Siamo agli inizi degli anni Sessanta, e lo scenario delle GT nel panorama italiano era in fermento come mai in precedenza, in quanto un nuovo paradigma tecnico e tipologico stava facendosi sempre più spazio portando con se una nuova idea di automobile sportiva o, se vogliamo, quella che poi si chiamerà “Supercar”: l’avvento del motore in posizione centrale posteriore.
Un’istanza che arrivò ovviamente dal mondo delle corse, con vetture come le Ferrari 250 P e 250 LM (entrambe 1963), e che venne subito recepita e declinata in uso stradale su sportive come la ATS 2500 GT nel 1963 fino alla piccola De Tomaso Vallelunga coeva. In realtà se teniamo in considerazione anche le vetture da Formula 1, il debutto della Cooper T43 Climax nel 1957 e nel 1958 vincente con Stirling Moss al Gran Premio d’Argentina, dimostrò subito il potenziale della nuova configurazione, convincendo un reticente Enzo Ferrari a convertirsi definitivamente al motore posteriore nel 1960 con la Ferrari 156 F1.
Riferimento imprescindibile

La nuova impostazione rivoluzionò la tecnica costruttiva, la dinamica del veicolo, ora contraddistinta da un migliore equilibrio con enormi benefici sulle prestazioni generali (che potevano crescere oltre i limiti del motore anteriore), ed il design che vedrà un progressivo scivolamento dell’abitacolo verso l’anteriore ad equilibrare un posteriore più ampio e prominente. Ma fu certamente al Salone dell’Automobile di Torino del 1965 che avvenne la consacrazione definitiva, con la presentazione di una nuda meccanica che lasciava intuire quella che sarebbe stata la nuova sportiva di casa Lamborghini: la Miura, con motore posteriore-centrale ma, grande novità, in posizione trasversale!
A seguire fu un vero fiume di novità e proposte in questa direzione con la Dino Berlinetta Sperimentale (1965), Serenissima 308V Jet Competizione (1965), Bizzarrini P538 S (1966), Dino 206 GT (1967), Alfa Romeo Tipo 33 Stradale (1967), Ferrari P6 (1968), Ferrari 512 S (1969) e si potrebbe continuare quasi all’infinito. Anche all’estero la cosa attecchì (seppur con minore enfasi), dove su tutte spiccò la Ford GT40 già dal 1964.
Gli anni Settanta sarebbero stati ancora più decisivi nell’imporre questa impostazione, diventando elemento di caratterizzazione fondamentale per immettere sul mercato in modo credibile una Granturismo di alto lignaggio; difatti su questi presupposti nacquero Lamborghini Countach LP400 (1971), Maserati Bora (1971) e Ferrari 512 BB (1973).

Una “Supercar” per Iso Rivolta
In questo contesto e con tali presupposti nessun marchio poteva rimanerne fuori se voleva avere voce in capitolo, e tra i marchi italiani ne rimaneva ancora uno fuori dai giochi: la Iso Rivolta, realtà fondata dal commendatore Renzo Rivolta a Bresso (alle porte di Milano) e negli anni Sessanta diventata a buon diritto uno dei produttori più esclusivi di vetture Granturismo, con modelli come la Iso GT300 (1962), la Grifo (1965), la berlina S4/Fidia (1967) e la Lele (1969). Per quanto valide ed entusiasmanti al punto da superare in prestazioni e comodità modelli più famosi, proponevano una impostazione tipicamente anteriore, trovando la massima espressione di potenza nella Iso Grifo “7 litri” con motore Chevrolet Corvette V8 “Small Block” da 390 CV e 280 km/h e nella Iso A3/C, vettura nata esplicitamente per le competizioni con motore Chevrolet Corvette V8 “Small Block” da 5,3 litri e potenze fino a 400 CV. Era arrivato il momento di proporre qualcosa che non solo doveva avere il motore posteriore-centrale ma che fosse dirompente, in grado di lanciare la Iso Rivolta nel nuovo “paradigma tecnico” senza passare inosservati, mostrando la capacità dell’azienda d’essere al passo con i tempi: avrebbe dovuto esprimere una personalità differente, non più nobile e lussuosa, ma così radicale ed ammaliante da portare il cliente a chiudere un’occhio su comfort e finiture. Inoltre non sarebbe stata un’auto da corsa, ma un modello squisitamente stradale, da produrre in piccoli numeri e da presentare al Salone di Torino del 1972.
Innovazione a tutto tondo

Il progetto della nuova nata si mosse in un periodo economico non fortunato per la Iso, ma comunque abilmente gestito dal giovane Piero Rivolta, figlio ed erede di Renzo mancato nel 1966; è bene dire che in realtà si rivelerà un momento storico difficile per tutti i marchi automobilistici, specialmente per quelli che costruivano sportive e Granturismo.
Per il progetto tecnico venne contattato Giotto Bizzarrini, che già collaborò con Pierluigi Raggi allo sviluppo delle precedenti Granturismo della Iso, mentre per lo stile Ercole Spada. Bizzarrini attingendo a piene mani dalla sua precedente esperienza con lo sviluppo del progetto AMX/3, impostò un leggero telaio tubolare organizzato per ospitare due occupanti ed il motore Ford 351 V8 da 7 litri e 325 CV abbinandolo ad un cambio manuale a 5 marce ZF. Il peso doveva rimanere estremamente ridotto, contenuto in 1.200 kg grazie all’uso per la carrozzeria di pannelli in materiali compositi (vetroresina); un’insieme in grado di produrre una velocità massima di 300 km/h.
Le linee impostate da Ercole Spada (con la felice partecipazione dello stesso Piero Rivolta) risultarono davvero uniche, radicali: un volume cuneiforme dall’altezza estremamente ridotta (1.049 mm), aerodinamico, spigoloso, con fari a scomparsa all’anteriore, portiere con finestrini sdoppiati che si spezzano sul profilo per consentire visibilità e luminosità, generando un motivo geometrico che si ripete simile in molti punti della vettura. In cofano motore è incernierato centralmente con apertura ad “ali di gabbiano” e caratterizzato da tre aperture per lato che formano una sorta di “scalettatura” per lo sfogo dell’aria calda. Le ruote posteriori sono semi carenate dal doppio cofano motore che, tramite una particolare angolatura sottolineata dal contrasto cromatico rosso/nero, genera un motivo che da dinamismo e leggerezza alla fiancata.
Un progetto promettente, l’eredità di un maestro
L’alto grado di innovazione del progetto non permise la presentazione al Salone torinese della vettura completa, mostrata con vetri oscurati per nascondere l’assenza dell’interno ed ammortizzatori tarati per sopperire alla mancanza del motore. Nonostante ciò, la Iso Rivolta Varedo (nome mutuato dal trasferimento nella nuova sede di Varedo nell’agosto 1971) raccolse un enorme successo, seguito dai numerosi giudizi positivi formulati dalla stampa specializzata, che giudicò positivamente forme e prestazioni (a vettura completa e pronta per i test) portando la Iso a proseguirne lo sviluppo.
Nonostante le positive premesse il progetto sarà costretto a fermarsi ad un solo prototipo, tra una situazione aziendale sempre più complessa e la sopraggiunta crisi petrolifera del 1973. Oggi rimane uno dei tanti capolavori del design italiano disegnati da Ercole Spada, così incisivo che nonostante i decenni passati riesce a sorprendere ancora oggi.
Autore: Federico Signorelli

