Nelle due precedenti parti di questo viaggio alla scoperta della peculiare attività del car designer belga Paul Breuer, abbiamo raccontato della sua prima esperienza presso la torinese OSI (Officine Stampaggi Industriali) iniziata nel 1966, alla quale seguì quella all’interno del Centro Stile Fiat che invece ebbe inizio 1968 e che lo portò, tra le tante cose, a disegnare una delle auto più apprezzate del marchio, la Fiat 128 Sport.
Nel 1972 Paul Breuer decise di lasciare il Centro Stile Fiat per entrare in quello della Ford Europe che la Casa americana aveva a Bruino (un piccolo paese nelle vicinanze di Torino), alla ricerca di nuove possibilità, spazi di espressione e miglior posizionamento (anche economico). Il posto, resosi vacante dal licenziamento del collega Paolo Vian che comprensibilmente gli preferì il ruolo di direttore dello stile alla Momo, portò Breuer a fissare immediatamente un’appuntamento con Filippo Sapino, famoso designer e direttore del Centro Stile Ford Europa che sfociò nell’assunzione con quasi il doppio dello stipendio Fiat.
L’allontanamento di Breuer dal Centro Stile Fiat, nel quale si era sempre ben distinto non avvenne in modo indolore, anzi il suo capo l’ingegnere Sergio Sartorelli espresse un profondo disappunto per la decisione e il direttore del Centro, Giampaolo Boano cercò di trattenerlo avanzando controproposte che però non si avvicinavano a quanto offerto dalla Ford; è bene sottolineare che il nostro stilista cercava non solo una maggiore gratificazione ma la possibilità di poter davvero vedere realizzate le proprie idee.
La fine del contratto di lavoro con Fiat è datata 14 novembre 1972, iniziando quello stipulato con il Centro Stile Ford Europa di Bruino già il 16 dello stesso mese; l’azienda statunitense decise di aprire questa nuova realtà per metterla in competizione con quelle che possedeva a Colonia (Germania) e Dutton (Inghilterra), aspettandosi da quello italiano una sostenuta produzione di idee particolarmente innovative.
Nuova realtà significò anche nuovi colleghi, come Filippo Sapino in qualità di suo direttore ed ex grande designer in Pininfarina ed Ercole Spada, designer ex Zagato dall’immenso talento. Tra questi anche Bruno Giardino con un passato da designer in Pininfarina. Da citare anche Beppe Maggiora (ex Bertone) responsabile dell’ufficio tecnico.
L’ambiente che trovò in Ford era estremamente diverso da quello lasciato in Fiat: spazi ampi e luminosi, grandi tavoli da disegno reclinabili per eseguire progetti in scala reale e per gli stilisti altrettanti funzionali tavoli con cassettiere munite di tutto il necessario, come pennarelli, pastelli, matite colorate e curvilinee. Adesso si poteva nuovamente tornare a colorare e curare i disegni delle proprie idee. Inoltre una parte del grande spazio era occupato da una superficie per eseguire i modelli in epowood (una pasta epossidica che poteva essere lavorata finemente come il legno) che garantiva una lavorazione più rapida e agile. In questo contesto parte la nuova esperienza di Paul Breuer in Ford, con la proposta di una nuova Ford Taunus disegnata e successivamente modellata.
Dopo alcuni mesi avvenne un avvicendamento molto importante, in quanto la Ford USA acquisì le Carrozzerie Ghia e Vignale dalla De Tomaso nel 1973. L’ufficio, adesso nominato Ghia Operations, fu quindi trasferito presso la sede storica della Ghia in Via Agostino da Montefeltro a Torino ponendolo sotto la direzione del Centro Stile Ford USA, allora diretto da Eugene Bordinat Jr. Davvero curioso il fatto che in questo modo Breuer tornò dove tutto ebbe inizio, in quanto davanti alla storica sede Ghia si trovava quella della OSI! L’acquisizione gli permetterà anche di rivedere l’amico di vecchia data Tom Tjaarda.
Nella nuova realtà Paul respirò nuovamente quel fare tipico del Carrozzieri italiani, dove collaborando con i diversi reparti era possibile eseguire un progetto dal disegno al prototipo, assicurandosi che vengano rispettati e risolti tutti i requisiti di funzionamento utili alla produzione di un’auto reale.
