Categorie: Curiosità

Milano AutoClassica, Giolito: “La Lancia che avrei voluto disegnare? La Fulvia Coupé!”

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Si è svolta dal 25 al 27 novembre la sesta edizione (seconda nel 2016) di “Milano AutoClassica”, importante rassegna dedicata alle automobili d’epoca: straordinario strumento di comunicazione per valorizzare la memoria storica dei brand.

Alla storia dei marchi Alfa Romeo, Fiat, Lancia e Abarth è dedicato il sito www.fcaheritage.com, il nuovo portale che rappresenta la vetrina online del dipartimento FCA Heritage e mira a essere il punto di riferimento per tutti gli interessati alle storie, agli eventi e alle iniziative che coinvolgeranno le auto classiche dei brand italiani del Gruppo.

Tra i padiglioni di Fiera Milano, riflettori puntati su Lancia, con quindici vetture rappresentative della storia del marchio che proprio il 27 novembre ha festeggiato 110 anni. Roberto Giolito – Head of Heritage EMEA di FCA – ha presentato le vetture esposte e illustrato i nuovi servizi di certificazione e restauro offerti dal neonato programma Lancia Classiche, secondo tassello delle “Officine Classiche” di Mirafiori.

“La Lancia che avrei voluto disegnare? La Fulvia Coupé!” – ha aggiunto Giolito, papà della Fiat 500 del 2007, rispondendo a una nostra domanda al termine della conferenza stampa. “Una berlinetta 2+2 dall’aspetto elegante e dalle prestazioni sportive, che per me ha rappresentato un sogno da ragazzo e un’indiscutibile icona del marchio Lancia. Una vettura dai tratti fortemente distintivi, difficilmente ripetibili anche sotto forma di sketch, con la sua ampia superficie vetrata che garantisce una visibilità quasi a 360 gradi. Un’auto peculiare nel design e nella guida (molto impegnativa, soprattutto per il motore anteriore a sbalzo – dalle parole del “Drago” Munari), punta di diamante della Squadra Corse HF Lancia per diverse stagioni sportive. L’apice fu raggiunto con la Fulvia Coupé Rallye 1.6 HF “Fanalone”, che nel 1972 vinse il Mondiale grazie al trionfo di Sandro Munari al Monte Carlo (e ai successi di Lampinen in Marocco e di Ballestrieri al Rally di Sanremo), successo ottenuto inaspettatamente contro vetture di cilindrata e potenza nettamente superiori, a dimostrazione che un progetto semplice ma ben congegnato può risultare vincente oltre qualsiasi pronostico”.

 

Lancia

La manifestazione ha rappresentato un’opportunità imperdibile per ammirare una selezione di quindici gioielli della Collezione storica Lancia: le vetture storiche – alcune delle quali vere e proprie pietre miliari della storia dell’automobilismo – sono state esposte al centro del padiglione principale del Salone per celebrare l’anniversario dalla fondazione del marchio torinese, fissato proprio il 27 novembre. L’importante ricorrenza è stata l’occasione ideale per presentare il nuovo programma Lancia Classiche, a poco più di un anno dal lancio del gemello Abarth Classiche.

Dall’inizio di dicembre, anche i proprietari delle vetture storiche Lancia potranno usufruire dei servizi di certificazione e restauro attivati presso le “Officine Classiche” di FCA Heritage, site nel comprensorio di Mirafiori, e del conseguente rilascio del “Certificato d’autenticità”. Nuove opportunità che insieme all’offerta dei “Certificati d’Origine” richiedibili online concorreranno ad aumentare il valore delle vetture storiche Lancia e che in seguito verranno estese agli altri marchi italiani di FCA. Di seguito, una breve presentazione delle vetture storiche Lancia in mostra.

Alfa (1907)

L’esposizione dei gioielli della Collezione Lancia non poteva non partire dalla 12 HP, o Tipo 51, prima vettura prodotta dalla Casa torinese. Il modello fu presentato al Salone di Torino nel gennaio del 1908, ed era disponibile in quattro allestimenti: Double Phaeton, Coup, Landaulet e Limousine. La sigla ufficiale, 12 HP, denota la potenza fiscale e fu sostituita dal nome Alfa, con cui questo modello è oggi conosciuto, nel 1919, quando il fratello del fondatore Vincenzo Lancia gli suggerì di utilizzare le lettere dell’alfabeto greco per contraddistinguere i diversi modelli. Dotata di un motore anteriore bi-blocco di 2.545 cm³, cambio a 4 rapporti e trasmissione ad albero, la vettura poteva raggiungere i 90 km/h. In totale, furono costruiti 108 esemplari di serie.

