La presentazione della nuova Suzuki Katana, ha fatto tornare in mente la sua antenata, presentata quasi quarant’anni fa al Salone di Colonia. Una moto il cui design fece discutere, al pari della sua erede, anche se ormai il design è divenuto parte integrante dello sviluppo di ogni nuova motocicletta. In passato era diverso e chi azzardava nuove proposte, specie a livello stilistico, sapeva di correre il rischio di essere aspramente criticato. Non che le moto di allora non avessero stile. Anzi. Gli esempi di classici intramontabile che uniscono le scultoree strutture del motore con l’eleganza di parafanghi, sella, serbatoio e dei pochi altri elementi caratteristici continuano ad alimentare le discussioni tra gli appassionati. Norton Manx o Vincent Black Shadow? Gilera Saturno e Guzzi Falcone? BMW R69S o Munch Mammut? Honda CB 750 o Kawasaki Z1 900? Potremmo proseguire ancora, e dimenticheremo senza dubbio qualcuno. Detto questo, resta il fatto che fino agli anni ’70 il design, inteso come rigorosa disciplina architettonica che sperimenta strade inesplorate e le applica alle motociclette, se escludiamo qualche caso isolato, quasi non esisteva, specialmente sulle moto costruite in grande serie. C’era però un mondo parallelo, ovvero quello dei piccoli costruttori di parti speciali: cupolini, mezze carenature, carenature complete cambiavano profondamente l’aspetto delle moto dell’epoca che, tranne la BMW R100RS, ne erano sostanzialmente prive.
Come abbiamo accennato, qualche tentativo c’era stato. In Italia, ad esempio, la Italdesign aveva collaborato con la Ducati per tracciare la linea della 860 GT e con la MV Agusta per disegnare la 350 Ipotesi; Oltreoceano Craig Vetter aveva proposto un vestito nuovo per le tre cilindri Triumph Trident e BSA Rocket III, che peraltro anche nella versione di serie erano state ispirate da uno studio di design inglese. E il nome della Italdesign arrivò anche in Giappone, probabilmente per intercessione della SAIAD, l’importatore italiano della Suzuki, per una proposta stilistica sulla RE5, spinta dal motore Wankel.
E tra le Case giapponesi la Suzuki fu la prima a capire come il tocco del designer poteva dare nuova vita a una moto senza gli ingenti investimenti necessari per rivoluzionarne la parte meccanica. Per questo, in collaborazione con Manfred Becker, responsabile marketing dell’importatore Suzuki tedesco, fu affidato l’incarico di sviluppare un prototipo di moto sportiva adatta al mercato occidentale allo studio Target Design da poco fondato da Hans Muth insieme a due soci, Hans-Georg Kasten e Jan Fellstrom. Muth si era già occupato della vestizione della BMW R100RS e quindi dell’estetica delle R45 ed R65, compresa la R65LS che montava un caratteristico cupolino di forma piuttosto avanzata per i tempi. Fellstrom aveva lavorato prima alla Porsche e poi alla BMW, così come Kasten.
Inizialmente fu scelta la quattro cilindri GS650G con trasmissione finale ad albero e successivamente si passò alla realizzazione di un prototipo modellato attorno alla meccanica al top in quel momento, ovvero quella della Suzuki GSX1100. Il mandato dava ampia liberta d’azione ai designer, come ricorda Kasten in un’intervista alla rivista Motorcycling: “Capimmo subito che avevamo la possibilità di operare come non avremmo mai potuto fare alla BMW, ovvero realizzare la moto sportiva dei nostri sogni. Ma nella modellazione non trascurammo gli aspetti funzionali. Ad esempio la zona delle ginocchia doveva essere snella, ma il serbatoio doveva avere adeguata capacità. E da qui venne fuori quella forma particolare. E poi la moto doveva essere stabile in velocità, per cui fissammo il fanale al telaio e aggiungemmo quella carenatura alla testa della forcella”.
Alla fine il prototipo siglato ED-2, European Design 2 (il primo progetto attorno alla 650 era identificato ED-1) fu spedito in Giappone, dove ricevette subito il benestare per l’allestimento di una show bike da presentare al pubblico, ai giornalisti e alla rete di vendita per raccogliere il loro parere. I giudizi furono così positivi che dopo un solo anno dall’avvio del progetto si passò ala produzione in serie. Va precisato che Hans Muth, la cui fama di designer fu un eccellente biglietto da visita per la Target-Design, è sempre stata la figura associata al design della Katana, ma che al progetto lavorarono in modo più diretto Fellstrom, che firmò tutti i bozzetti, e Kasten che trascorse col socio un periodo in Giappone per seguire l’industrializzazione della nuova moto, che alla fine fu davvero vicina alle linee del prototipo.
