Definire la Winter Marathon una semplice gara di regolarità è l’equivalente automobilistico di liquidare il Colosseo come un mucchio di pietre.
Lo spirito che anima questa manifestazione giunta alla sua venticinquesima edizione, la passione dipinta sui volti dei partecipanti, l’apparente assurdità dell’affrontare in pieno inverno 450 chilometri di strade e strapiombi dolomitici con vetture prodotte prima del 1968 rappresentano molto più della pura competizione.
Vivere questo evento è un’esperienza unica, una parentesi sospesa nel tempo, un’emozione complessa da descrivere e raccontare. Il ricordo dell’odore di olio bruciato, il suono di motori a carburatore che stentano in quota per la carenza d’ossigeno, le Dolomiti che troneggiano nella loro magnificenza scultorea, il fascino di vetture viste solo in fotografia, o in un museo, che invece sono proprio di fronte a te, gorgoglianti nel loro minimo irregolare, o rombanti in un traverso sulla strada innevata che si inerpica verso il Passo Pordoi. Carrozzerie splendenti sotto un insolito sole di gennaio, che sfoggiano marchi oramai dimenticati, pronte a darsi battaglia sul filo del centesimo di secondo.
Mattina. La quiete prima della tempesta
La mia avventura comincia la mattina di venerdì 25 gennaio, nel centro di Madonna di Campiglio. Le 160 iscritte arrivano al Savoia Palace Hotel per le verifiche tecniche, in pochi minuti la strada è gremita. I modelli presenti toglierebbero il fiato presi uno per volta, figurarsi tutti insieme. Tante, tantissime le Porsche, ben 39 in totale: 911 di ogni colore, qualche 912, 356 come se piovesse. Tra queste la numero 97 è una 356 A Speedster che arriva direttamente da Porsche Italia, guidata dal Direttore Generale Pietro Innocenti e navigata dal capo delle PR Mauro Gentile. Sono qui per partecipare e divertirsi, ma anche per testimoniare la vicinanza di Porsche agli appassionati in un momento non facile per l’automobile. Un altro modo di dire che – come recita lo slogan della campagna ideata in collaborazione con Oliviero Toscani e Oscar Giannino – “il tuo sogno è possibile”. La folta partecipazione della casa di Zuffenhausen in realtà non stupisce, bisogna ricordare che oltre il 60% della produzione totale della Cavallina è ancora in circolazione.
La più vecchia delle partecipanti è una Bentley 3 Litre del 1925, la più sconosciuta – almeno per me – una Alvis del 1952. Passeggio con il sorriso di un bambino e noto che il navigatore di una Fiat 1100 ha un iPad al posto del solito leggio su cui si mette il road book. C’è chi ha modificato l’illuminazione interna riempiendo l’abitacolo di LED per leggere meglio le note, chi ha montato i fari allo Xeno a una Fiat 1500 Cabriolet, c’è il Museo Storico Alfa Romeo di Arese con una splendida Giulietta TI del 1962, ma i particolari più assurdi ed eroici li regalano i piloti e navigatori delle vetture scoperte. La sola idea di passare 13 ore a bordo di una cabrio, senza riscaldamento, a – 15 °C e con il rischio di una bufera di neve in quota farebbe scappare di corsa una persona di buonsenso. E invece intorno a me c’è una fiera di facce sorridenti. Avvicino il navigatore di una Porsche 356 Speedster e gli chiedo: “Ma chi ve lo fa fare di prendere tutto quel freddo?”. Lui sorride – è un tipo sulla sessantina, sembra un professionista, un signore distinto – e mi fa: “Forse non hai capito, questa qui è la roba più divertente del mondo”. Mi guardo intorno, comincio a credergli.