Lambda Torpedo Ballon (1925)

Il successo ottenuto con le prime vetture, ormai appartenenti a un mercato di prodotti di lusso, incoraggiò la Lancia a cimentarsi anche con un modello di fascia alta ma più abbordabile nel costo. Nacque così nel 1922 la Lambda, considerata insieme all’Aprilia il capolavoro di Vincenzo Lancia, prima vettura di serie dotata di scocca portante che integrava in sé le funzioni strutturali del telaio, non solo con l’ovvio obiettivo di contenere il peso ma anche di aumentare la rigidezza del veicolo. Un’ulteriore peculiarità del progetto elaborato risiedeva nell’introduzione di un pavimento abbassato dotato di una cavità (tunnel) per contenere l’albero di trasmissione. Grazie alla sua razionalità, la vettura completa pesava circa 850 kg, nella versione Torpedo. Per il motore si trasformò la tradizionale disposizione a quattro cilindri in linea in quella a V stretto, ottenendo una consistente riduzione della lunghezza del motore. Degni di nota le sospensioni anteriori a ruote indipendenti e i freni sulle quattro ruote, per la prima volta simultaneamente comandati dal pedale.

Dilambda (1930)

Nel 1925 terminò la produzione della Trikappa, l’ammiraglia della Lancia, lasciando la sola Lambda a rappresentare il marchio nel mercato del lusso. Si ritenne quindi opportuno predisporre una nuova vettura dotata di motore otto cilindri a V, come la Trikappa, per offrire nuovamente un modello esclusivo al pubblico che ne faceva richiesta e con l’ambizione di conquistare il ricco mercato americano. Nacque così, nel 1928, la Dilambda, realizzata con un nuovo telaio realizzato con elementi di lamiera saldata a sezione chiusa particolarmente rigidi. Per il motore si riprese l’architettura a otto cilindri a V stretto già adottata dalla Trikappa, aumentandone la velocità di rotazione a 3800 giri/min e permettendogli di raggiungere una potenza di 100 CV e una ragguardevole velocità massima di 120 km/h, a fronte di circa 4 litri di cilindrata. L’autotelaio riprendeva, con le dimensioni appropriate alla mole della vettura, le sospensioni anteriori a ruote indipendenti e l’impianto frenante già presente sulla Lambda.

Astura (1932)

Nata in contemporanea con la “sorella minore” Artena per sostituire la Lambda, l’Astura rappresenta un’innovazione nella produzione Lancia a partire dal suo nome, quello di uno storico castello nei pressi dell’antica città romana di Nettuno. La vettura viene presentata al Salone di Parigi nell’ottobre del 1931, e monta un motore 8 cilindri a V derivato da quello della Dilambda ma di minore cubatura (circa due litri e mezzo contro i quattro dell’ammiraglia); abbandonata la scocca portante tipica della Lambda, l’Astura adotta un telaio a crociera di lamiera scatolata al quale il motore è fissato elasticamente mediante due corte molle a balestra: un brevetto Lancia, applicato anche sull’Artena, che elimina quasi del tutto le vibrazioni. Inoltre, il buon rapporto peso/potenza (la versione berlina carrozzata dalla Lancia pesa circa 1250 kg) le consente un notevole brio di marcia e una velocità massima di circa 125 km/h: un buon risultato per un motore con una potenza massima di 72 CV. Al di là delle versioni di alta qualità carrozzate direttamente dalla Lancia, il telaio dell’Astura diventa la base ideale per le più alte creazioni dei carrozzieri italiani tra le due Guerre, che vengono ordinate dai più importanti personaggi dell’epoca: dalle coupé e cabriolet di Pinin Farina (possedute, tra gli altri, da Galeazzo Ciano e Marlene Dietrich) alla berlina ministeriale di Benito Mussolini.

