L’Ing. Marco Calovolo è un uomo molto cortese con il quale potresti parlare per ore. Quando poi si tocca l’argomento motorsport, la mente del’appassionato corre a tanti episodi sparsi qua e là nel corso della sua ormai quasi quarantennale carriera ai vertici del motorismo internazionale, carriera legata indissolubilmente ad Alfa Romeo quando vinse in DTM negli anni ’90. Ecco perché ci siamo fatti raccontare direttamente dall’interessato scorci e curiosità di una carriera da incorniciare e ben lontana dalla via del tramonto.
Ricordi molto belli perché è stato un periodo magico per il motorsport italiano e non solo. A quell’epoca la Lancia a livello mondiale non aveva nulla da invidiare alle più blasonate marche straniere. Per quanto mi riguarda io ho iniziato a correre nei rally qualche anno prima e ho avuto la fortuna di essere chiamato in Fiat Abarth pochi anni dopo (settembre ’87) dove è iniziata l’avventura della mitica Delta. Ripensandoci posso dire di aver avuto grande fortuna per aver lavorato su un progetto del genere.
Nel 1992 è iniziata l’avventura nel Campionato Italiano Turismo con l’Alfa 155 GTA che è servita per sgrossare la squadra in vista del debutto in DTM l’anno successivo con la 155 V6 TI dove andammo a sfidare gli squadroni tedeschi. È stata una svolta esaltante per la mia carriera e ancora oggi in tanti ricordano quei momenti, specialmente i tedeschi che vennero da noi battuti senza troppi complimenti.
Il problema è che bisognerebbe partire sì da una vettura stradale ma in realtà corrono dei prototipi molto sofisticati. Ciò che manca è una struttura che si occupi di queste vetture, un po’ come all’epoca faceva l’Autodelta divenuta poi reparto corse Alfa. Il ritorno di Alfa Romeo ai vertici del motorsport è auspicato da molti, i puristi forse storcono un pochino a vedere il famoso adesivo sulla Sauber F1 ma essendo un’operazione commerciale si può dire che Marchionne ha avuto una bella idea.
Beh è stata sicuramente un’altra perla da aggiungere alla mia carriera così come è rimasto un ricordo indelebile per tutte le persone del team presenti quel giorno. Ciò che più ci colpì fu l’estrema disponibilità di Schumacher per questo test. Personalmente mi impressionò l’approccio molto professionale del tedesco, tanto che prima del test mi chiese il set up della macchina e tante altre informazioni per trarre il massimo da quella sessione. Dopo aver visto la telemetria di Tarquini per capire specialmente i punti di frenata partì adattandosi senza problemi alla posizione di guida di Tarquini. Dopo il suo primo run con un set di gomme nuove, tornò tranquillamente ai box con un tempo di un secondo inferiore al migliore fatto registrare da Gabriele, questo dice tutto. Era impressionante il suo modo di accelerare, on/off, ma nel complesso la sua capacità di adattarsi immediamente al mezzo meccanico. Finito il test si prestò per le foto di rito con tutti i meccanici, davvero una giornata da ricordare.
Sì conquistammo il titolo con Giovanardi (di ritorno nel WTCR quest’anno con l’Alfa Romeo Giulietta del team Mulsanne) con il quale lavorai dal 1998 al 2002 (due titoli italiani e tre europei), poi il titolo ETCC con Tarquini nel 2003 e il passaggio nel 2005 come Responsabile del reparto rally della Fiat. 2006/2007 il ritorno in Alfa con Farfus, Morbidelli e James Thompson negli ultimi anni di carriera della 156 Super 2000, chiusa con due terzi posti in campionato giocandoci il campionato all’ultima gara di Macao.
È un fenomeno iniziato in realtà tre anni fa, quando si passò dalle Super 2000 alle TC1. Quel passaggio ha segnato l’inizio del canto del cigno della specialità così come la conoscevamo, perché si è passati da vetture “gestibili” economicamente dai team privati a vetture prototipo con costi insensati. Vetture tecnicamente prestazionali ma con costi di gestione troppo alti. La nascita del WTCR era diciamo inevitabile, basti pensare a quanti team privati si sono persi nel passaggio che ho citato a causa dei costi. Onore a Citroen per aver tratto il massimo da quel regolamento ma il risultato è stata la “distruzione” del campionato.
La possibilità di reinserimento dei team privati che possono rischiare un investimento comprando una vettura che può essere rivenduta nei tanti campionati turismo a livello internazionale. Non si parla più quindi di prototipi TC1 fatti per una sola categoria, una formula che ha dimostrato i suoi limiti.
Devo dire di sì, il percorso seguito finora ha dato buoni risultati ma sono più che altro soddisfatto per le persone che lavorano in Hexathron perché sono loro che le danno valore. Non ho mai chiesto a nessuno di venire a far parte della squadra ma le domande sono sempre pervenute dall’esterno, questo è indice del buon lavoro svolto in questi anni. I corsi per formare nuovi ingegneri di pista sono una possibilità per tanti giovani appassionati per avvicinarsi al motorsport dalle sue basi, nel senso organizzativo, tecnico e regolamentare. Non è il nostro core business ma è un’attività che si sta sviluppando anno dopo anno.
La Elise Cup PB-R è frutto dell’idea di Stefano d’Aste che ha creato, con PB Racing, la Lotus Cup Italia nel 2014. Parlando con lui qualche anno fa è nata l’idea di scegliere l’Elise con il motore Toyota 1.8 grazie all’ok di Lotus UK che ci diede il via libera per riportare in vita delle scocche abbandonate in un magazzino. Noi come Hexathron ci siamo messi a studiare la vettura cercando di evolverla negli anni nel modo più economico e accessibile ai vari team. Il risultato è una piccola GT che offre un ottimo compromesso fra prestazioni, affidabilità e costi, senza snaturare troppo il prodotto di serie. Nicola Larini, il pilota che tutti conoscono, l’ha definita una “macchinina niente male…”
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