Nel caffè dell’Europa, l’auto si trova a sorseggiare un espresso troppo amaro. ACEA ha tirato fuori il bicchiere, denunciando come i “costi sproporzionati” e il rischio di non centrare i target CO₂ 2025 siano l’ennesima beffa per un settore già sofferente.
La causa? La conosciamo tutti, le elettriche non si vendono. Le proposte per evitare il naufragio normativo sono due: un phase-in graduale – 90% per il 2025, 95% per il 2026 – o una matematica che guarda al quinquennio 2025-29, come se una media potesse addolcire il sapore amaro di una crisi annunciata. Ma non finisce qui: l’associazione dei costruttori europei presieduta da de Meo ci serve in quattro portate il menù del disastro, da 16 miliardi di euro di multe reinvestiti a voci di chiusure d’impianti, pooling con Case non europee e persino elettriche vendute sotto costo, con lo sconto finale: destabilizzazione dei prezzi e un futuro incerto per l’occupazione.
La verità, tagliente come un caffè ristretto, è che l’industria europea si trova sull’orlo di un precipizio normativo. Senza un briciolo di flessibilità, siamo destinati a una corsa sfrenata verso tagli improvvisi e strategie a breve termine, come se bastasse cambiare la miscela per salvare un marchio ormai amaro. In questo teatro dell’assurdo, la domanda resta sospesa: sarà davvero possibile, con un semplice sorso di “compliance media” o un phase-in a rate, evitare che il caffè si raffreddi definitivamente?