Aprilia (1937)

L’Aprilia, presentata nel 1936, rappresenta il testamento spirituale di Vincenzo Lancia, che purtroppo scomparve qualche mese prima della commercializzazione della vettura. Dotata di una carrozzeria autoportante priva di montante centrale e integrata con il telaio, la vettura ha un aspetto decisamente innovativo rispetto al design automobilistico delle berline dell’epoca, ed è caratterizzata da una linea particolarmente aerodinamica che, unita a una consistente leggerezza, le permetteva di raggiungere una velocità di circa 130 km/h e al contempo di garantire modesti consumi. A questo risultato contribuiva anche il nuovo motore con quattro cilindri a V stretto e camere di scoppio emisferiche. Oltre alle sospensioni anteriori indipendenti a telescopio, ormai tradizionali per Lancia, sulla vettura furono adottate sospensioni indipendenti anche per l’asse posteriore.

D50 (1954)

La D50 rappresenta uno dei più grandi traguardi sportivi nella storia della Casa di Borgo San Paolo. Nel 1953 la Lancia, già impegnata con successo nelle corse automobilistiche su strada, decise di prendere parte anche al Campionato Mondiale di Formula 1. Fu quindi affidato a Vittorio Jano il compito di progettare, con l’ausilio del Reparto Corse, una vettura monoposto. La vettura, dotata di motore 8 cilindri a V di 90° con cilindrata di 2,5 litri, esordì nell’ottobre del 1954 al G.P. di Spagna. La D50 si distingue per le impeccabili finiture (inusuali in una monoposto da competizione) e per un peso piuttosto contenuto, inferiore di oltre mezzo quintale rispetto a quello delle Formula Uno dirette concorrenti. La caratteristica estetica e aerodinamica più rilevante è rappresentata dalla posizione laterale dei serbatoi del carburante, che garantisce un miglioramento del valore del CX e una stabilità eccezionale nella marcia a serbatoi pieni. Nel 1955, condotta da piloti del calibro di Alberto Ascari e Gigi Villoresi, conseguì alcuni importanti successi, tra cui le vittorie ai Gran Premi di Napoli e del Valentino, senza però riuscire a vincere il Campionato. I mancati traguardi sportivi, uniti alla situazione economica sfavorevole della famiglia Lancia e alla tragica scomparsa di Alberto Ascari, convinsero la Casa ad abbandonare il Campionato di F1. Tutto il materiale fu ceduto alla Ferrari che, nel 1956, vinse il Campionato del Mondo con Juan Manuel Fangio alla guida di una versione modificata della D50.

Aurelia B24 Spider (1955)

L’Aurelia B24, considerata insieme alla Giulietta Spider la vettura simbolo degli anni Cinquanta italiani, fu costruita in due varianti: la Spider, prodotta nel 1955 e distinguibile esteticamente per via del parabrezza panoramico, dei caratteristici paraurti a “ala” e delle portiere senza maniglie e vetri discendenti, e la Convertibile, contraddistinta da paraurti a lama unica, parabrezza a curvatura normale, portiere più ampie e munite di maniglie, profilo delle pinne di coda rialzato e più sfuggente. In entrambi i casi, la carrozzeria è opera di Pinin Farina. L’autotelaio era identico a quello della coupé B20, ma con passo ulteriormente accorciato, e dalla versione chiusa proveniva anche il motore sei cilindri a V di 2451 cm3 (l’Aurelia è la prima vettura di serie a essere stata prodotta con motore V6 e cambio in blocco con il differenziale), adattato con tarature specifiche.

Flaminia Loraymo (1960)

La vettura, prodotta in esemplare unico, è basata su uno chassis Flaminia Coupé ed è stata concepita dal designer industriale Raymond Loewy, noto per l’iconica bottiglia in vetro della Coca Cola e il marchio delle sigarette Lucky Strike. Loewy, statunitense di origini francesi che era stato anche designer per la Studebaker e per alcuni costruttori di treni, disegnò la vettura per suo uso personale e la fece realizzare dal carrozziere torinese Rocco Motto. L’auto, presentata al 47° Salone di Parigi del 1960 nel color ambra scuro metallizzato che sfoggia tuttora, fu denominata Loraymo, parola formata da parte del cognome e del nome del designer e che corrispondeva all’indirizzo telegrafico dello studio Loewy. Tra le caratteristiche estetiche più evidenti, l’ampia calandra a griglia racchiusa in una cornice di acciaio cromato libera di scorrere per svolgere la funzione di paraurti; i parafanghi anteriori arretrati; i fari antinebbia posti al di fuori della carrozzeria; le fiancate leggermente convesse nella parte centrale con un «effetto bottiglia Coca-Cola» che migliorava l’aerodinamica della vettura; l’assenza dell’apertura del bagagliaio, accessibile solo dall’abitacolo e lo spoiler posteriore sul tetto per ridurre la turbolenza aerodinamica, un sorprendente parallelo con la successiva Stratos.

