La Germania, un tempo locomotiva d’Europa, rischia di trasformarsi in un vagone merci abbandonato su un binario morto. Anzi in un’auto da rottamare.
La famiglia Porsche-Piëch, azionista di controllo di Volkswagen, ha deciso che il colosso di Wolfsburg deve “dimagrire” per sopravvivere: chiusura di più stabilimenti, licenziamento di migliaia di lavoratori e taglio degli stipendi. Un terremoto sociale che non risparmia nemmeno la cassaforte di famiglia.
Il valore della quota Volkswagen potrebbe precipitare di 7-20 miliardi, e persino Porsche, il gioiello di lusso, subisce un colpo da 1-2 miliardi. Dietro questa mattanza, c’è un mercato in crisi nera, indebolito dalla corsa sfrenata alle auto a batteria, da una situazione geopolitica complicata, e un piano industriale Volkswagen che somiglia più ad una fitta nebbia autunnale che a una visione strategica.
I sindacati urlano al tradimento, il cancelliere tedesco dimissionario Olaf Scholz sventola il “no” come ultima bandiera, e il Land della Bassa Sassonia (che detiene il 20% dei diritti di voto in Volkswagen) si prepara alla battaglia. Ma la famiglia Porsche-Piëch, pare tirare dritto, probabilmente ha già deciso: meglio smantellare oggi per sopravvivere domani; parafrasando quanto riportato dal Financial Times mercoledì secondo cui la famiglia Porsche-Piech ha “chiarito che è necessario ridimensionare l’azienda per raggiungere una competitività a lungo termine”.
Resta da capire se, sotto il peso di questa sforbiciata, cadrà solo l’industria o l’intero modello tedesco.