I partecipanti riescono a lasciarti senza parole più ancora delle vetture. C’è una coppia di ragazze intorno alla trentina a bordo di una Jaguar S-Type del 1966, una decina di equipaggi stranieri venuti fin qui per l’occasione, una Lancia Aprilia del 1939 che partecipa con a bordo padre e figlia, lei avrà poco più di vent’anni, l’anno scorso hanno vinto loro. Gente normale, insomma, non per forza maniaci delle auto d’epoca, né ricconi che si divertono a far divorare dal sale e dalla ghiaia le carrozzerie di pezzi pregiati. L’iscrizione costa € 1.500 ma include l’ospitalità per 4 giorni (pranzi, cene, pernottamenti) e la parte sportiva: non è roba per tutti, ma per molti sì. E infatti al via non ci sono solo Jaguar E-Type o Lancia Flaminia Sport Zagato. Ci sono anche automobili ben più normali e nazional-popolari, come le Fiat 850, una Volvo PV544, le Fiat 1100, tante Mini, sia Morris che Innocenti, roba da € 4.000 o poco più. Insomma, qui più dei soldi, a contare è la passione.
Pomeriggio. Si dia il via alle danze
I concorrenti cominciano a partire alle 14 da un piazzale, uno ogni 30 secondi, io li seguo a bordo di una nuova Porsche Boxster S. Per solidarietà con gli equipaggi delle vetture scoperte tiro giù la capote in tela e metto il riscaldamento al massimo. Fuori siamo poco sopra lo zero, ma con il frangivento e una sciarpa si sta bene. Ci aspettano 446,8 km di strade montane ad una media di circa 41 km/h. Sembra una velocità ridotta ma, vi garantisco, non lo è. Tredici ore di guida consecutive, salvo imprevisti, con soste solo per far benzina ed espletare i bisogni fisiologici (al volo, per strada, di fretta, contro un muro, tutti insieme – scoprirò lungo il percorso) mi paiono un’impresa titanica a bordo di una vettura moderna, performante e con gomme invernali, non oso immaginare cosa debba pensare il navigatore di una Fiat 508 S del 1932. Provo a immaginarlo un attimo, cosa pensa quello là nella Balilla, poi ci rinuncio: è vestito come il barone rosso, con indosso occhiali da aviatore della prima guerra mondiale. O è matto, o è un genio. O entrambi. In ogni caso, è uno che sa come divertirsi.
I primi chilometri scorrono tranquilli, il cielo è terso, il sole scalda quanto basta e le Dolomiti si mostrano in tutta la loro meraviglia. La strada che da Madonna di Campiglio va verso Campo Carlo Magno e il Passo delle Palade è un meraviglioso susseguirsi di curve dall’ampiezza variabile. Si sale e si scende, si corre e si rallenta, mi diverto a rincorrere prima una Triumph TR2, poi un’assurdamente rara Jensen 541 R. Una Mini Cooper con la ruota di scorta sul tetto pare pronta per la Dakar, una Porsche 356 giallo intenso mi apre la strada tra piccoli borghi che sembrano finti, messi lì dalla Pro loco, mentre il paesaggio degrada verso la conca di Bolzano. L’attraversamento della città altoatesina alle cinque di un venerdì pomeriggio da parte di 160 vetture d’epoca è paragonabile a uno sbarco alieno. La fila dei concorrenti si fa spazio nel traffico, di fretta per non perdere il rigido ritmo che una gara di questo tipo impone, mentre i passanti guardano stupiti questa carovana d’altri tempi. I più belli sono i bambini, che salutano sorridenti e vengono salutati dai partecipanti.
Le auto attraversano la pianura e il sole cala in un tramonto venato di rosso, io cerco di fermare il momento in un’immagine mentre seguo una Austin Healey 100 BN1. Mi godo le sue doppiette in scalata che dialogano col rombo del mio 6 cilindri contrapposti da 3,5 litri e 315 CV, sento l’aria che si fa sempre più pungente man mano che la luce svanisce e mi chiedo se nella vita ci sia molto di meglio rispetto a due sportive che danzano tra le vigne di Lagrein e Santa Maddalena in un tramonto invernale. A voi la risposta.
Domani la seconda parte del viaggio, cominciano il buio, la neve ed il ghiaccio!
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