Flavia Coupé 1.8 (1967)

La Flavia rappresenta una tappa importante nella storia della Casa torinese, e costituisce il primo modello italiano con meccanica “tutto avanti”, cioè con motore e trazione anteriori. La vettura, che monta il primo propulsore boxer Lancia – un quattro cilindri disponibile nelle cilindrate 1500, 1800 e successivamente 2000 – offre per la prima volta in Italia anche altre importanti soluzioni tecniche, tra cui i freni a disco sulle quattro ruote. La versione coupé, presentata al Salone di Torino del 1961, fu disegnata da Pininfarina, nel cui stabilimento avveniva anche il montaggio finale. Rispetto alla berlina aveva una linea più elegante e filante, garantita dal padiglione spiovente, e un motore più potente in grado di raggiungere la velocità massima di 170 km/h. Questa specifica versione fu prodotta dal 1963 al 1968 in 2150 esemplari ed era allestita con un motore a iniezione meccanica, potenziato fino a 102 CV. Esteticamente da notare, oltre al logo Pininfarina, la targhetta con lettera “L” applicata alla griglia del radiatore e la scritta “iniezione” sul coperchio del vano bagagli.

Fulvia Coupé Rallye 1.6 HF (1972)

Presentata due anni dopo la Fulvia berlina del 1963, la versione coupé –una berlinetta 2+2 dall’aspetto elegante e dalle prestazioni sportive –fu disegnata da Piero Castagnero, che s’ispirò alle linee dei motoscafi Riva dell’epoca. La vettura, spinta da un motore 4 cilindri a V che fu in seguito sviluppato in diverse cilindrate (da 1,2 a 1,6 litri), riscosse un immediato e notevole successo commerciale, e fu da subito considerata per un uso agonistico. Diventata ben presto una delle principali protagoniste dei rally sul finire degli anni 60, rappresentò la punta di diamante della Squadra Corse HF Lancia per diverse stagioni sportive: il suo successo più importante, ottenuto inaspettatamente contro vetture di cilindrata e potenza nettamente superiori, è rappresentato dalla vittoria al Rally di Montecarlo del 1972, ottenuta dall’equipaggio formato da Sandro Munari e Mario Mannucci proprio con l’esemplare esposto a Milano, che riporta ancora sulla carrozzeria i segni della memorabile impresa. La vettura in mostra – che monta il 4 cilindri elaborato di 1,6 litri da 160 CV – è universalmente nota agli appassionati come “14”, il suo numero di gara al Montecarlo.

Stratos (1976)

Considerata contemporaneamente una pietra miliare nella storia del design automobilistico – per via della sua avveniristica linea a cuneo pronunciato, firmata da Marcello Gandini per la Carrozzeria Bertone – e l’“arma definitiva” della Lancia nei rally, la Stratos ha scritto a suon di vittorie alcune delle pagine sportive più belle degli anni Settanta. Il prototipo a motore posteriore centrale, presentato dalla Bertone al Salone dell’automobile di Torino del 1970, era basato su un telaio della Fulvia HF, da cui mutuava anche il propulsore. Nella versione definitiva, prodotta a partire dal 1973, il motore di 2418 cm3 e la trasmissione erano derivati da quelli dalla Ferrari Dino 246 e abbinati a un telaio monoscocca centrale in acciaio, rendendo la Stratos un’automobile particolarmente competitiva in gara, grazie anche alle dimensioni compatte e al peso inferiore alla tonnellata. Innumerevoli le vittorie conquistate, tra cui spiccano i tre Campionati del Mondo rally consecutivi (dal 1974 al ‘76) ma anche i successi in gare di velocità come la Targa Florio e il Tour de France.

