Tra gli anni Cinquanta e Sessanta in Italia come nel resto del mondo, la fame di sfide e velocità si manifestò non solo attraverso l’epopea delle corse, ma anche a suon di record da battere. La febbre dei record comparve già agli albori dell’automobile, basti pensare all’incredibile risultato conseguito dalla famosa “Jamais Contente” pilotata da Camille Jenatzy il 1° maggio 1899, vettura dalla forma a siluro motorizzata elettrica che infrangerà per prima il muro dei 100 km/h ad una velocità media di 105,88 km/h.
Da ricordare anche i tanti studi aerodinamici orientati alla massima efficienza in ottica di velocità nati in Germania tra gli anni Venti e Trenta, in particolare ad opera di Auto Union e Mercedes-Benz: un esempio tra tanti fu la velocità da record di ben 432,692 km/h raggiunta su strada dalla Mercedes-Benz W125 Rekordwagen dal pilota Rudolph Caracciola il 28 gennaio 1938 (superato solo nel 2017 dalla Koenigsegg Agera RS con 445,6 km/h).
Sia nei decenni precedenti al secondo conflitto mondiale che in quelli successivi, i record si posero come occasione ideale per affascinare il grande pubblico mostrando le straordinarie doti delle proprie automobili (portandoli ad acquistare quelle nei saloni) e ad impensierire la concorrenza. Ma nel secondo dopoguerra a questi si aggiunse la voglia di rinascita, riscatto, modernità e una rinnovata fiducia verso il futuro.
La grande diffusione di massa di automobili, scooter e moto si realizzò in Italia solo nel secondo dopoguerra, dentro quello straordinario periodo che andò indicativamente dal 1958 al 1963 (negli anni di suo massimo picco) e chiamato “boom economico” o “miracolo economico”. La democratizzazione di tali veicoli portò ad una concorrenza ancora più serrata tra marchi e prodotti che sempre più iniziarono ad ingegnarsi per spuntarla sul mercato; tra le varie iniziative, si tornò a correre alle tante manifestazioni sportive che costellavano il Paese e, in grande spolvero, tornarono anche le dimostrazioni di forza attraverso la conquista di nuovi record di velocità.
Tutti i marchi si lanciarono nell’impresa, ognuno con diversi obiettivi specifici ma sempre con la voglia di spostare sempre più in alto l’asticella del gradimento nei confronti del pubblico. Si schieravano sul rettilineo veicoli appositamente progettati, dunque non acquistabili ma in grado di mostrare le capacità di un motore poi applicato all’automobile in vendita, oppure versioni più o meno elaborate (specie esteticamente per ragioni aerodinamiche e di peso) dei veicoli di serie. Alcuni esempi eccellenti arrivano da Carl Abarth che nel 1956 con la avveniristica Fiat-Abarth 750 Record disegnata da Franco Scaglione in Bertone, e motorizzata elaborando un motore Fiat 600 portato a 747 cc e 47 CV, conquisterà 6 record internazionale nella Classe H alla media di 155,985 km/h.
Ancora nel 1958 sul circuito di Monza farà correre per 7 giorni consecutivi una Fiat Nuova 500 (diventerà famosa come Record Monza) elaborando il piccolo bicilindrico da 479 cc portandolo da 15 a 26 CV, conquistando 6 record internazionali di Classe I ad una velocità media di 107,894 km/h. L’avventura continuerà con ad esempio le Fiat-Abarth 1000 Record Pininfarina del 1960 e 1000 Monoposto Record del 1965, e vedrà anche le sportive Stanguellini con la Colibrì del 1963 e la Moto Guzzi con l’inedita Nibbio II del 1955.
Anche le due ruote battagliarono impresa dopo impresa, mitica la sfida tra Piaggio e Innocenti con i rispettivi scooter Vespa e Lambretta: Piaggio mise a punto la Vespa Siluro con motore 125 cc e 21 CV che nel 1951 raggiunse la velocità media di 171,02 km/h, poi superati dalla Lambretta Siluro lo stesso anno e nella stessa categoria con 201 km/h.
La meteora protagonista dell’articolo affonda le radici non solo nel clima propositivo descritto, ma anche in un particolare momento attraversato dalla storica carrozzeria torinese Ghia.
Nel 1954 alla Ghia arriva uno dei maestri dell’aerodinamica, l’ingegnere Giovanni Savonuzzi che imprime sulle automobili dell’atelier il suo inconfondibile segno fatto di forme affusolate e avveniristiche sviluppate sia in auto europee che statunitensi (visti gli intensi rapporti della Ghia con Chrysler); memorabile rimarrà la Chrysler Gilda Ghia del 1955. La lezione di Savonuzzi verrà ben recepita da altri due grandi professionisti, Sergio Sartorelli e l’americano Tom Tjaarda che entrerà in Ghia nel 1958.
In collaborazione con la Innocenti che intende dimostrare le doti della propria produzione a quattro ruote, proprio Tjaarda inizia a definire un prototipo sperimentale monoposto che miri a stabilire nuovi record di velocità nella classe inferiore ai 1.000 cc: il motore (sempre mutuato da quelli su licenza inglese Austin, indicativamente il quattro cilindri da 948 cc della spider Innocenti 950) venne posizionato all’anteriore ma quasi a centro vettura, mentre il pilota si trova praticamente sdraiato e a sbalzo sul posteriore, avvolto da una modellata e aerodinamica carrozzeria che smussa e carena ogni dettaglio. Per la prima volta verrà studiata aerodinamicamente anche la parte del sottoscocca, anticipandone la prima applicazione nelle competizioni da parte di Jim Hall e del team Chaparral in Can-Am.
Presentata al Salone dell’Automobile di Torino nel 1960 con il nome di Innocenti Ghia IXG Dragster, dove le tre iniziali stanno per “International Experimental Ghia” e la parola “dragster” riporta idealmente all’idea dei veloci veicoli della cultura statunitense (se osserviamo bene l’auto nella distribuzione generale delle proporzioni e dei volumi li ricorda vagamente), riscuote grande curiosità affascinando per le sue forme ardite. Nonostante tutto sembrasse pronto, i mutati obiettivi al pari delle condizioni economiche della Innocenti fermarono il progetto annullandone le potenzialità.
La Innocenti Ghia IXG Dragster venne per decenni accantonata, quando nel giugno 2002 la Ghia (dal 1973 in mano Ford) nell’ambito dei festeggiamenti per il centenario, la vendette all’asta di Christie’s insieme alle altre 50 automobili uniche della collezione aziendale.
Autore: Federico Signorelli
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