Donald Trump ha messo la retromarcia. Ma come al solito, lo fa col clacson spianato e il paraurti carico di missili. Dopo aver minacciato dazi come fossero fuochi d’artificio del 4 luglio, ora concede una “pausa di riflessione” di 90 giorni. Ma solo a chi si inginocchia sul tappeto rosso della trattativa. Un’orgia di ambiguità diplomatica, con 75 Paesi (forse) graziati. Tranne la Cina, che Trump tratta ormai come un vicino di casa molesto: dazi al 125%, effetto immediato, e che Dio benedica il protezionismo.
Sui social, il Tycoon predica la pace mentre carica la pistola. “Non ci deruberete più”, scrive su *Truth*, il suo personale campanile digitale da cui lancia anatemi tra un golf e l’altro.
L’Europa? Tentenna, approva controdazi, ma intanto si siede al tavolo. Perché con Trump è così: o balli, o ti ritrovi a vendere il parmigiano con l’Iva a stelle e strisce.
Wall Street esulta. Ma forse ride perché ha capito il trucco: Trump prima crea il problema, poi annuncia la soluzione. E si prende l’applauso. Teatro dell’assurdo. Biglietto d’ingresso? Gratis. Ma il conto, come sempre, lo pagano i consumatori.
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