapida industrializzazione. Difatti insieme ai camion affianca la costruzione di componenti elettrici, aerei, veicoli blindati e pullman con marchi Sumida e Chiyoda.
Gli ottimi risultati economici portarono ad un progressivo ingrandimento confluendo nel 1937 nella “Tokyo Automobile Industry Inc.”, poi divenuta nel 1941 “Diesel Motor Industry Co.” per poi formare (dopo una serie di altri passaggi) una realtà dal nome familiare: la “Isuzu Motors”. Nel 1942, una divisione si separò dal gruppo dando forma alla nostra “Hino Heavy Industry”, impegnata durante il secondo conflitto mondiale nella costruzione di grandi motori diesel per la marina giapponese; produzione che durerà fino al termine delle azioni di guerra, quando riprenderà la costruzione di camion e autobus dal 1948 (come Hino Diesel Industry Co.).
Dai camion alle automobili
Nel 1952, Hino si trova incoraggiata a lanciarsi nella costruzione automobilistica tramite il M.I.T.I. (Ministry of International Trade and Industry) ovvero il Ministero del Commercio Internazionale e dell’Industria, portando ad un’alleanza con Renault per l’assemblaggio della 4CV (rinominata Hino PA) dal 1953 in quanto anche il Giappone vede nell’automobile un volano economico e di rinascita sociale.
A questa prima fondamentale pietra andranno a seguire altri importanti veicoli, come la Contessa 900 nel 1961, ispirata tecnicamente alla Renault Dauphine ma costruita interamente in Giappone alla quale seguirà il primo capolavoro automobilistico dell’azienda: la Hino Contessa 1300 disegnata da Giovanni Michelotti nel 1964, in versione berlina e coupé. Proprio la coupé mostra già una certa indole sportiva con il suo quattro cilindri in linea posteriore da 1.251 cc e 54 CV per una velocità di 130 km/h (poi cresciuti a 145 km/h con la versione 1300S da 64 CV nel 1965).
Lo stesso Michelotti, conscio di quanto le corse fossero uno dei mezzi migliori per lanciare con successo un prodotto, ingolosì la Hino fin dalla presentazione del primo prototipo della Contessa 1300 attraverso l’affusolata e fascinosa Contessa 900 Sprint del 1962.
Peter Brock, la Hino e la voglia di competere
Peter “Pete” Brock è uno specialista delle auto da competizione. Nel 1956 collaborò in GM al design del prototipo della Corvette Stingray per poi proseguire la sua carriera con Caroll Shelby dove definì la Cobra Daytona. Autentico fuoriclasse, Brock lasciò Shelby nel 1965 per fondare la sua scuderia “Brock Racing Enterprises” (BRE).
Come abbiamo visto, la Hino in quegli anni si sta dedicando al settore delle automobili sviluppando specialmente il mercato interno, ma come tutti sa che l’esportazione è fondamentale guardando all’enorme e promettente mercato statunitense. Le corse sono ancora il miglior modo per mostrare le qualità dei propri prodotti così, entusiasmati dalla carriera di Brock la Hino lo mette sotto contratto con primo intento quello di preparare le Contessa 900 e 1300: sarà il primo statunitense a elaborare ufficialmente vetture giapponesi e la Contessa sarà la prima vettura del sol levante a partecipare ai campionati USA. Di li a poco arriveranno i primi piazzamenti al Times Mirror GP a Riverside e nel campionato SCCA, convincendo BRE ed Hino a fare il salto nel mondo dei prototipi da competizione portando l’idea di una vettura piccola, potente e leggera sul tracciato del Fuji Motor Speedway per il GP del Giappone 1967.
Una leggenda senza futuro: la “Samurai”
Sembrava che tutto andasse per il meglio, finché il gigante Toyota acquisì Hino nell’aprile del 1967 eliminando definitivamente la gamma di auto del marchio (e dunque il programma corse), concentrandolo solo sulla produzione di mezzi pesanti. Nonostante ciò la BRE decise di andare avanti nel progetto investendo direttamente e facendo costruire la futura BRE Hino Samurai negli Stati Uniti presso l’officina di Dick Trutman e Tom Baranes (costruttori della Scarab Sports-Racer e della Chaparral 1), sita a Culver City vicino Los Angeles: seguendo le specifiche del Gruppo 2 la carrozzeria venne battuta in alluminio su un telaio in acciaio tubolare (peso totale di soli 530 kg) che ospitava il motore in posizione centrale posteriore della Contessa, portato a 1.293 cc per circa 110 CV totali e corredato di due carburatori doppio corpo Mikuni-Solex.
Il disegno aerodinamico della carrozzeria, curato anch’esso da Brock, si rivelò innovativo quanto efficace oltre che simile a quello di un’altra sua realizzazione (la De Tomaso P70 da Can-Am): tra gli elementi di maggior spicco il frontale basso e spiovente, le ruote semi carenate posteriori e il grande spoiler integrato con sistema di regolazione meccanica del profilo per settarne l’efficacia.
Era tutto pronto, l’auto aveva già riscosso grande interesse ma purtroppo gli steward del GP giapponese ritennero che la Samurai non avesse l’altezza utile per regolamento (troppo bassa) squalificandola. Indipendentemente dal triste finale, l’auto attirò moltissima attenzione tanto da conquistare la copertina del numero di novembre 1967 della rivista Road & Track ed entrare nella storia dell’automobile più particolare.
Autore: Federico Signorelli