Diminuendo la massa aumentano prestazioni, tenuta e frenata. Un concetto semplice che troppo spesso viene dimenticato.
“Less is more”, cioè di meno è meglio. Era una delle frasi preferite di Colin Chapman, fondatore della Lotus e teorico intransigente della leggerezza a tutti i costi, al punto che i suoi detrattori lo accusavano di rinunciare anche alla sicurezza pur di risparmiare qualche chilogrammo. Le Formula 1 di Chapman, infatti, rinunciavano al telaio in traliccio di tubi, che era lo standard dell’epoca, e preferivano una struttura realizzata con pannelli in lamiera di alluminio che venivano piegata e formatati e poi rivettati tra loro, formando una monoscocca.
Tecnicismi a parte, il concetto fondamentale alla base della ricerca della leggerezza è quello dei benefici che si conquistano per ogni grammo che si lima. Se un motore più potente migliora la velocità e lo scatto, se pneumatici più grandi e un assetto migliore aumentano la tenuta di strada e se freni più potenti diminuiscono lo spazio che serve per rallentare, abbassare il peso porta tutti questi benefici insieme.
È un concetto talmente banale che non c’è bisogno di spiegarlo, ma che ogni tanto viene dimenticato. Provate a fare una corsa, qualche scatto e cambio di direzione a piedi, poi provate a rifare tutto con uno zaino anche solo di 10 kg sulle spalle e sentite la differenza. Essere leggeri è dunque il modo migliore per aumentare le prestazioni e del resto le vetture da corsa sono sempre ridotte all’osso proprio per questo.
Nella produzione di serie, però, ci sono altre cose da considerare, soprattutto i costi – i materiali leggeri come alluminio, carbonio, magnesio e titanio costano molto – ma anche la standardizzazione dei componenti, il comfort e l’insonorizzazione. Per questo quando esce un’auto nuova che magari è più leggera della precedente solo di un’“ottantina” di kg le Case automobilistiche lo rimarcano e lo sottolineano. Per questo quando proviamo un’auto come la Suzuki Swift Sport rimaniamo estasiati da cotanta prodezza ingegneristica.
Contenere la massa della Swift Sport, un’auto di 3,84 metri sotto la tonnellata (975 kg), è un’impresa degna di nota che non ha eguali tra le concorrenti, il risultato di un lavoro certosino partito dal telaio e dalla scelta degli acciai alto-resistenziali e che è proseguito con la selezione di materiali leggeri per i rivestimenti interni e l’abbattimento del rumore. Certamente la piccola giapponese non potrà offrire lo stesso ambiente ovattato di una compatta premium, ma un’auto sportiva deve trasmettere sensazioni, quindi ben venga qualche vibrazione in più, soprattutto se il lato positivo della medaglia è un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 8,1 secondi con un 1.4 turbo da 140 CV e 230 Nm (un dato che peraltro sembra molto prudenziale). Ma i pregi di una bella dieta sono evidenti anche tra le curve, quando l’auto danza con poca inerzia nei trasferimenti di carico senza nemmeno stressare troppo i pneumatici o quando è ora di attaccarsi ai freni e non si ha la sensazione di dover fermare un elefante in corsa.
Gli ingegneri della Suzuki non hanno certo scoperto l’acqua calda, hanno semplicemente applicato una ricetta che non passa mai di moda. Facendo un salto indietro di una trentina d’anni e tornando all’epoca delle piccole sportive degli anni Ottanta, ci rendiamo conto che i numeri in gioco sono simili. Partendo dalla Fiat Uno Turbo con i 105 CV e i 147 Nm del suo 1,3 litri Turbo che dovevano spostare solo 845 kg, proseguendo con la Renault Supercinque GT Turbo – 1,4 litri Turbo da 115 CV e 165 Nm per 830 kg di peso – e finendo con la Peugeot 205 GTI – 1,6 litri aspirato da 105 CV e 137 Nm per 880 kg – si capisce perché quelle auto fossero in grado di trasmettere sensazioni forti anche con numeri tutto sommato modesti. Certamente gli assetti, le gomme e i freni dell’epoca non erano quelli di oggi, così come le finiture, e contribuivano ad aumentare la sensazione della velocità e l’adrenalina data dal rischio. Infatti, il bello della Swift Sport è proprio questo: riporta in auge lo spirito delle piccole “bombe” anni Ottanta, ma senza portarsi dietro tutti quei limiti che in alcune situazioni le rendevano anche pericolose.