La F1 è ferma, fino a data da destinarsi, causa l’espandersi del Coronavirus, fenomeno che sta tristemente espandendosi in ogni parte del globo. La Svizzera non è esente: i casi sono già parecchie migliaia.
Come saprete, Michael Schumacher sta passando la sua convalescenza, da diversi anni, nella sua villa a Gland, a sud-ovest di uno dei cantoni svizzeri più colpiti, quello di Vaud. Per questo motivo traspare una certa preoccupazione circa le condizioni di un paziente sicuramente più a rischio di altri vista la sua condizione.
La famiglia, con lui vivono la moglie Corinna e i figli Gina Maria e Mick, che era atteso alla seconda stagione completa in Formula 2 con il team Prema, sta attuando misure d’emergenza per proteggere il sette volte campione del mondo. Inutile sottolineare come un eventuale contagio potrebbe, purtroppo, essergli fatale.
Tra queste, la riduzione del personale sanitario chiamato quotidianamente ad assisterlo e maggiori controlli circa le precauzioni da adottare, le ormai famose mascherine, guanti e camici di protezione, niente di diverso da quanto si vede in questi giorni nei tanti servizi televisivi che mostrano, da dentro, le terapie intensive.
Non si hanno notizie di Michael Schumacher dal dicembre scorso, quando la moglie dichiarò: “Le grandi cose iniziano con piccoli passi”. Nel 2019, invece, il campione tedesco venne trasportato a Parigi per una cura sperimentale a base di cellule staminali, ma anche in questo caso non è dato sapere l’esito delle cure.
Come in Italia, tra i medici e infermieri, aumentano i contagi, lo stesso fenomeno può toccare anche altri sanitari impegnati a sconfiggere il Covid-19. Il magazine tedesco Bunte.de, nei giorni scorsi, ha sollevato il problema, chiedendosi come si riesca a preservare la salute di un soggetto già gravemente provato e sottoposto a cure da circa 6 anni e mezzo. Ha risposto a questi dubbi il Prof. Christian Drosten, virologo tedesco che spesso interviene sui media nazionali, al pari dei virologi italiani: “I pazienti che, come Michael Schumacher, hanno ricevuto cure mediche intensive per anni, potendo condurre una vita pubblica limitata, appartengono a un gruppo particolarmente vulnerabile di soggetti ad alto rischio”.
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