Nei box del Mugello abbiamo incontrato nuovamente l’ingegnere giapponese Ken Kawauchi, ovvero colui che ormai da diverse stagioni coordina l’attività tecnica del Team Ecstar Suzuki, facendo da ‘ponte’ tra ciò che accade in pista durante la stagione e la Casa madre, che in Giappone prosegue lo sviluppo della GSX-RR. A lui abbiamo rivolto alcune domande, anche se come normalmente succede coi responsabili di questo livello, ‘scucirgli’ informazioni al di fuori dello standard è stato piuttosto difficile. La prima domanda che gli abbiamo rivolto, tenuto conto anche di una recente dichiarazione che i media hanno attribuito a Valentino Rossi e che riportava qualche dubbio del campione di Tavullia sulla validità della soluzione tecnica del quattro cilindri in linea piuttosto di quella del V4, leggi Honda e Ducati, che nel 2018 non ha per ora lasciato una sola vittoria agli avversari, anzi, ad oggi sono 22 i GP consecutivi vinti da un motore V4. “Rispetto all’altro team che utilizza il motore quattro cilindri in linea (Yamaha – ndr) Suzuki ha potuto sperimentare entrambe le soluzioni in MotoGP, poiché è stato proprio con un V4 che siamo rientrati nel mondiale. Dunque siamo in grado di comprendere i vantaggi e gli svantaggi di entrambe le soluzioni”.
La Suzuki lanciò infatti il progetto MotoGP nel 2001, dopo aver vinto il titolo mondiale nel 2000 con Kenny Roberts jr in sella alla RGV 500, spinta da un V4 due tempi con oltre 200 CV di potenza. Logico che l’esperienza accumulata a livello di ciclistica con questo layout di motore sia stata tenuta in considerazione per lanciare il progetto della nuova MotoGP, la GSV-R. Solo nel 2007, con l’avvento dei motori 800 cc la Suzuki riuscì a ottenere qualche risultato interessante, con John Hopkins 4° nel mondiale, con sei podi e perfino una vittoria per merito di Chris Vermeulen (6° nella classifica finale davanti a Capirossi e Hayden, rispettivamente con la Ducati e la Honda ufficiali). Seguirono anni di oblio, con l’abbandono della scena a fine 2011 e il ritorno del 2015 con una moto completamente diversa, la GSX-RR dotata di un quattro cilindri in linea, come la Yamaha, che proprio quell’anno piazzava Lorenzo e Rossi ai primi due posti del mondiale. “In questo momento siamo soddisfatti del bilanciamento della moto e dunque manterremo anche per il futuro questo tipo di layout, anche perché è lo stesso della nostra GSX-R stradale, che anzi condivide alcuni aspetti tecnici con la GSX-RR. Rispetto al motore di serie, sul nostro V4 abbiamo la sequenza degli scoppi irregolari, tipo big-bang, che per ora non riteniamo debba essere esteso al motore di serie, che continua con l’ordine di scoppio tradizionale”.
Comune alle due moto anche il sistema di fasatura variabile meccanico, un’esclusiva Suzuki: “Si tratta di una tecnologia nata per la MotoGP che abbiamo travasato, insieme ad altre soluzioni, sul motore di serie. Esclusivo per la MotoGP è invece il ritorno pneumatico delle valvole, un sistema sviluppato interamente da Suzuki utilizzando alcuni componenti provenienti da specialisti esterni. Si tratta di un progetto riservato sul quale vi chiedo di non farmi domande troppo tecniche a cui non posso rispondere…”. Riguardo la ciclistica questa aveva subito una profonda rivisitazione nel 2016, quando da metà stagione arrivò un telaio nuovo che piacque subito a Maverick Viñales, che chiedeva maggiore grip al posteriore. Un telaio rimasto pressochè invariato nel 2017 e che prosegue con le stesse misure anche quest’anno: “Il telaio ha seguito con poche variazioni l’evoluzione del motore, il cui carattere è cambiato in funzione degli sviluppi sull’elettronica. Per questo sono state fatte alcune modifiche, ma in generale le dimensioni e i punti di fissaggio sono rimasti tali e quali”. Col motore in linea, dotato di maggior compattezza generale, è più facile andare a cercare, sfruttando le regolazioni consentite, il miglior posizionamento del baricentro, in funzione dello stile di guida del pilota e del tracciato. E’ per questo motivo che la Yamaha è da una quindicina d’anni considerata la moto più facile da