Se ne è andato a 82 anni, dopo l’addio avvenuto alla sua “creatura”, nel 2012, Ferdinand Piech, il grande vecchio dell’industria automobilistica tedesca, come qualcuno ha voluto celebrarlo, semplicemente colui che è riuscito a trasformare Volkswagen nella multinazionale che è oggi, un gruppo che conta il più vasto numero di Marchi in Europa.
Nato nel 1937, il “patriarca” disse addio alle scene gradualmente, cedendo il suo ruolo di CEO per acquisire quello di presidente del consiglio di sorveglianza. Il suo “pupillo” Martin Winterkorn, pronto a prendere la sua eredità e presto in conflitto con quella che fu la sua guida, venne presto coinvolto pesantemente dallo scandalo “Dieselgate”, non senza polemiche, tanto da essere costretto ad abbandonare l’azienda. E intanto Piech se ne lavò le mani uscendo dalla scena prima dello scandalo…
Piech ne uscì pulito, ma è per ben altre vicende che la sua figura entra già di diritto nella storia dell’automobile. CEO del gruppo tedesco, diventato nel frattempo un colosso, dal 1993 al 2002, poi presidente fino al 2015, Piech si trovò la strada spianata essendo il nipote di Ferdinand Porsche, colui che invento il Maggiolone, sinonimo stesso di Volkswagen come è lo stato, molto più tardi, la Golf.
Contraddistinto da una vita travagliata, accompagnata da 12 figli avuti da 4 mogli diverse, Ferdinand Piech aveva chiaro un obiettivo: rendere la sua azienda il più grande colosso automobilistico del vecchio continente. Prima di diventare un dirigente, da buon ingegnere meccanico, Piech lavora per Porsche e segue direttamente lo sviluppo della 917, la storica vettura da gara che ha firmato pagine importanti della 24 Ore di Le Mans e nel campionato del mondo sportprototipi.
Da lì passa in Audi, altra azienda controllata dal gruppo dagli anni sessanta, e firma capolavori come l’Audi quattro, trionfatrice nei rally e antesignana dello sbarco della trazione integrale sulle sportive, non solo tedesche.
La strada verso la dirigenza del cuore pulsante dell’azienda, la Volkswagen stessa, è affar suo. Dal 1993 parte l’opera di acquisizione di marchi come Bugatti (fu lui a risollevarne le sorti volendo la mitica Veyron) prima e Lamborghini poi, senza pensare a Ducati entrata solo di recente, ma ancora sotto il suo occhio attento.
Gli anni recenti lo vedono uscire completamente dalla galassia Volkswagen, non senza rammarico, fino al definitivo addio, sembrerebbe per un malore. La storia, non certo dal giorno della sua scomparsa, lo già accolto a braccia aperte.
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