Rally 037 (1982)

La vettura fu concepita all’inizio degli anni Ottanta per sostituire, nelle competizioni rallistiche internazionali, la gloriosa ma ormai datata Fiat 131 Abarth Rally. Contraddistinta dal numero di progetto SE037, è basata sulla cellula centrale della Lancia Beta Montecarlo convertibile, cui vennero uniti un traliccio anteriore e uno posteriore, e costruita dalla Pininfarina, che ne curò l’estetica. Il motore, il bialbero Fiat di 2 litri a 16 valvole sovralimentato con compressore volumetrico, fu progettato dall’Abarth e venne collocato longitudinalmente in posizione posteriore centrale, garantendo alla vettura una notevole motricità. La 037 in versione stradale (200 gli esemplari prodotti per consentire l’omologazione in Gruppo B) sviluppa 205 CV capaci di spingerla a oltre 220 km/h e di farle raggiungere i 100 km/h da ferma in meno di sette secondi. La versione da competizione (elaborata fino a raggiungere i 310 CV di potenza massima) esordisce al Rally Costa Smeralda nell’aprile del 1982 e concorre ufficialmente per la stagione 1983, dove domina il campionato mondiale sin dalla prima gara, il Rally di Montecarlo vinto da Walter Röhrl. In quell’anno, nonostante l’agguerrita concorrenza delle nuove Audi Quattro a trazione integrale, la Lancia conquistò il Campionato del Mondo, quello Europeo e quello Italiano.

Delta S4 (1986)

Prima 4×4 italiana impiegata nelle competizioni, la S4 (la “S” sta a indicare la sovralimentazione, “4” le quattro ruote motrici) fu concepita dai tecnici dell’Abarth a partire dal 1983, con sigla di progetto SE038, a seguire la vittoriosa 037. Il modello venne costruito, originariamente, in soli 200 esemplari necessari per ottenere l’omologazione nel Gruppo B: uno di questi esposto a Milano, nel caratteristico colore rosso scuro. La Delta S4 stradale in realtà si differenziava molto dalla precedente 037 (progettati ex novo tutti gli elementi fondamentali, quali motore, sovralimentazione, trasmissione e autotelaio-carrozzeria) e soprattutto dalla sua omonima versione berlina risentendo molto, e positivamente, dell’impostazione da vettura per le competizioni. Il telaio era a traliccio e con tubolari d’acciaio, la carrozzeria impiegava pannelli a nido d’ape in kevlar e fibre di carbonio. Il motore, un quattro cilindri di 1759 cc con 4 valvole per cilindro e due alberi a camme in testa, presentava un’inedita doppia sovralimentazione composta da un compressore volumetrico in funzione con il motore a bassi regimi e un turbocompressore per gli alti, per una potenza di 250 CV nella versione stradale e quasi 500 in quella da competizione.

Thema Ferrari 8.32 (1988)

Presentata al Salone di Torino del 1986, la versione più esclusiva della Thema venne immediatamente battezzata “Thema Ferrari”, proprio perché il suo motore 8 cilindri 32 valvole (da cui il nome 8.32) era stato progettato e sviluppato a Maranello: si trattava, infatti, del propulsore (opportunamente adattato e “addomesticato”) in uso sulla Ferrari 308, che sulla Thema sviluppa una potenza massima di 215 CV, permettendole di raggiungere i 240 km/h circa. Tra i dettagli estetici più rilevanti che la caratterizzano vanno ricordati i cerchi in lega, ispirati nel design alle berlinette Ferrari dell’epoca, la calandra con griglia modificata, la targhetta identificativa con logo 8.32 su fondo giallo e l’alettone posteriore a scomparsa, regolabile elettricamente con un semplice comando. Le sospensioni adottavano lo schema MacPherson a controllo elettronico, e gli interni erano impreziositi da pelle e radica. Tra il 1986 e il 1992 furono prodotte 4300 unità in due serie differenti.

Delta HF Integrale (1994)

L’esemplare esposto, che non ha mai lasciato l’azienda ed ha al suo attivo solo poche decine di chilometri, appartiene alla quinta e ultima serie della Delta HF Integrale (Evo 2). Ennesima evoluzione della Delta a quattro ruote motrici (una vettura entrata nella leggenda dei rally con le sue sei vittorie consecutive del Campionato Mondiale, dal 1987 al 1992), la vettura presenta carreggiate ulteriormente allargate, sospensioni e freni potenziati e un incremento di potenza del quattro cilindri turbo da due litri fino a 215 CV, che permettono alla Delta di toccare i 220 km/h.

Vincenzo Attamante

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