guidare e la Suzuki, seguendo la stessa filosofia costruttiva lo è altrettanto. Questo è un vantaggio. Ma quali possono essere gli svantaggi che stanno facendo cambiare idea ai più accaniti sostenitori del quattro in linea: innanzitutto la larghezza del motore, che non è possibile ridurre più di tanto. L’albero motore è inevitabilmente più lungo rispetto a un V4 e questo rende più difficile far cambiare l’assetto alla moto, anche se questo fenomeno può essere parzialmente ridotto concentrando le masse volaniche al centro dell’albero, ovvero sulla mezzeria della moto, per rendere più neutra la loro influenza sulle variazioni d’assetto. E a proposito di masse volaniche, pare che il V4, forte della sua compattezza laterale, consenta di montare dei volani esterni di massa variabile, per adattare la risposta del motore ai vari circuiti. Un albero leggero consente al motore di salire di giri molto rapidamente, causando però problemi di trazione dovuti a precoce pattinamento della ruota posteriore, con peggioramento dell’accelerazione in uscita dalle curve. Al contrario un albero più pesante assicura una migliore trazione, poiché tende ad appiattire gli impulsi degli scoppi, ma quando i regimi salgono oltre i 15.000 giri la sua inerzia polare si oppone ai cambi d’assetto, rendendo la moto meno facile da far curvare, o in generale, a cambiare il suo assetto. Dunque, dal punto di vista motoristico, questo è senza dubbio un fattore fondamentale sulle quali le Case svolgono una massiccia dose di prove.
Si riparte dal 2019In occasione del GP d’Italia al Mugello abbiamo anche scambiato quattro chiacchiere con Dvide Brivio, l’uomo di grande esperienza nella MotoGP che ha contribuito a riportare in pista la Suzuki nel 2015 coi piloti Maverick Viñales e Aleix Espargarò. Brivio ha dimostrato anche ottime doti di talent scout, avendo portato alla ribalta il talento di Viñales, che nel 2016 ha riportato alla vittoria nei GP la Suzuki, dopo un digiuno che durava dal 2007, anno in cui ottenne la già citata vittoria in un rocambolesco GP di Francia a Le Mans. Ed è proprio di Viñales che iniziamo a parlare: “Maverick ha dimostrato il suo talento con noi e l’aver trovato un posto alla Yamaha lo ha dimostrato. Nel 2017 abbiamo dovuto ripartire da zero, a livello di piloti e come sempre accade il primo anno richiede un po’ di affiatamento col team e con le moto”. Nei box del Mugello quest’anno circolavano tante voci sul mercato piloti: Lorenzo ormai fuori dalla Ducati, Pedrosa che si ritira, addirittura Marquez alla ricerca di nuovi stimoli alla KTM: “Credo che sia dannoso per i piloti, le squadre e anche per gli appassionati che certe voci circolino con un così grande anticipo rispetto alla conclusione del campionato. Siamo d’accordo che tutti gli attori sono dei professionisti e che i contratti devono essere rispettati fino all’ultimo giorno, tuttavia non nego che in qualche modo possano condizionare i futuri rapporti interni”. Che Iannone fosse in procinto di lasciare la Suzuki era nell’aria, ma ovviamente, senza una dichiarazione ufficiale Brivio non si è sbilanciato. Tuttavia non ha negato l’avvicinamento a Joan Mir, uno dei top rider della Moto2 e che pochi giorni dopo il GP del Mugello ha ufficializzato il passaggio al Team Ecstar Suzuki. Iannone, che peraltro aveva avuto parole non proprio gentili nei confronti della moto giapponese, alla fine è passato all’Aprilia e dunque per il 2019 il Team Ecstar Suzuki si è ritrovato a partire da due piloti giovani, Rins un po’ più esperto e Mir invece un rookies. Entrambi, come Viñales, provenienti dalla Moto2 e quindi in perfetta sintonia con lo stile che Brivio ha voluto dare alla Suzuki: prendere le eccellenze della serie minore e dare loro l’opportunità di var vedere il loro talento in MotoGP: “Con Maverick ci siamo riusciti, e l’anno insieme a lui è stato entusiasmante. Rins sta crescendo bene, il podio ottenuto in Argentina dimostra che ha grandi potenzialità e è entrato a pieno titolo nella squadra”. Per Mir dobbiamo aspettare il prossimo anno.
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