Matteo contro Matteo. A livello istituzionale, è in atto una “guerra” fra Matteo Lepore, sindaco di Bologna, e Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture. A dar fuoco alle polveri, il primo cittadino, che dall’1 luglio 2023 ha abbassato il limite massimo di velocità in tutte le strade urbane di Bologna da 50 a 30 km/h, a eccezione delle principali vie di scorrimento dove rimane a 50 chilometri orari. Le zone 30 sono il 70% delle strade del centro abitato e il 90% di quelle della parte di città più densamente vissuta dalle persone. Dal 16 gennaio 2024, tutto diventa ufficiale e in più parte il piano dei controlli per la sicurezza stradale: Telelaser a bordo strada per multare chi supera i 30 all’ora.
La risposta di Salvini arriva una settimana dopo: il Comune di Bologna non può piazzare il limite di 30 quasi ovunque, ma solo in zone sensibili, ossia in presenza di asili, scuole, ospedali, case di cura o simili. Forte la controreplica della giunta felsinea, così sintetizzabile: è stato lo stesso ministero a fornire agli Enti locali le risorse per le zone 30.
Dopodiché, arriva la direttiva di Salvini, che ribadisce come i 30 all’ora siano adatti solo in zone sensibili. Inoltre, contesta il presupposto del Comune: andando più piano, ci saranno meno incidenti. L’articolo 141, comma 6, del Codice della strada prevede che il conducente non deve circolare a velocità talmente ridotta da costituire intralcio o pericolo per il normale flusso della circolazione. Questo principio è stato richiamato anche dalla giurisprudenza della Cassazione penale con sentenza 22135/2011. E comunque, in città devono essere sempre assicurati sicurezza e scorrevolezza, il che è impossibile col limite di 30 km/h.
A questo punto, gli scenari sono due. Uno: continua la controversia istituzionale e si fa asperrima. Il sindaco insiste coi 30 all’ora, e il ministro potrebbe reagire imponendo d’imperio che sia ripristinato il limite di 50 km/h. Magari il Comune può fare ricorso al Tribunale amministrativo regionale, sostenendo la non retroattività della direttiva: siccome i 30 sono arrivati dopo il documento del ministero, allora le zone 30 restano intoccabili. Il ministero controbatterà che i 30 km/h non hanno valenza assoluta e generale, ma devono rispettare i princìpi di credibilità e coerenza.
Due: si giunge alla pace, col sindaco che elimina i 30 all’ora. In questo caso, avremo avuto una spesa a carico della collettività per installare i cartelli verticali e orizzontali di 50 km/h, un secondo esborso per le zone 30, un terzo per ristabilire i 50. Eventuali limiti derogatori al limite massimo di velocità saranno parametrati in relazione a strade o tratti di strada tassativamente individuati, laddove sussistano particolari condizioni che giustificano l’imposizione di limiti diversi. In particolare, ai fini della motivazione della deroga, i Comuni faranno riferimento ai tassi di incidentalità monitorati almeno nell’ultimo triennio su quel tratto stradale. E a peculiari condizioni di utilizzo del contesto urbano di riferimento, in coincidenza con la presenza di scuole, ospedali, aree verdi, esercizi commerciali di vicinato ovvero di tratti stradali di interconnessione con strade extraurbane.
Cosa c’è in gioco oltre la sicurezza stradale? È una questione politica e di immagine pubblica. Da una parte, il sindaco di sinistra che vuole i 30; dall’altra, il ministro di destra che intende far prevalere la propria tesi.
Autore: Mr. Limone
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