Se, fin dagli esordi, Alfa Romeo si è contraddistinta per il design delle sue vetture, è tra gli anni ‘60 e ‘70, prendendo in prestito una società in profondo cambiamento, che nascono capolavori come la Montreal, la Carabo e, soprattutto, la 33 Stradale.
Queste tre vetture, al centro del settimo appuntamento con Storie Alfa Romeo, stravolgono ulteriormente questo concetto: proprio alla fine degli anni ‘60, con l’evolversi della produzione industriale, si assiste alla divisione tra la tendenza a semplificare le forme e la volontà di creare qualcosa di estremamente diverso. Nate sulla stessa base tecnica, è così che vedono la luce la 33 Stradale e la Carabo.
A vederle così, non possono sembrare più diverse una dall’altra. Una, la 33 Stradale, è tutta nervi e muscoli, come un’auto da corsa, l’altra, la Carabo, con la sua forma a cuneo nata dalla matita di Gandini, sembra volersi proiettare nel futuro. Un tratto è in comune, il DNA corsaiolo che da sempre contraddistingue il Marchio del biscione.
Nel 1964 il Presidente Luraghi sente che è il momento di un ritorno ufficiale. Per ricostituire la Squadra Corse acquisisce l’Autodelta, un’azienda di Udine che è già partner privilegiato per la produzione delle TZ. Con Autodelta rientra in Alfa Romeo anche Carlo Chiti, che già ha lavorato al Portello dal 1952 al 1957 e prende ora il ruolo di responsabile della scuderia ufficiale. Nello stesso anno, parte il progetto 33. Luraghi chiede al suo team una vettura in grado di competere nelle “categorie del momento” per successo di pubblico e attenzione mediatica: il mondiale sport prototipi e le cronoscalate.
Nel frattempo Autodelta si trasferisce a Settimo Milanese, il luogo ideale, a metà tra Arese e la pista di prova di Balocco, nel vercellese. Il primo telaio Tipo 33 progettato da Alfa Romeo entra nelle officine Autodelta nel 1965. È una struttura tubolare a “H”, asimmetrica, realizzata in lega di alluminio, che integra al suo interno i serbatoi del carburante. Nella parte frontale, una struttura in magnesio sostiene in modo ottimale sospensioni anteriori, radiatori, sterzo e pedaliera. Il gruppo motore/cambio è montato longitudinalmente in posizione posteriore centrale. La carrozzeria è in fibra di vetro, e questo consente di limitare la massa totale della vettura ai 600 chili che il regolamento prevede come minimo. Ancora una volta, la leggerezza è l’arma segreta di Alfa Romeo.
Un progetto così ambizioso (e innovativo) ha tempi di sviluppo non brevissimi. Prima che la 33 sia pronta per le gare passano quasi due anni. Per le prime prove la vettura adotta il 4 cilindri da 1.570 cm³ della TZ2; nel frattempo viene sviluppato un propulsore interamente nuovo, con il quale si passa a una configurazione 8 cilindri a “V”, con due litri di cilindrata e 230 cavalli di potenza al debutto.
La prima 33 a correre viene subito soprannominata “Periscopica” per la presa d’aria che spunta sopra il roll-bar. Per l’esordio viene scelta la cronoscalata di Fléron, vicino a Liegi; a guidare l’auto è il capo-collaudatore dell’Autodelta, Teodoro Zeccoli. Dopo anni di preparazione meticolosa, il 12 marzo 1967 la 33 entra nel mondo delle competizioni. E vince subito. È la prima di una lunga serie di successi sui circuiti più prestigiosi. Una cavalcata che porterà la 33 sul tetto del mondo, con le vittorie iridate nel Campionato Marche del 1975 e del 1977.
Il designer Franco Scaglione, di scuola Pinin Farina poi Bertone, parallelamente, cura lo sviluppo di una piccolissima serie di 33 Stradale per clienti privati. Scaglione mette nel progetto della 33 Stradale tutta la sua perizia tecnica e audacia creativa, creando un capolavoro in cui l’innovazione di stile si fonde con la ricerca dell’aerodinamica e della funzionalità. Nasce così un’icona senza tempo, dove per la prima volta le porte sono “a elitra”, al fine di agevolare l’ingresso in una vettura alta meno di un metro, il passo aumenta di 10 centimetri e il telaio viene prodotto in lega di acciaio, rispetto all’alluminio usato per le corse. Su un auto così leggera, 230 cavalli consentono di raggiungere la velocità massima di 260 km/h, e 100 km/h da fermo in 5 secondi e mezzo.
La vettura viene presentata ufficialmente al Salone di Torino del 1967, ma svelata qualche settimana prima a un pubblico appassionato e competente. È il 10 settembre 1967, e a Monza si disputa il Gran Premio d’Italia, nona prova del mondiale di Formula 1. Un GP passato alla storia per un’epica rimonta di Jim Clark su Jack Brabham – e per l’anteprima di una delle più belle auto sportive di sempre. Quando nasce, la 33 Stradale è la sportiva più costosa sul mercato, venduta a quasi 10 milioni di lire del tempo contro i 6/7 delle rivali più prestigiose. Gli esemplari realizzati con carrozzeria Scaglione sono solo 12. Chi li compra fa l’investimento della vita: oggi sono praticamente senza prezzo.
Se torniamo indietro agli anni ‘50, già era emersa la volontà di Alfa Romeo di creare l’”auto del futuro”, con la Touring Disco Volante, una spider frutto di avanzati studi aerodinamici, con parafanghi bombati lateralmente e raccordati al corpo vettura basso e filante. Nel 1968 arriva la Carabo, estremizzazione di questi concetti. Via le linee tondeggianti della gemella diversa 33 Stradale e tutto diventa “tagliente”, dal profilo a cuneo alle porte con apertura “a forbice”. Il nome Carabo prende ispirazione dal “Carabus auratus”, un coleottero dai colori metallici e brillanti, gli stessi che vengono proposti sulla vettura: verde luminescente con dettagli arancione.
Da questo momento, Alfa Romeo inizia a rivolgere un’attenzione particolare ai colori estrosi e alle tecniche di verniciatura speciali, elementi in grado di evidenziare ancora di più l’unicità del Marchio. Una ricerca cromatica che continuerà con la Montreal.
Con l’arrivo del colore “Verde Montreal” sulle nuove Giulia e Stelvio Quadrifoglio Model Year 2020, la Montreal è tornata argomento di discussione tra gli appassionati. La Montreal nasce nel 1967 quando Alfa Romeo porta nell’omonima città canadese un modello che rappresenti “la massima aspirazione dell’uomo in fatto di automobili”. Satta Puliga e Busso chiedono la collaborazione di Bertone, e Gandini viene incaricato di disegnare la carrozzeria e gli interni. Il risultato è un grande successo.
I visitatori nordamericani apprezzano moltissimo l’eleganza e i contenuti della vettura. Sull’onda del consenso di pubblico, viene sviluppata una versione di serie, presentata al Salone di Ginevra nel 1970, e ripropone colori sgargianti come l’argento, l’arancio e l’oro, alcuni dei quali sono tornati a popolare la paletta colori nel listino Alfa Romeo: Rosso Villa d’Este, Ocra GT Junior e, per l’appunto, Verde Montreal.
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