Al lancio di un nuovo progetto tutti gli stilisti erano in competizione, dove quello giudicato migliore veniva sviluppato con un piano di forma a grandezza naturale per realizzare il modello in epowood o il prototipo in acciaio, a seconda dello scopo finale. Successivamente questi venivano spediti in USA per essere confrontati con i progetti ideati dal Centro Stile di Dearborn.
In quegli anni Breuer si trovò a lavorare principalmente su proposte a tema Fiesta, Escort, Taunus, Granada, Pinto, Maverick, Mercury, Mustang e Lincoln, ovvero tutto il ventaglio di Casa Ford. Un margine di manovra estremamente ampio che permetteva la continua produzione di idee nuove, spinte anche dalla strategia interna che rinnovava ogni anno i modelli in modo tale da essere sempre competitivi sul mercato. In aggiunta, l’acquisizione di Ghia spinse Ford a deliberare molti progetti in grado di dimostrare che, dopo anni poco felici, la storica firma italiana era tornata in gran forma. Questo insieme di fattori mise Paul Breuer nelle condizioni di poter esprimersi al massimo, evolvendo ed affinando ulteriormente la sua idea “futuristica” quanto concreta di automobile.
Tra i tanti studi tracciati su carta di particolare fascino è quello risalente al 1973 per una De Tomaso Pantera ma certamente quello più iconico al quale il designer è molto legato risponde al nome di Megastar.
Il progetto vide la luce nel 1977 con l’intenzione di produrre una show car dal grande impatto visivo, un’auto del futuro come manifesto del nuovo corso di Ghia in Ford. Tra i progetti proposti vinse quello di Breuer, che delineò inizialmente una coupé a quattro posti molto bassa e aerodinamica su una base meccanica non definita: questa evolveva il tema dei lunghi spostamenti in automobile insistendo sul viaggio come esperienza da godere appieno, alla guida come da passeggero. L’auto presentava un abitacolo comodo, luminoso, ottenuto grazie all’adozione di una linea di cintura bassa ed ampie superfici trasparenti, che andavano a favore della massima visibilità.
Si decise di renderla un prototipo marciante basandola sulla base della Ford Granada, andando dunque a proporre una significativa evoluzione della berlina da grandi viaggi. Esteticamente spiccano i grandi finestrini curvi e fissi (grazie all’impianto di climatizzazione e ai pagamenti telematici in autostrada non era più necessario aprirli), parabrezza molto inclinato, anteriore affilato (al netto della bugna necessaria ad ospitare l’ingombrante filtro dell’aria) con fari a scomparsa e uno sbalzo posteriore molto corto: l’obiettivo di Breuer fu quello di dare maggior risalto possibile all’abitacolo minimizzando visivamente la presenza degli sbalzi necessari per motore e bagagliaio. Quest’ultimo fu il protagonista di un ragionamento basato sulla percentuale di bagagli che in media venivano trasportati da quattro passeggeri, preferendo (anche per ragioni aerodinamiche) lo spazio in altezza invece di quello in ampiezza.
Breuer si occupò anche di definire gli interni che mostrano un interessante approccio nell’organizzazione del quadro strumenti che sembra porgersi verso il conducente e anche nell’adozione di uno sportello nella plancia, lato passeggero dedicato all’estintore (al tempo regolamentare in USA e in quel momento lasciando un pò in giro con evidenti rischi in caso di necessità).
Portata in strada pochi giorni prima del Salone di Torino attrasse gli sguardi più increduli tanto era avanzata, per poi essere esposta in quelli di Ginevra, Chicago e Los Angeles; nel 1978 il progetto evolverà nella Megastar II, basata su meccanica Taunus che mirava a renderne più vicini alla produzione i contenuti innovativi.
Negli anni furono tanti i prototipi realizzati, come la Manx (1975), la Mustang III pensata per il mercato europeo con tetto Targa (1976), l’affascinante coupé Lucano su base Escort (1978), la Microsport su base Fiesta (1978) e la GTK (Grand Touring Kombi) del 1979, proposta sempre su base Fiesta di una sportiva sfruttabile dalla linea shooting brake. In tutte queste proposte emerge fortemente in carattere inventivo e provocatorio delle automobili di Paul Breuer, al punto da essere ancora oggi futuristiche e spiazzanti con quegli ampi finestrini, linee taglienti, geometriche e avanzate soluzioni aerodinamiche. Ringraziamo Paul Breuer per averci concesso il suo archivio ed i suoi preziosi racconti, che ci regalano una prospettiva inedita sul car design italiano prodotto da uno dei suoi capaci artefici.
Autore: Federico Signorelli
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