Sarà una trattativa lunga e faticosa quella fra il governo Meloni (cerca una Casa cinese disposta a produrre auto in Italia) e la Dongfeng (azienda del Dragone controllata dallo Stato, ossia dal Partito Comunista). Quest’ultima infatti, stando al Corriere, ha dettato una serie di condizioni molto particolari all’esecutivo. Sintetizzabili così: so che mi vuoi perché cerchi di tutelare i livelli occupazionali nell’automotive della tua nazione, e allora io ho margine per fare richieste a mio vantaggio.
Stando al Corriere, il Marchio di Wuhan (immensa città che a dire il vero richiama tristemente la presunta origine della pandemia di Covid) chiede all’esecutivo che la connazionale Huawei abbia un ruolo chiave nelle infrastrutture di telecomunicazioni italiane. Il gigante di Shenzhen, arci noto nel pianeta anche per l’aggressività con cui invade i mercati di smartphone ed elettronica di consumo, viene visto malissimo da Stati Uniti e Unione europea, perché avrebbe legami con l’intelligence di Pechino.
Seconda condizione: Dongfeng intende attivare una mappatura della nuova tecnologia in Italia. Il motivo? Ufficialmente, per approfondire la cooperazione bilaterale. Ma il timore è che il Dragone possa incunearsi nei meandri più segreti dello Stivale.
Tre: il ministro del Commercio cinese, Wang Wentao, pressa il premier Meloni affinché dica no agli extra dazi Ue sulle auto elettriche Made in China ed esportate in Europa.
Improbabile che l’Italia dica sì anche a solo una delle tre condizioni. Oltretutto, in cambio, Dongfeng non aprirebbe una fabbrica per produrre auto. Si limiterebbe a creare centri di assemblaggio di pezzi fatti in Cina, con una quota di componenti italiane ridotta e a basso valore aggiunto.
Le richieste della Casa dell’ex Celeste Impero al governo nostrano sono pesanti? No. È una trattativa fra un soggetto fortissimo (Dongfeng) e uno debolissimo: stando a indiscrezioni, Giorgia Meloni aveva in mente di alzare la produzione in Italia di 1,4 milioni di veicoli l’anno per il 2030. Di cui un milione da Stellantis e 400.000 da un costruttore cinese. A oggi, questi numeri sono pura utopia. Anche perché il Gruppo euro-americano pare in arretramento su tutta la linea, prediligendo Polonia, Serbia e Marocco come sedi dove creare occupazione, lì dove la manodopera ha costi inferiori. Chiaro che i cinesi abbiano il coltello dalla parte del manico, sapendo che l’Italia avrà grosse difficoltà a intavolare trattative con altre aziende del Dragone: da noi, burocrazia, tassazione, crollo del mercato elettrico spaventano.
Autore: Mr. Limone
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