Il futuro dell’auto non è mai stato così travagliato come negli ultimi anni; elettrico, ibrido, biocarburanti, idrogeno. Qual è la direzione giusta da prendere? Servirebbe la sfera di cristallo per dare una risposta a questa domanda, tra un Elon Musk che promuove l’energia solare come soluzione di tutti i mali e dall’altra un John Elkann che apre al ritorno del nucleare su larga scala.
Poi, più in basso, troviamo da una parte i sostenitori del motore a combustione che prefigurano un futuro in cui elettroni e carburante conviveranno senza cannibalizzarsi. D’altra parte i puristi dell’elettrico sostengono senza mezzi termini le vetture elettriche, quelle che non inquinano ma se vai a vedere bene in tutto il loro ciclo di vita inquinano eccome. Entrambe le fazioni escludono i vantaggi di una e amplificano gli svantaggi dell’altra.
Toyota potrebbe aver escogitato una terza via: idrogeno a combustione. Forbes ha riportato l’indiscrezione aggiungendo che la tecnologia sarà implementata sulla nuova generazione di Prius, che dovrebbe arrivare alla fine del 2022, mentre il modello a idrogeno arriverebbe non prima del 2023. Il powertrain sarebbe costituito da una “sinergia ibrida tra motori elettrici e un termico a idrogeno“.
La commercializzazione potrebbe non essere così dietro l’angolo, tuttavia la casa delle Tre ellissi ha già mostrato un prototipo che ha gareggiato alla endurance da 24h del campionato Super Taikyu. In quel caso la vettura era la Corolla di ultima generazione con il 1,6 litri della GR Yaris, appositamente modificato per funzionare a idrogeno. Durante la gara la Corolla laboratorio si è dovuta fermare ai box alcune volte, ma è riuscita ad arrivare a fine gara senza problemi.
A dirla tutta Toyota potrebbe non essere l’unico produttore a lavorare su questa soluzione. Questa estate è emersa una indiscrezione che lasciava intendere come Mazda sarebbe in procinto di resuscitare il Wankel proprio alimentandolo a idrogeno.
La notizia apre una prospettiva decisamente interessante tuttavia anch’essa non priva di complicazioni. L’idrogeno è l’elemento più diffuso dell’universo, bruciarlo in un motore o impiegarlo per produrre energia elettrica non dovrebbe in linea teorica preoccupare. Tuttavia nell’atmosfera terrestre l’idrogeno e praticamente inesistente, come sulla superficie e nel sottosuolo. Giove e Saturno sono composti da circa l’80% di idrogeno, il sole dal 90%, ma andarlo a prendere lì non sembra particolarmente fattibile né oggi né mai. l’idrogeno viene dunque prodotto.
L’idrogeno “nero” viene estratto dall’acqua usando la corrente prodotta da una centrale elettrica a carbone o a petrolio, perciò il problema delle emissioni viene solo delocalizzato. Leggermente più sostenibile è il “grigio”, ad oggi più del 90% dell’idrogeno prodotto è uno scarto industriale oppure è estratto dal metano. Il passo successivo è l’idrogeno “blu”, l’estrazione è similare a quella del “grigio”, ma l’anidrite carbonica viene catturata senza essere rilasciata in atmosfera.
L’idrogeno “viola” impiega come fonte di energia primaria una centrale nucleare, prima di emissioni di C02, ma evidentemente non a impatto zero. L’idrogeno più verde è proprio quello chiamato “verde”, è prodotto a partire dall’acqua usando l’energia derivante da fonti rinnovabili, dall’eolico al solare all’idroelettrico. Dunque la vera sfida dell’idrogeno, che compone per più del 70% la materia che conosciamo, non è impiegarlo e distribuirlo, ma produrlo a impatto zero e a costi sostenibili.
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