Nel 1975 Maserati viene acquisito dal vulcanico imprenditore argentino Alejandro De Tomaso; il marchio non è in condizioni ottimali, minato da problemi di affidabilità. Negli anni si rivela dunque necessario rilanciarlo con un progetto ambizioso che guarda a supercar come Ferrari Testarossa, F40 e Lamborghini Countach.
Dopo il lancio della coupé Maserati Kyalami e della nuova Quattroporte con l’obiettivo di ridare vigore all’immagine del marchio, De Tomaso comprende che occorre riorganizzarlo puntando su un progetto in grado di “fare cassa” senza intaccare ulteriormente l’immagine del marchio, ma anzi cercando di ricostruirla.
Nel 1981 lancia la Maserati Biturbo, vettura nata in risposta al difficile periodo economico in corso che si pone come punto di incontro tra buone prestazioni, lusso, basso prezzo d’attacco e contenimento di potenze e consumi per sfuggire alla pesante tassazione allora vigente. Per ottenere ciò e con l’obiettivo di far sopravvivere l’azienda, la produzione è totalmente industriale.
Nonostante alla Biturbo si debba il merito di aver permesso la sopravvivenza dell’azienda (inizialmente la nuova nata fu venduta abbastanza bene), le alterne sfortune del modello non giovarono all’immagine Maserati, che intanto iniziava a soffrire la mancanza di proposte di altissimo livello in linea con la tradizione del marchio.
Prende corpo l’idea di produrre si una vera supercar in fatto di prestazioni, tecnica ed impatto estetico, ma in grado d’essere confortevole per due persone e non troppo scorbutica nella guida.
De Tomaso era stato a lungo un fautore del telaio a trave centrale (già adottato nei suoi modelli De Tomaso Vallelunga e Mangusta); la nuova Maserati avrebbe goduto di questa soluzione, composta con elementi in alluminio strutturati a nido d’ape, coadiuvati da telaietti in lega leggera nervata per sostenere le sospensioni pushrod anteriori, pullroad posteriori e il motore. Il serbatoio del carburante è posizionato all’interno della trave centrale con l’intento di abbassare, centrare ed alleggerire. Il motore deriva da una versione potenziata del V8 di 90° a 32 valvole da 3,2 litri in uso sulla coupé Maserati Shamal: lubrificazione a carter secco, doppio turbocompressore e doppio albero a camme in testa per una potenza dichiarata di 430 cv a 6.500 giri/min, gestiti tramite un cambio manuale a sei marce.
Gandini, già in forze per il design della Maserati Shamal, venne scelto per disegnarne l’avveniristica carrozzeria, collegata al telaio tramite un sistema di smorzamento capace di assorbire vibrazioni e rumori a vantaggio del comfort.
Il designer prestò molta attenzione ai flussi d’aria, disponendo tre aperture all’anteriore che la convogliano sotto la portiera, scivolando lungo il fianco, per poi rientrare attraverso l’apertura nella parte posteriore del fianco. Il posteriore è caratterizzato da due grossi sfoghi d’aria e dall’alettatura sopra il motore, tipica di molte supercar di quegli anni. Il disegno generale non solo raffredda la meccanica ma, accelerando i flussi d’aria, garantisce una efficace penetrazione aerodinamica e un incisivo effetto suolo prodotto dal fondo piatto e dal tunnel venturi.
Queste soluzioni estetico/stilistiche permisero di delineare una vettura bassa e filante, con fari anteriori a scomparsa e ruote carenate. I volumi sono tipici delle vetture di Gandini: quasi una firma dell’autore sono gli archi passaruota posteriori inclinati (presenti sulla stessa Shamal), ma non per questo la nuova nata è priva di elementi inediti. La vettura proponeva anche un tettuccio rigido elettrico che scorreva all’indietro sul motore e le iconiche portiere con apertura a forbice.
Il nome scelto fu “Chubasco”, come una tempesta che si incontra durante la stagione delle piogge lungo la costa del Pacifico del Messico, dell’America centrale e del Sud America. Il nome di un vento come da tradizione del marchio, ma stavolta impetuoso e irruento, a significare la potente ventata di novità che l’arrivo di questo modello avrebbe certamente portato.
Venne presentata il 14 dicembre del 1990 (in veste di prototipo non marciante in stadio avanzato di sviluppo) nella consueta conferenza stampa di fine anno che cadeva nel mese dell’anniversario Maserati, destando immediatamente grande successo tra gli addetti; tutto sembrava andare per il meglio rispetto alla commercializzazione che era prevista in 450 unità, ma improvvisamente il progetto venne bloccato da parte della dirigenza Fiat, che aveva appena acquisito la totalità del marchio. La Chubasco venne giudicata “troppo costosa da costruire” e “poco remunerativa”. Di lei rimane quell’unico esemplare che oggi fa parte della prestigiosa Collezione Umberto Panini, immutato e misterioso in tutto il suo irruento fascino.
Autore: Federico Signorelli
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