Etsuo Yokouchi, responsabile dello stile alla Suzuki Motor Co, fu incaricato di seguire il progetto in Giappone seguendo le linee guida della Target-Design. La presentazione interna della GSX1100 Katana avvenne nel luglio del 1980 mentre il pubblico dovette aspettare l’autunno seguente per ammirare i due prototipi ED-1 ed ED-2 al Salone di Colonia.
La produzione della Katana inizia nel 1981, sia nella versione di 1100 sia in quella di 650 cc che però non sarà importata in Italia, dove invece arriverà la GS550 EM Katana. A fine 1981 esce la GSX1000S Katana, col motore ridotto a 1000 cc riducendo l’alesaggio da 72 a 69,4 mm (con la corsa invariata a 66 mm) per essere omologata nei vari campionati per le derivate dalla serie tra cui quello AMA Superbike, assai popolare negli USA ma che però all’epoca prediligeva il manubrio stradale piuttosto che i semimanubri propri della Katana.
La 1000 aveva alcune modifiche orientate all’impiego sportivo e per questo fu prodotta in un numero limitato di esemplari che oggi, sul mercato del collezionismo d’Oltreoceano, mercato a cui era destinata, ha valutazioni decisamente interessanti. Tornando alla versione più nota in Europa, tra le caratteristiche salienti della 1100 Katana ricordiamo le ruote da 19” all’anteriore (3.50-19) e da 17” al posteriore (4.50-17) una deviazione quest’ultima dal classico cerchio da 18” utilizzato sulla 1100. Il motore è un robusto quattro cilindri bialbero 16 valvole raffreddato ad aria che eroga 111 CV a 9.500 giri/min con una coppia di 97 Nm a 6.500 giri. Rispetto alla versione standard le quote del telaio variano nell’inclinazione del cannotto e di conseguenza nell’avancorsa per rendere più stabile un mezzo destinato ad alte velocità di crociera: la velocità massima è infatti di circa 230 orari, con una coppia motrice che consente medie elevatissime senza troppi stress meccanici.
A conti fatti, però, la Katana 1100 commercialmente non funzionò: evidentemente la sua estetica, forse un po’ troppo fuori dagli schemi dell’epoca, non ebbe il previsto impatto positivo sul pubblico, poiché in fatto di prestazioni non temeva rivali, anche aveva nel peso uno dei suoi limiti ed era piuttosto impegnativa da guidare sul misto o sui tornanti delle strade di montagna. Nel 1982 la Suzuki presenta la quasi gemella versione col motore GSX750. La GSX750S Katana (protagonista del nostro servizio) è quasi irriconoscibile dalla sorella maggiore, anche se si differenzia in numerosi dettagli: la ruota posteriore è da 18” e monta pneumatico 4.00-18, mentre l’anteriore monta un 3.25-19, due varianti che influenzano positivamente la manovrabilità della moto.
Le dimensioni più contenute del motore fanno pure risparmiare qualche chilo e la minor potenza, che è comunque di 82 CV, rendono il mezzo sostanzialmente più equilibrato e adatto a un’utenza più ampia. Il motore, rispetto alla versione standard, subisce interventi alla distribuzione, all’accensione, all’aspirazione (coi 4 carburatori Mikuni che passano da 32 a 34 mm) e allo scarico. Dal punto di vista estetico le differenze con la 1100 sono la colorazione del parafango anteriore, tutto grigio anziché bicolore, la copertura della sella e il colore del codino.
La Suzuki Katana rappresenta la transizione tra le maximoto degli anni ’70 e quelle del decennio successivo, che si evolveranno nel motore, soprattutto col raffreddamento a liquido, e nella ciclistica, con l’avvento della sospensione progressiva con un solo ammortizzatore. Fu proprio la Suzuki a guidare questa svolta: nel 1985 presentò infatti la GSX-R 750 e quindi la 1100, che erano tecnicamente molto più moderne della Katana, nonostante fossero separate da pochi anni.
Il motociclismo è passione e questo spiega forse perché la Katana fu un flop commerciale mentre la GSX-R un successo mondiale: una era una moto ‘normale’ con un bel vestito, per quanto il bello sia spesso un attributo soggettivo, l’altra portava per la prima volta in strada una vera moto da corsa, indicando la strada a tutti gli altri Costruttori. Tuttavia la Katana si è guadagnata un posto di rilievo tra i collezionisti ed è destinata a incrementare il suo valore. E’ una moto relativamente rara e offre l’opportunità di circolare con una ‘classica’ anche nel traffico odierno.
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